Ancora il 2 giugno
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Sorvoliamo per un istante sul fatto – che varie volte abbiamo già affrontato – che ormai lo Stato italiano, e quindi la Repubblica, è in liquidazione, tanto dal punto di vista prettamente statuale che da quello politico-democratico ed economico, e soffermiamoci di contro sugli eventi di quel 2 giugno (e giorni seguenti) di settant’anni or sono.
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Ancora il 2 giugno
di Massimo Viglione
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Stiamo per vivere i settant’anni della Repubblica Italiana. E, come sempre, da sempre (esattamente dal 1948), il 2 giugno è festa nazionale, la “festa della repubblica”. Insieme al 25 aprile, è l’unica festa di carattere storico che questo Stato ha conservato (da notare che la festa del 4 novembre, giorno della vittoria della Prima Guerra Mondiale, è stata abolita, mentre è stata conservata quella del 25 aprile, ovvero della sconfitta della Seconda Guerra Mondiale…), con tanto di parata militare ancora oggi, frecce tricolori e sfilata di politici di ogni genere e tipo.
Sorvoliamo per un istante sul fatto – che varie volte abbiamo già affrontato – che ormai lo Stato italiano, e quindi la Repubblica, è in liquidazione, tanto dal punto di vista prettamente statuale che da quello politico-democratico ed economico, e soffermiamoci di contro sugli eventi di quel 2 giugno (e giorni seguenti) di settant’anni or sono. Da sempre si è detto, “gira voce”, “si sa”… che il plebiscito fu truccato con evidenti brogli elettorali, ma da sempre non se ne vuole parlare, non ci si vuole credere, si evitano polemiche, non solo ovviamente da parte di tutto il grande blocco repubblicano, ma anche da parte di quello monarchico sabaudo, oggi ridotto al lumicino, ma a quei tempi, e ancora per tutti gli anni Cinquanta, tutt’altro che secondario. Lo stesso Umberto II, come noto, accettò di lasciare l’Italia proprio per evitare la guerra civile, essendo chiaro che la vittoria repubblicana era frutto di brogli, essendo ben noto che tutto il meridione era quasi completamente monarchico e anche nel settentrione vi erano pesanti minoranze antirepubblicane (per non parlare del grandissimo rischio – da parte repubblicana – che costituivano le forze armate). Si può discutere la scelta del “Re di maggio”, ma rimane indubbio ed evidente il fatto che egli volle evitare la guerra civile accettando l’esilio forzato, il che dimostra inequivocabilmente che i meri “numeri” erano tutt’altro che definiti e che gli italiani erano non solo divisi in due, ma lo erano anche geograficamente (ciò che indubbiamente favorisce una guerra civile), con la differenza che il nord repubblicano era molto meno compatto del sud monarchico.
Ma non c’è solo questo. L’intera operazione fu gestita da esponenti radicalmente e fanaticamente repubblicani (e questo anche per responsabilità democristiana, specialmente di De Gasperi): ovvero, Giuseppe Romita come ministro degli Interni e tale Palmiro Togliatti come ministro di Grazia e Giustizia.
Romita scrisse anche un libro su quegli eventi, Dalla monarchia alla repubblica (Pisa, Nistri & Lischi, 1959), la cui lettura è molto istruttiva. Non possiamo ora descrivere tutti i passaggi, le preoccupazioni di Romita quando apparve chiaro che con l’arrivo – in ritardo – dei voti del Sud il leggero vantaggio della repubblica sarebbe stato certamente ribaltato (preoccupazione non solo ideologico-personale, ma, come egli stesso ammette candidamente, soprattutto nei confronti di Togliatti e Nenni…), i suoi sforzi per gestire quelle ore decisive per la storia d’Italia, specie tra il 4 e 5 giugno. Ma limitiamoci al punto essenziale degli eventi, per capire come avvenne il “fattaccio”.
