Riprendiamo le pubblicazioni dopo qualche problema tecnico, non dovuto a sabotaggi di alcun genere, ma solo alla stupidità della tecnologia. Lo facciamo con questo ricordo di Walter Della Monica scritto da Giovanni Lugaresi. D’altra, per ricordare le persone intelligenti e perbene, non è mai troppo tardi. Anzi, bisognerebbe farlo senza curarsi di eventi, date e ricorrenze: ci farebbe molto bene.
*** *** ***
È arrivato agli ultimi giorni rievocando con la figlia Monica i felici anni del Trebbo Poetico e mandando a memoria quell’Inno alla vita del tragico Esenin, uno degli autori a lui tanto cari, insieme a Leopardi, Pascoli, Ungaretti, Cardarelli, e, naturalmente, Dante.
Così, sulle ali della poesia possiamo ben dire, ci ha lasciati, il 26 giugno, all’età di 96 anni, Walter Della Monica (al secolo, Timoteo Spadoni), vittima dei postumi per le ferite riportate in una caduta accidentale nella sua casa di Ravenna. Lascia la moglie Lina e una famiglia di medici: la figlia Monica, neurologa, la nipote Francesca, specializzanda in anestesia e rianimazione, il genero Rosario Mario, chirurgo. Una famiglia, è da dire, legatissima da un profondo sentimento di amore. E questo lato umano, morale, spirituale, è il primo di una personalità straordinaria del nostro tempo nel quale ha lasciato un’impronta culturale non dappoco.
Quello pubblico, infatti, per così definirlo, di Della Monica, riguarda il suo essere stato (utilizzando una definizione che di sé stesso diede a suo tempo Giuseppe Prezzolini) un “impresario di cultura”. Nel senso che, al di là della professione nel campo turistico (con la Viaggi Generali di Ravenna), la sua è stata una vita dedicata alla letteratura – in primis, la poesia.
Dagli anni Cinquanta del secolo scorso con il Trebbo Poetico, itinerante rassegna dei nostri maggiori, da Dante ai contemporanei, in giro per l’Italia e all’estero, avviato insieme a Toni Comello (veneto di Mogliano) in un campeggio dell’Enal a Milano Marittima (estate 1955), fino ai primi anni del nuovo millennio con la Divina Commedia nel mondo, l’attività culturale di Della Monica è stata instancabile, all’insegna di una passione e di una competenza assai rare.
Sue le idee, suoi i programmi, sua l’organizzazione, attraverso quel “Centro relazioni culturali” da lui promosso, che trovò negli amministratori comunali dei sensibili sostenitori, nonché un valido collaboratore nel libraio-editore Mario Lapucci, e che portò a Ravenna fior di autori, studiosi, giornalisti, accademici, uomini di teatro.
I due elementi qualificanti la grandezza di questo “impresario di cultura” sono dunque il Trebbo Poetico (1956-1960), finito su vocabolari e storie della letteratura, elogiato alla grande da Ungaretti, Quasimodo, Montale, Caproni, Cardarelli, Gatto, e da altri importanti poeti, critici, narratori, nonché il Progetto Dante: lettura e commento dell’intera Divina Commedia, affidati a Vittorio Sermonti e realizzati nel giro di tre anni (1995-1997) nella basilica di San Francesco dei Frati minori conventuali dove il Sommo Poeta aveva avuto la prima sepoltura; un progetto eccezionale a livello mondiale, compiutamente realizzato (dopo il tentativo naufragato del Boccaccio), che avrebbe avuto un seguito con “La Divina Commedia nel mondo”, cioè la presentazione e lettura nelle varie lingue nelle quali il poema dantesco è stato tradotto: dal cinese all’arabo, dal persiano al lettone, dall’arabo all’ebraico, e via elencando – Per realizzare quell’idea, quel sogno (per taluni, utopia!), cioè il “primo” Progetto Dante, Walter ebbe la sponsorizzazione della Calcestruzzi diretta allora dall’ingegner Giuseppe Parrello, che aveva saputo convincere con la serietà-credibilità delle sue argomentazioni.
