di Fabio Trevisan
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A chi capitasse di recarsi al Museo di Don Camillo e Peppone a Brescello, consiglierei di fermarsi a meditare su una frase di un canonico che aveva conosciuto Giovannino Guareschi nel lager dove era stato fatto prigioniero dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943. La frase recita all’incirca così: “Guareschi ha salvato più anime di tutti noi cappellani militari insieme”. Com’era stato possibile questo? Eppure, leggendo le straordinarie opere che egli scrisse nei due anni di prigionia (1943-1945), che vanno dal Diario clandestino alla Favola di Natale, se ne sarebbe dovuto dedurre che il Giovannino della Bassa parmense proprio là dove la crudeltà dell’uomo aveva compiuto gesti e azioni disumani ed efferate egli aveva trovato la fede, la speranza e la carità. Queste tre virtù teologali le aveva riversate nei suoi scritti, contrapponendo alla disperazione la grazia, alla ferocia l’umanità, all’odio l’amore.
Aveva ragione il canonico: soltanto un umorista colmo di profonda umanità e umiltà avrebbe potuto portare il messaggio salvifico di Cristo e la Sua luce in quei posti bui e orribili e permettere così anche ai suoi compagni di prigionia di intravedere un fioco lumicino di speranza cui aggrapparsi per fuggire dal tunnel della disperazione. Ricordiamo le muse ispiratrici che resero prodigiosamente possibile la recita della Favola di Natale nello Stalag XB di Sandbostel la sera del 24 dicembre 1944: Freddo, Fame e Nostalgia. Giovannino Guareschi ne evocava la “potenza” in questo modo: “I violinisti non riuscivano a muovere le dita per il gran freddo…Le voci faticavano a uscire da quella fame vestita di stracci e di freddo. Ma la sera della vigilia, nella squallida baracca del “teatro”, zeppa di gente malinconica, io lessi la favola e l’orchestra, il coro e i cantanti la commentarono egregiamente…”. In quelle condizioni impossibili Giovannino Guareschi aveva reso possibile un vero incontro tra l’umano e il divino, aveva fatto sì che Dio potesse accedere in quei cuori così tristi e che si potesse riservare un posto, in quei luoghi gelidi del Nord Europa, per il Natale del Salvatore.
Proprio là dove l’abbruttimento dell’uomo era perseguito sistematicamente e dove la libertà era conculcata, Guareschi aveva permesso alla luce soprannaturale divina di toccare quelle povere anime. Nella miseria materiale oggettiva, la fame e il freddo non ebbero il sopravvento sulla ricchezza spirituale e morale e così fu possibile realizzare un’autentica Favola. Giovannino non si lasciò vincere dall’odio, dal desiderio di vendetta ed in questa prospettiva va percepita quella sua paradossale e famosa esclamazione: “Non muoio neanche se mi ammazzano!”. La cornice entro la quale collocare la redenzione della sofferenza è quindi quella reale e metafisica presente nella “Favola di Natale” e non si può comprendere l’opera adeguatamente se si prescinde dall’irrompere del soprannaturale. Tento qui di riassumerne la strabiliante portata, rimandando alla lettura completa o, meglio, alla rappresentazione teatrale quanti volessero apprenderne i contenuti più profondi. Innanzitutto la “Favola di Natale” è stata corredata dall’autore (che era anche un valente disegnatore) da numerose illustrazioni e fu musicata dal compagno di prigionia Arturo Coppola, che, a sua volta, aveva accompagnato la recita con la fisarmonica. Come tutte le favole che si rispettano, Guareschi iniziava con la più classica: “C’era una volta un prigioniero…” e il prigioniero era lui, e come lui molti altri : “Noi pensavamo allora alle cose più umili della vita consueta come meravigliosi beni perduti, e rimpiangevamo il sole, l’acqua, i fiori come se ormai non esistessero più…”.
Guareschi, come aveva ricordato nel suo Diario clandestino, non chiudeva il suo cuore dinanzi alle brutalità vissute ma, al contrario, faceva entrare e uscire un mondo di affetti, di consolazioni, di dolci ricordi nonostante i divieti, il filo spinato e ammoniva quella Signora Germania che nulla sarebbe servito a impedire la custodia di quelle tenere memorie. Nella “Favola di Natale” immaginò così di incontrarsi nel bosco, potremmo dire a mezza strada tra necessità contingente del reale e miracolo della finzione, con il figlio Albertino e la nonnina, sua mamma; in altre parole egli evocava il futuro e il passato, richiamando il suo grigio presente. Egli fungeva da tramite per arrivare a tutte le mamme e i figli e quindi a tutte le famiglie lontane dei compagni di prigionia: “Io vi racconterò una favola, e voi la racconterete al vento di questa sera, e il vento la racconterà ai vostri bambini. E anche alle mamme e alle nonne dei vostri bambini, perché è la nostra favola: la favola malinconica di ognuno di noi”.