Come a tutti noto, lo stesso Romita ammise che vi era stata una notte in cui era chiaro il vantaggio monarchico, precisamente alle 2 del mattino: del resto, lo scrive nel suddetto libro a posteriori, ma lo aveva detto più volte fin dai giorni seguenti del plebiscito. Ora, siccome l’esito della vittoria repubblicana fu divulgato già il 5 giugno, è chiaro che l’unica notte possibile del “vantaggio monarchico” non può che essere quella tra il 3 e il 4. E questo infatti egli scrive nel suo libro del 1959.
Peccato però che i primi risultati giunsero al Viminale solo alle ore 8 del mattino del 4 giugno (e, d’altronde, questo è logico: come si poteva pensare, a quei tempi, di avere dei risultati già ampi ancor prima di tale minimale soglia cronologica?). Non solo: questi risultati provenivano quasi completamente dal nord, dove la maggioranza era nettamente repubblicana. Si trattava di 3.922 sezioni scrutinate (di cui solo 427 appartenevano alle regioni di orientamento monarchico, dal Lazio in giù) su 35.206 complessive. E, infatti, il “parziale” era favorevole alla Repubblica, con 1.508.851 voti contro 847.851.
Ora, è evidente quindi che la notte favorevole alla monarchia non poteva essere quella tra il 3 e il 4, ma, per esclusione, solo quella tra il 4 e il 5. Ma è proprio qui che nasce il problema. Nella notte tra il 4 e il 5 erano ormai arrivati non solo tutti i voti del nord, ma anche quasi tutti quelli del centro-sud. Se alle 2 della notte tra il 4 e il 5 il voto era favorevole alla monarchia, e mancavano solo una parte dei voti del sud – che, come detto, era massicciamente monarchico – come è accaduto che alla mattina del 5 giugno ha vinto la Repubblica con uno scarto di due milioni di voti? Da dove sono saltati fuori?
Un vero miracolo! Un miracolo repubblicano.
Certo, nel suo libro del 1959, Romita retrodata la notte della vittoria del momentaneo vantaggio monarchico al 3-4 giugno. Ma abbiamo visto che ciò non è possibile, perché in quella notte non era ancora arrivato nessun voto, nemmeno dal nord e tanto meno dal sud, e quindi non poteva esservi nessun momentaneo vantaggio della monarchia. Perché allora scrive una tale evidente falsità? Semplice: siamo ormai nel 1959, tredici anni dopo, pericolo comunista sepolto, repubblica salda in mano al ceto dirigente democristiano, e, soprattutto, occorre considerare due fattori chiave ulteriori: 1) siamo alla vigilia del centro-sinistra… 2) Da poco non è più papa Pio XII, ma è iniziata la rivoluzione roncalliana del nuovo corso della Chiesa, che porterà al Concilio Vaticano II. Non era proprio il caso, nemmeno per i democristiani più conservatori e forse ancora monarchici nell’anima, andare a “disturbare” il clima generale voluto anzitutto dallo stesso Vaticano di allora (analogie con il presente?). Ecco spiegato perché Romita poté spudoratamente ma anche tranquillamente modificare la realtà storica senza rischio di critica alcuna, né dal mondo culturale (da sempre in mano alla sinistra), né da quello mediatico-politico, o di sinistra o democristiano che fosse.
Al di là dell’incontestabile procedimento cronologico suddetto e delle voci (sempre esistite ma mai ovviamente concretamente dimostrate), del fatto che Romita avesse nelle stanze del Viminale valigie piene di schede elettorali “precompilate” e che furono viste persone prima entrare e poi uscire con queste valigie nei giorni decisivi del post-referendum, vi sono anche altre prove della vittoria monarchica. Una lettera di De Gasperi del 4 giugno dove si parla della quasi certa vittoria monarchica. Nell’edizione del Gazzettino di Venezia del 5 giugno, Enrico Mattei svela che non solo ormai è certo che anche Marche e Umbria sono andate alla monarchia, ma che addirittura molti socialisti al nord hanno votato per la monarchia, tanto è vero che auspica una futura radicale apertura di Casa Savoia a un’adeguata politica sociale e poi conclude con la notizia del sorpasso della monarchia avvenuto con l’arrivo dei voti del sud alle due della notte appena trascorsa (ovvero, quella del 4-5 giugno: cvd).
