Il nostro mestiere, quello di uomini, intendo, è cercare la verità: un po’ filosofi e un po’ Maigret quando la Senna è di quel grigio così crudele.
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Si intende “filosofo” nell’accezione classica, con quel che ne consegue. Oggi chi è filosofo? Tutti? Nessuno? Centomila? Certi argomenti prevedono coattivamente, come preambolo, che ciascuno di noi debba prima dire di non avere la verità in tasca, altrimenti risulterebbe assertivo. L’uomo assertivo, nell’immaginario comune, è una specie di epifenomeno husserliano del suprematista bianco. D’altra parte, sono tutti pronti a rispolverare il latino quando serve alla causa: Quid est veritas? Diceva Pilato, ma almeno l’evangelico governatore poneva le domande in modo corretto.
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Oggi, molto più sbrigativamente si dice “la verità non esiste” e così, di cattedra in cattedra, con prepotenza fenomenologica studiata, finisce che ci si laurea anche in filosofia. Una specie di “principio di indeterminatezza” fasullo per cui non è possibile sapere con esattezza contemporaneamente dove sia la verità e dove stia andando col tram la mente di chi parla.
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Porre le domande nel modo corretto è di importanza capitale. Porre in questione se Cristo sia Dio in loco di Vishnu, il dio indiano della preservazione dell’universo, compete alla fede, non alla filosofia. La filosofia si chiede se esista mai un Ente che definiremmo supremo, de facto con gli attributi di Dio, un ESSE PER SE SUBSISTENS. Questione di metodo. Oltretutto Vishnu credo non piacerebbe nemmeno ad Heisenberg. Alcuni filosofi, pur sostenendolo apertis verbis e non senza un certo vigore accademico, sembrano invece ignorare nella prassi didattica un certo modo di procedere rigoroso, in quanto obiettivamente valido per tutti. Da Rorty a Wittgenstein il quale, come tutti sanno, dice: «se un leone potesse parlare, non lo capiremmo comunque». Discorso interessante quanto ozioso, in ogni caso complesso da affrontare qui.
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Ora, passiamo oltre ponendo domande oziose in solidarietà al leone. Per esempio: la verità è un lusso? Nel deplorevole orizzonte post-metafisico su quale gli altri ci costringono a posare il nostro stanco sguardo sembrerebbe di sì. Non solo siamo costretti a camminare sullo stesso marciapiedi di chi ritiene che le essenze universali non abbiano (e non debbano avere!) nessun ruolo, ma neppure che esistano relazioni necessitanti della conoscenza. Nemmeno la contingenza è più un concetto solido. Il pragmatismo del filosofo postmoderno liquefa ogni cosa nel relativismo onnipotente della chiacchiera.
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Il filosofo non è più colui che vede l’intero e lo mostra agli altri, come insegnava Platone: è un professionista del pensiero debole, un autentico democratico con l’arroganza dello snob, l’unico consapevole dell’altrui punto di vista, un “ironico liberale” esperto dei giochi semantici adottati con senile sapienza per puro spirito di solidarietà nei confronti del genere umano. Anzi peggio: il filosofo ormai è uomo crucciato, insolentito dalla verità, impegnato nella realizzazione della solidarietà fra gli esseri umani. In pratica un cazzaro.
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Se Platone fosse stato totalitario avrebbe fatto secco Protagora invece di farne il protagonista di un Dialogo. Ma Platone era uno sportivo, così è andata a finire che, nonostante il celebre parricidio, Protagora risorge nelle aule scolastiche, senza troppo amore e con parecchio mestiere. Qualcuno arriva a perfino a teorizzare una ossimorica “metafisica dell’immanenza”, riportando in questo modo l’arché a livelli presocratici, ovvero scaricando un millennio buono di buona filosofia direttamente nel gabinetto. Se un leone fosse filosofo ruggirebbe “eureka” solo sul mio marciapiedi? Con ciò non vogliamo sostenere la trascendenza totale di Dio come nelle Enneadi. Se è stato detto “persino Saul è fra i profeti!” (Sam 1,19) possiamo ben dire: nemmeno Plotino è la verità!
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Tutto ciò perché lo diciamo? Perché non abbiamo debiti morali con gli altri. Tutti gli uomini sono filosofi (pratici), qualcuno teoretico. Anche se non sembra proprio, sono fornito di una mente io e sei fornito di una mente tu, dunque al netto delle balle che ci raccontiamo, in ciò siamo omologhi: come arriva uno alla verità, la quale, vale la pena di ricordarlo sempre, di per sé è aletheia “non nascosta”, ci possono arrivare anche gli altri. La verità sta davanti agli occhi di tutti.
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Il problema serio non è aprire gli occhi davanti alla verità: il problema serio è averli aperti e rendersi conto di non poterli più richiudere. Di fronte al dramma filosofico di questa consapevolezza, di questa enormità, i più, non potendo guardare altrove, scelgono la mistificazione. Noi scegliamo il dolore. Perciò quando osserviamo scorrere il cadavere sulla Senna non ci turbiamo troppo, perciò parliamo ancora con il leone che, bontà sua, ogni volta ci guarda, commiserandoci.