Nel contesto riferito al Sommo Poeta, ecco poi un’altra iniziativa: l’assegnazione del “Lauro Dantesco” (a partire dal 2010) a personalità legate al Poeta, anche sotto il profilo di opere non necessariamente di traduzioni o commenti, premio che il Comune di Ravenna gli avrebbe conferito, una volta lasciata l’attività dopo aver superato il traguardo dei 90 anni.
Ma se i due capisaldi, per così chiamarli, dell’opera di Della Monica sono il Trebbo Poetico (lui e Toni Comello vennero definiti “aedi moderni”) e il Progetto Dante, non vanno certamente trascurati altri elementi-manifestazioni che recano il suo sigillo: il Premio Giornalistico Guidarello, nel quale coinvolse l’Associazione Industriali di Ravenna, e che ha visto fra i vincitori, Vittore Branca e Indro Montanelli, Giovanni Spadolini e Carlo Bo, Riccardo Muti e Gianni Brera, Giuseppe Longo e Giorgio Bocca, nonché i premi Nobel Carlo Rubbia e Rita Levi Montalcini; la fondazione nel 1974 di quel Centro Relazioni Culturali che settimanalmente vedeva a Ravenna conferenze, convegni, dibattiti con esponenti del mondo della letteratura, del giornalismo, della scienza – due nomi per esempio: Carlo Sgorlon e Giuseppe Berto, senza contare che ampio spazio ebbero le presentazioni di biografie e libri postumi di Giovannino Guareschi…
Della Monica è stato anche autore di articoli e servizi vari apparsi sulle pagine della Fiera Letteraria diretta dal poeta amico Vincenzo Cardarelli, del Resto del Carlino, della Piè (rivista romagnola), di altre pubblicazioni, nonché di libri quali “I dialetti e l’Italia” – inchiesta pubblicata da Giuseppe Longo nella collana Il Timone della Pan editrice.
Ci sono infine (ma “non ultimi”) due fiori all’occhiello veri e propri, nella vita e nell’attività di questo straordinario personaggio. Intanto, la raccolta, la curatela, la pubblicazione di elzeviri e testi vari del prete scrittore Francesco Fuschini, da L’ultimo anarchico (Edizioni del Girasole di Mario Lapucci) a Parole poverette (Rusconi) a Mea culpa e Vita da cani e da preti (Marsilio), per citare qualche titolo – è certo che senza Walter, don Fuschini, privo di spirito di iniziativa per quel che riguardava la sua notorietà, non avrebbe pubblicato quelle pagine che indussero Giuseppe Prezzolini a definirlo il miglior scrittore cattolico vivente.
E che dire della riscoperta e della riproposizione di un grande dimenticato della letteratura, quel Dante Arfelli, autore de I superflui e de La quinta generazione, capolavori apparsi (e tradotti all’estero) nell’immediato secondo dopoguerra, prima che l’autore finisse nel tunnel della depressione?
Negli anni Novanta del secolo scorso, Walter raccolse in un libro vecchi (ma sempre freschi, godibili) elzeviri col titolo Quando c’era la pineta (Edizioni del Girasole), affidando poi a Marsilio pagine di appunti, notazioni, riflessioni dell’ultimo Arfelli: Ahimè, povero me.
Un profondo segno di amicizia, di generosità, emblematico di quella fedeltà romagnola della quale Walter era eloquente esempio, è rappresentato infine, dal vitalizio previsto dalla Legge Bacchelli, ad Arfelli assegnato proprio grazie a una campagna di raccolta firme avviata da Della Monica e alla quale aderirono, fra gli altri, esponenti del mondo politico come Giulio Andreotti e Giovanni Spadolini, nonché scrittori, giornalisti, accademici.
Il che ci fa concludere, nell’omaggio a questo importante “impresario di cultura” operante in provincia (ma non affetto da forme di “provincialismo”!), definendolo uomo di profonda umanità, dal grande cuore. Così, come si era rivelato in famiglia, si era confermato con gli amici…
E adesso, che, per dirla col “suo” Cardarelli, è passato “il miglior tempo della nostra vita”, non ci resta che dirgli “addio”, e un grazie immenso, di riconoscenza.