In pratica, il calcolo sulla progressione in voti delle due forme istituzionali si ricostruisce come segue: prima della mezzanotte (del 4-5), su circa 16 milioni di voti, vantaggio repubblicano di circa 800.000 voti (8.400.000 contro 7.600.000); da mezzanotte alle due, con l’arrivo della massa dei voti centro-meridionali, su 19 milioni, vantaggio monarchico nell’ordine di circa un milione (10.000.000 contro 9.000.000).
Però, la mattina del 5 ha vinto la repubblica con uno scarto di due milioni di voti!
Se Re Umberto II avesse chiesto, come avrebbe dovuto fare, una perizia tecnica del voto, questo fatto oggettivo avrebbe potuto costituire il punto di partenza. Ma la perizia non venne chiesta da nessuno. Il “Re di maggio” se ne andò dall’Italia, con lo stile e la sobrietà che gli erano propri e con l’aura del re pacifico che sacrifica se stesso e la sua dinastia per non precipitare il suo popolo nella guerra civile, ma, occorre dire, in fondo, imitando, almeno nella sostanza dei fatti, suo padre, che al momento critico dell’8 settembre del 1943 lascia Roma incustodita e gli italiani in balia degli invasori. Per correttezza storica: il padre si comportò da scellerato vigliacco, il figlio da benpensante borghese “padre di famiglia”. Quindi, dal punto di vista sia umano che politico che morale vi è un abisso qualitativo tra i due sovrani: ma rimane il fatto che nessuno dei due si comportò da Re. A meno che, al figlio non fecero sapere che se fosse rimasto sarebbero accadute cose per le quali l’esilio era assolutamente il male minore… Ma, anche in tal maniera, la sua scelta rimane sempre una scelta non regale. Soprattutto tenuto conto del fatto che – e Umberto non aveva alcun dubbio a riguardo, come ebbe chiaramente di dire – il referendum era stato invalidato dai brogli di Romita e soci.
Concludiamo con una riflessione storico-politica sulla Repubblica Italiana. La Repubblica Italiana non è mai stata uno Stato realmente sovrano e indipendente, avendo, fin dal primo giorno della sua nascita, forze militari straniere sul suo territorio e finanze controllate da questi stranieri, ma almeno nella prima parte della sua esistenza era riuscita a pagare questo innato deficit garantendo ai suoi cittadini una sorta di benessere generalizzato, la libera iniziativa economica e una certa libertà personale. Poi però questa repubblica ha scelto di “guardare a sinistra” nei fatti (come ebbe a dire De Gasperi) e divenne la repubblica dei servizi segreti “deviati”, delle stragi di popolo, del terrorismo ideologico, della criminalità organizzata, della corruzione endemica, del fallimento di ogni politica burocratica e sociale, della disoccupazione, del dis-funzionamento in ogni settore della vita pubblica, oltre al contempo a essere anche la repubblica del Sessantotto, con divorzio, aborto, droga, pornografia, ecc. ecc. Quindi, da Tangentopoli in poi in poi, questa repubblica si è venduta non solo agli americani, ma anche all’Unione Europea, rinunciando alla propria sovranità monetaria, e poi a quella politica, quindi alla democrazia stessa, per finire oggi invasa e distrutta (una distruzione concreta di cui siamo solo agli inizi). Una repubblica così – e quanto altro si potrebbe e dovrebbe aggiungere! – poteva solo nascere dall’inganno e dalla menzogna, e andare avanti con l’inganno e la menzogna; e, possiamo essere fiduciosi, morirà presto nell’inganno e nella menzogna. Cosa ci festeggiamo il 2 giugno?