Nella “Favola di Natale” ciascuno parte realisticamente laddove momentaneamente vive : Albertino e la nonna, con il cane Flik e la lucciola con il naso a faretto per illuminare il cammino, partono dalla loro casa e il povero Giovannino dal lager, la sua momentanea “abitazione”. Le avventure durante il viaggio fanno incrociare personaggi buoni e cattivi per rammentare che il pellegrinaggio terreno sempre richiama la presenza ed il combattimento tra il Bene e il Male. Il cielo è costellato di stelle ma anche di bombe e nel firmamento possono apparire gli Angeli ma anche i missili. Ognuno si fa portatore così di un carico di odio ma anche di un carico di amore. Guareschi può così introdurre all’incontro con il Bambino Gesù, la Vergine Maria, Sua Madre, e S.Giuseppe. La “Favola di Natale” si realizza e in questo compimento inaudito e umilissimo arrivano i Re Magi: “Io porto al Figlio di Maria oro perché Egli è il buon Re degli uomini di buona volontà. Io gli porto incenso perché Egli è Dio della bontà e sacerdote del Dio della bontà. Io gli porto mirra perché Egli è Dio ma, nella Sua divina bontà, vuol soffrire e morire come un uomo”. In questa “Favola” accadono altri miracoli, anche se inscritti nel prodigio della Natività: c’è la Poesia che vola sulle ali del Vento che la porta lontana; c’è la Locomotiva che, nonostante gli sbuffi dei suoi stantuffi, conduce la famiglia umana di Guareschi fin dove può; c’è il Signor Buonsenso che tiene viva la coscienza; c’è un Babbo Natale con la gerla vuota di doni; c’è la Formica stanca di risparmiare e tanti, tanti altri animali parlanti. Tutti concorrono a realizzare, con i propri modesti mezzi e talenti, il Paese della Pace o il Paese della Guerra. Il Gufo saggiamente ricorda: “Esistono sulla Terra il Paese della Pace e il Paese della Guerra. Il Paese della Pace è tutto sole e azzurro, e i campi sono pieni di bionde messi, e fiori sbocciano ovunque, in riva ai fiumi, nei boschi…E i suoi abitanti lavorano la terra e tutti hanno un orticello nel quale coltivano amorosamente…”. In questo viaggio fantasioso dove mai vien meno il contatto con il reale, Giovannino finalmente può incontrare il figlio e sua mamma e, nel ricordo della Carlotta e della moglie, festeggiare nel bosco il Santo Natale.
Personalmente credo che la “Favola di Natale” dovrebbe essere fatta conoscere nelle scuole, nelle famiglie, nelle parrocchie e plaudo al fatto che in alcune parti d’Italia sia rappresentata.
Essa non solo è estremamente attuale ma può costituire un possibile rimedio ai nostri mali che tuttora stiamo vivendo. Quel mondo della “Pace” ha a che fare, sembra ammonire Guareschi, con la coscienza del peccato e della presenza del Male. Sappiamo che lo scrittore di Fontanelle di Roccabianca privilegiava il primato della coscienza a tal punto che irrideva i cosiddetti “trinariciuti”, ovvero coloro che versavano il proprio cervello all’ammasso. Amava soprattutto la famiglia ed era ben consapevole che solo la Sacra Famiglia poteva davvero preservare la famiglia tradizionale. Sapeva che se avessimo tolto il Bambino avremmo tolto la Vita. Sapeva anche che se avessimo escluso Dio avremmo privato la natura umana del suo vero sostegno, poiché soltanto ponendo la Sacra Famiglia al centro si poteva ricostruire la famiglia umana.
La “Favola di Natale” di Giovannino Guareschi rappresentava e condensava così la favola di una famiglia ricongiunta, in cui il padre, la madre, i figli, i nonni si ritrovavano alla luce e ai piedi dell’umile grotta. Dinanzi a quel vagito Divino e all’Amore infinito e traboccante, egli aveva attinto a pieni mani. La sua fantasia, la sua volontà si intrecciavano con quel miracoloso evento, che solo una grande Favola poteva raccontare. In una forma artistica Giovannino Guareschi ha voluto farci vedere questo scenario, tra pienezza dell’umano e grazia divina. La sua famiglia, come tutte le altre famiglie dei compagni di prigionia, era completata dalla Sacra Famiglia. Il Natale vissuto con i suoi cari era il Santo Natale cristiano con Gesù, Giuseppe e Maria.
2 commenti su “Una favola ancora attuale: la “Favola di Natale” di Giovannino Guareschi – di Fabio Trevisan”
La favola che il Guareschi prigioniero inventa non è altro che il totale affidamento del vero cristiano nelle braccia di Dio; il confidare nella Provvidenza, l’anteporre la volontà del Creatore a quella della Sua creatura, insomma, la testimonianza di una fede incrollabile, di una speranza viva, di una carità fraterna. E’ la presentazione, in un Natale di guerra, del senso di quel santo presepe dove Gesù, Giuseppe e Maria sono il significato di tutto l’umano possibile perché intriso del divino da cui tutto ha origine. Tolto Gesù dal presepe tutto si spegne e niente ha più valore.
Caro Fabio, non solo La Favola di Natale, ma tutto Guareschi dovrebbe essere conosciuto nelle scuole e nelle parrocchie. Sarebbe quel catechismo che Giovannino avrebbe potuto scrivere, ma non scrisse. Peccato.
Bellissimo l’articolo e straordinario come sempre il suo profondissimo
commento, carissima Tonietta.