di Paolo Gulisano
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Il mondo non sopporta Cristo, e non sopporta i suoi discepoli, coloro che cercano di seguirlo, di imitarlo, di vivere come Lui ha insegnato. Questo è un dato inoppugnabile della storia. Spesso la Chiesa stessa sembra dimenticarlo, vuoi perché protesa ad abbracciare il mondo, vuoi perché convinta di avere ormai realizzato i propri obiettivi nella realizzazione di Stati “cristiani”. Accadde così anche 500 anni fa, quando un grande santo, un martire, un testimone della Fede pieno di umorismo, forte di una fede salda e lieta, offrì la propria vita per non cedere alle pretese del mondo. Era l’inglese Tommaso Moro. Ma prima ancora di salire sul patibolo, Moro lanciò nella storia un messaggio che dopo mezzo millennio è ancora del tutto attuale. Si trattava di un’opera di fantasia, intitolata Utopia. Inventò il termine utilizzando il greco antico: un “non-luogo”, un luogo inesistente.
Il grande umanista dipinse un opposto idealizzato della società sua contemporanea, che egli sottopose a una satira sottile. La parola Utopia da allora entrò nel lessico comune con il significato di sogno, di progetto, di immaginazione proiettata sul futuro.
Eppure Moro era tutt’altro che un sognatore, che un uomo in fuga dalla realtà. Era un uomo estremamente concreto, abituato ad affrontare l’esistenza propria e degli altri, le persone della sua famiglia, coloro i cui casi giudiziari gli erano affidati e che per lui erano sempre prima di tutto persone, e non appunto “casi”. Un uomo che si prendeva cura della vita pubblica, della politica, del bene comune dei suoi concittadini inglesi. Un uomo caratterizzato da una profonda, intensa fede, che anni dopo lo avrebbe portato al patibolo, vittima di quel re che aveva fedelmente servito ma che non seguì nella sua rottura con Roma, con la Chiesa universale. Virtù che secoli dopo sarebbero state riconosciute dalla Chiesa stessa, dopo che lo erano state dal piccolo gregge cattolico di Inghilterra, perseguitato a lungo
Se tuttavia è vero che la parola utopia è molto usata nell’ambito politico e culturale, presenta anche alcuni aspetti religiosi molto importanti. Un’utopia è un assetto politico, sociale nonchè religioso che non trova riscontro nella realtà, ma che viene proposto come ideale e come modello. Indica una meta intesa come puramente ideale e non effettivamente raggiungibile; in questa accezione, può avere sia il connotato di punto di riferimento su cui orientare azioni praticabili, sia quello di mera illusione e di ideale irraggiungibile.
L’utopista – sia come coniatore di utopie, sia come semplice propugnatore, sia come pensatore utopico critico – può quindi essere tanto colui che costruisce le sue ipotesi ideologiche prescindendo dalla realtà – come Lenin, che affermava che se le sue idee non coincidevano con la realtà, tanto peggio per la realtà- quanto colui che indica un percorso che ritiene al contempo auspicabile e pragmaticamente perseguibile. Molto spesso anche il Cristianesimo viene indicato come una “utopia”. La via mostrata da Cristo sarebbe troppo “alta”, impraticabile, e quindi utopica, così come una società fondata sui princìpi cristiani.
Eppure il termine utopia fu coniato da un santo, un martire, Tommaso Moro, che per difendere i suoi ideali, che erano realtà ben concrete, finì sul patibolo. Ideali concreti, e non sogni o visioni ideologiche: la verità, la giustizia, il bene comune del popolo, l’unità della famiglia.
Moro aveva compreso con straordinaria lucidità dove avrebbe portato la strada aperta dal suo ambizioso sovrano: all’esatto contrario di un “luogo buono” in cui vivere, ma ad un paese oppresso da una feroce oligarchia che per egoismo si sarebbe fatta beffe dei valori per cui Moro si battè fino alla morte, pur di non venir meno alla verità.
Quelli in cui Moro pubblicava il suo romanzo erano anni che precedettero eventi eccezionali e drammatici per la storia europea e del mondo: Erasmo da Rotterdam aveva appena scritto – nel 1511- l’Elogio della Follia, e nel 1513 Machiavelli redasse Il Principe, manifesto del pragmatismo politico, dove il fine giustifica i mezzi. Infine, un anno dopo Utopia, nel 1517, Martin Lutero pubblicò le sue tesi, e diede inizio alla Riforma. Si apriva così una stagione non solo religiosa, ma anche politica, che avrebbe sconvolto per sempre gli scenari europei.
Moro venne condannato a morte per “avere parlato del re in modo malizioso e diabolico”.
Moriva testimoniando che c’è un bene più grande di ogni potere e ogni successo mondano per cui vale la pena dare la vita. Dava la vita per i propri amici, per la propria famiglia, per il proprio povero paese che stava a sua volta per andare incontro a un bagno di sangue-
Il 6 luglio 1535 venne decapitato. Le cronache riportarono il modo in cui si avviò al supplizio: con animo sereno, con fede pronta, con umorismo, con grazia.
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Paolo Gulisano ha di recente pubblicato con l’Editrice Ancora il libro “UN UOMO PER TUTTE LE UTOPIE. Tommaso Moro e la sua eredità“.
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2 commenti su “Tommaso Moro: testimoniare con grazia – di Paolo Gulisano”
L’instancabile dottor Gulisano ci regala un nuovo lavoro e stavolta richiamando la nostra attenzione su un uomo affascinante quanto complesso. È interessante notare la collocazione dell’opera, in un momento storico che inaugurò la nascita di tutti i problemi. Da una parte il Machiavelli e il culto del potere contro la libertà dell’Uomo, dall’altra la rivoluzione luterana che sancisce la separazione dell’Uomo dalla vera Chiesa. Due aspetti che viaggeranno parallelamente per incontrarsi nel 1789. Grazie di cuore all’autore.
Thomas More è un cristiano ante CVII perciò “non di moda” ed ha due caratteristiche che lo classificano come “integralista” dire la Verità usque ad mortem e non accorgersi che con Lutero il mondo era cambiato. Bergoglio è in ritardo di 500 anni ma ha già fatto più danni di Lutero in soli 3 anni!