E ora una riflessione metastorica su Casa Savoia. I Savoia sono una delle dinastie più antiche d’Europa, il cui capostipite Umberto Biancamano divenne Conte addirittura nel 1032! Da allora è stata sempre una dinastia cattolica e fedele alla Chiesa. Ha fornito alla società cristiana vari santi e beati e grandi condottieri, fra i più celebri. Ma nel 1834 la linea diretta si estinse con Carlo Felice, e divenne Re il ramo cadetto dei Carignano, quello appunto che, aderendo alla Rivoluzione Italiana e alle forze sovversive e massoniche, permettendo la guerra alla Chiesa e alla società del Trono e dell’Altare, occupando militarmente gli altri Stati italiani e rubando letteralmente i troni altrui, reprimendo spietatamente e a volte barbaramente le rivolte degli italiani fedeli alle antiche e legittime dinastie, privando il Papato dello Stato Pontificio, depredando le casse degli Stati preunitari, riducendo il Meridione a colonia di sfruttamento e provocando così l’emigrazione di milioni di italiani, ebbe il “merito” dell’unificazione statuale dell’Italia.
Questa unificazione, nel biennio 1959-60 e poi nel 1866 in Veneto, venne sempre formalmente ratificata dal ridicoli plebisciti popolari, in cui votava il 2% della popolazione (e il voto era palese e non segreto…) e i cui risultati erano sempre favorevoli al 99% per Casa Savoia… Un vero e proprio furto organizzato.
Questa stessa dinastia, nel 1946, ovvero ottant’anni precisi dopo la barzelletta del plebiscito del Veneto, rimase vittima di un plebiscito truccato. La storia ha una sua giustizia e i popoli, gli Stati, come le dinastie, vengono premiati o puniti su questa terra, non potendo avere una persistenza nell’altra vita. I greci la chiamavano nemesi storica. Noi la chiamiamo Provvidenza e Giustizia divina.
Chi scrive certamente non è repubblicano, bensì monarchico. Ma, soprattutto, non aderisce con il cuore e con la mente alla Repubblica Italiana in cui, suo malgrado, è nato e vissuto finora. Ma, deve ammettere che, al solo pensiero di chi sarebbe salito sul Trono italiano alla morte di Umberto II e di chi potrebbe salire alla morte di costui… ringrazia con tutto il cuore la Provvidenza divina, che vede infinitamente più lontano di noi e che si serve anche di Giuseppe Romita per iniziare a far trionfare la sua giustizia. Ho detto iniziare, perché il trionfo vero della giustizia divina in Italia vi sarà il giorno della restaurazione di una dinastia o più dinastie e di governanti veramente cattolici. È un sogno? Beh, per il momento due certezze ci sono: 1) come è ridotta umanamente la dinastia sabauda; 2) come è ridotta statualmente, politicamente, economicamente, militarmente e umanamente la Repubblica Italiana. Se si pensa a questo, ci si accorge che forse ogni sogno è possibile, e pure in tempi che potrebbero risultare inaspettatamente brevi. Visto anche ciò che sta accadendo nel mondo intero. Ma, molto dipende dagli italiani stessi. E qui il discorso, purtroppo, si complica. Noi possiamo solo cercare di aiutare a far luce storica e politica.
7 commenti su “Un’altra Storia è possibile. Rubrica di studi storici di Massimo Viglione”
Grazie Professore.
Lei sa molto bene cos’era e dov’era il Ducato di Savoia (nato nel 1400 dalla Contea, e poi “fuso con lo Stato Sardo” quando i Duchi ebbero il titolo regale, all’inizio del XVIII secolo): un piccolo Stato militare delle Alpi Occidentali, spesso alleato con l’Impero e pressato dalla Francia, fino al duro assedio di Torino del 1706).
Per chi è interessato, segnalo l’interessante cartina, riferita al 1700
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/f8/Lands_of_Victor_Amadeus_II%2C_Duke_of_Savoy.PNG
Il Ducato è TUTTO savoiardo, di lingua francese -è ovvio; ne dipendono storicamente il Pricipato di Piemonte (Occidentale), il Ducato di Aosta (francesizzante), la Contea di Nizza (italianizzante).
La capitale era stata spostata a Torno nel XVI secolo, ma la lingua di Corte era ovviamente il Francese. L’antico campo militare romano sulla via delle Alpi, Augusta Taurinorum, era diventato il campo militare dei Savoia sulla via d’Italia
La lingua di Corte sarà anche stata il francese (come d’altra parte quella della stragrande maggioranza delle Corti europee), ma da Emanuele Filiberto (1562) in poi sia per la redazione degli atti pubblici che come lingua ufficiale di Stato era d’uso l’italiano.
