Torno adesso dal giro in libreria alla ricerca di qualche idea per le letture estive. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. Il reparto narrativa trabocca di titoli promettenti come “ Lascia perdere, si è fatto tardi”, “Torni per cena?” “Però me l’avevi detto”, e così via. Non sono titoli che intimidiscano, anzi . Del resto gli autori sono proprio gente come noi: a parte la buona percentuale di coloro che lavorano nei giornali e nelle televisioni, ai quali un libro edito da uno qualsiasi dei grandi brand editoriali non si nega mai, c’è la tardiva vocazione dell’avvocato di Frattimpozzi, o dell’operatore ecologico di Spalumbate, che al primo romanzo sono stati tradotti in 56 lingue e recensiti con sperticata lode dai più autorevoli critici letterari del mondo, come assicurano i retro di copertina.
Mentre un soprassalto di esagerata prudenza e di scrupolo verso il lettore meno avvertito mi inducono a scrivere che i sopra citati titoli e località sono frutto di fantasia e di un pelino di acidità di stomaco e che dunque ogni somiglianza con opere, professioni, luoghi reali è puramente casuale, resta il fatto che è davvero difficile districarsi in tanta abbondanza.
Allora mi metto nei panni del libraio davanti a un lettore che gli si rivolgesse così : “ Guardi, negli ultimi tempi mi sono interessato soprattutto di transumanesimo, false emergenze globali, malthusianesimo e regimi distopici. Lei capisce, mi sento un po’ affaticato. Non avrebbe qualcosa di più leggero da consigliarmi ?”
Il libraio, che vorrebbe tutti leggessero almeno 1984 di George Orwell o Il mondo nuovo di Aldous Huxley e ne cogliessero le sorprendenti somiglianze con i tempi correnti, capisce questa volta la stanchezza del lettore, vi ravvisa forse qualche affinità col suo stesso stato d’animo e si prova a dargli qualche consiglio.
Francesco Piccolo, La bella confusione, Einaudi. Per chi ama il cinema, e in particolare la grande stagione degli anni Cinquanta e sessanta del secolo scorso, lo sceneggiatore e scrittore casertano ci fa conoscere, attraverso una ben congegnata costruzione di racconto parallelo le vicende, circostanze e coincidenze che hanno portato alla realizzazione dei due film capolavoro del 1963: “Otto e mezzo” di Federico Fellini e “Il Gattopardo” di Luchino Visconti (consigliata la visione prima o dopo la lettura del romanzo). Piccolo ci dice la rivalità accesa tra i due registi, il riflesso delle loro idee sulla politica e sulla società del tempo, ci racconta aneddoti divertenti sugli attori e sui protagonisti della vita culturale dell’epoca: Claudia Cardinale (irresistibile nella foto di copertina) contesa tra i due registi, Ennio Flaiano che litiga con Fellini dopo anni di amicizia e feconda collaborazione, Burt Lancaster, Pasolini, Tomasi di Lampedusa e molti altri ancora. Il titolo del libro è quello che provvisoriamente era stato immaginato per Otto e mezzo.
Francois Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, il Saggiatore. Se il libro precedente avesse riacceso la vostra vocazione di cinefili questo è il libro giusto per alimentarla: quasi trecento pagine di dialogo tra due maestri assoluti, nel quale Truffaut intervista Hitchcock e ne ripercorre la carriera dagli inizi giovanissimo nella nativa Inghilterra fino all’ approdo americano, film dopo film dei quali vengono raccontati, tecnica, retroscena, intenzioni dell’autore, spiegazioni dei dialoghi e delle inquadrature, ed altro ancora. Faccio mio il giudizio che vedo in copertina: “Il più divertente libro di cinema che sia mai stato scritto”. O almeno di quelli letti dal vostro libraio.
Carlo Salsa, Trincee, Rizzoli. Qui il libraio ci ha pensato un attimo prima di suggerire il titolo, perché la descrizione degli orrori della prima guerra mondiale, anche per analogia con le vicende dell’attualità, rischia di riportare il lettore a quei pensieri che almeno sotto l’ombrellone voleva evitare. Però questo racconto autobiografico di un giovane ufficiale di complemento mandato a combattere sul Carso è davvero tra i migliori del genere per immedesimarsi nella vita in tempo di guerra : quella di trincea, con la descrizione cruda della morte nei vari modi in cui questa sopravviene, e quella dei pochi giorni di riposo riempiti da vessazioni e occupazioni assurde. Ma anche quella dei brevi allontanamenti dal fronte, come quando per un periodo l’autore viene mandato a istruire le reclute a Milano e si rende conto che per quelli che non la fanno la guerra è qualcosa di lontano di cui niente sanno e che in fondo poco li riguarda. Va a trovare conoscenti , “ strette di mano, che piacere, s’accomodi, tè, pasticcini” e conclude : ” brutto affare le visite presso le famiglie che al fronte non hanno nessuno”. Ma l’allontanamento temporaneo dall’inferno lo riconduce anche alla normalità della vita che per un giovane uomo significa soprattutto la necessità dell’amore.