Concordo con l’ottimo Viglione : i Savoia del ramo primigenio furono sempre fedeli al Cattolicesimo e, anzi, diedero all’Europa, grandi condottieri che contribuirono ben più di altri e con nomi di uindiscusso spicco a preservare eroicamente l’ Europa dalla sottomissione islamica, (a diferenza dei “cristianissimi”, di nome ma non di fatto, Borboni di Francia troppo spesso per biechi motivi politici, invece, filo-islamici….E questa è indiscutibile Storia…..) Dunque si dia a Cesare ciò che a lui spetta e non si valuti, o peggio si confonda, per una ormai puerile contrapposizione antistorica, la Casa Sabauda TUTTA con il metro degli ultimi 160 anni, certamente nefasti per la nostra Penisola.
Sono d’accordo che i Savoia siano stati attivi nella lotta per la salvaguardia dell’Europa dall’Islam.
Aggrediti dalla Francia del “Re Sole”, dedita a un’espansionismo che prelude a quello giacobino, basato su una mentalità analoga (“Faccio gli interessi dello Stato-che sono io stesso- e non quelli della Chiesa”).
Però sottolineo che presentare il regno di Sardegna (diventato “Regno” assumendo il titolo dallo Stato Sardo) come “uno degli “stati italiani che si attiva per l’Unificazione d’Italia”, come è stato fatto nell’Ottocento e viene fatto anche oggi, è falso e supera i limiti del ridicolo. Piuttosto si trattava di uno Stato alpino, con radici chiaramente transalpine, che premeva verso Sud-Est. Uno Stato strutturalmente militare, a differenza degli Stati italiani.
Genova ne sa qualcosa. Il monte della Guardia, dove la Madonna apparve nel XV secolo, era usato per osservare il possibile avvicinamento non solo di navi ostili, ma anche di soldati piemontesi
P.S. Romita, socialista piemontese, fondatore del PSDI fra gli anni ’40 e gli anni ’50: social-massoni-borghesi.
Togliatti, torinese nato a Genova per gli spostamenti di lavoro del padre (ex-seminarista). Chiamato Palmiro perchè nato il giorno della Domenica delle Palme
Nato il 17 Febbraio del 1930, in una famiglia di patrioti monarchici e di destra, ho ben vivo il ricordo e lo sgomento che colsero la maggior parte degli italiani anche nella mia rosseggiante Bologna all’annunzio della ‘vittoria della repubblica’. Così come ricordo che un venditore nell’azienda di mio padre, comunista e reduce dalla lotta partigiana in Francia, pure manifestando la delusione per la sconfitta del Fronte Popolare, termino i suoi commenti dicendo, se vinceva a monarchia ‘noi’ non saremmo stati fermi ed avremmo ripreso le armi. Questo per dire, se vi fossero dubbi qual’era la fedeltà ai principi democratici tanto sbandierati, a parole dai comunisti e compagnia brutta.
Nelle condizioni in cui eravamo tutto quello che è successo era inevitabile. Quando Mussolini, con il patto d’acciaio, ha ceduto la sovranità dell’Italia alla Germania, casa Savoia ha accettato. Dopo è stato un susseguirsi di cedimenti, mentre un terzo degli italiani farneticava di rivalse e di dittatura del proletariato. Solo un uomo difese l’Italia e la Chiesa: Pio XII, il cui ricordo oggi è molto impopolare. In Italia facciamo a gara a chi più cede. Per arrivare primi in questa gara eravamo pronti a scannarci. Adesso gli eredi dei comunisti di allora hanno deciso di spostare le loro simpatie verso gli americani. Ma c’è anche l’Europa. Ricordo Bersani e Napolitano che sbavavano sulla necessità di cedere parte delle nostra sovranità all’Europa. Adesso Mattarella riprende il coro con rinnovato entusiasmo. Nessuno si accorge che non si può cedere ciò che abbiamo già venduto. Renzi con le parole ha provato ad invertire la rotta. Già con le parole…
La ringrazio professore per quanto ha scritto.Voglio sognare anch’io.