Il Signore degli Anelli è un libro che non solo non finisce mai di conquistare nuove generazioni di lettori, ma anche non finisce mai di essere chiosato e interpretato. D’altra parte si tratta non solo di un romanzo, ma di un vero e proprio universo fantastico creato da John Ronald Tolkien, professore universitario inglese nonché creatore di miti, di cui oggi ricorre l’anniversario della nascita (3 Gennaio 1892).
Quello creato da Tolkien è un mondo di trame, di leggende, di genealogie di elfi e antichi eroi, che aveva preso a modellare nella sua fantasia fin dalla giovinezza e cominciò a prendere forma su quaderni scolastici in cui – a matita – prese a dispiegare l’affascinante cosmogonia. Iniziò così la sua lunga attività di cronista degli avvenimenti delle età della Terra di Mezzo e delle terre situate in un remoto Occidente, portando alla luce imprese di eroi, gesta di valore e fatti terribili, esaltando la bellezza, esecrando il male, offrendo il senso del mistero.
Uno degli aspetti del mondo di Tolkien che da sempre ha catturato l’attenzione di diversi lettori, e soprattutto di molti interpreti ed esegeti, è stata la visione politica del suo autore. Molto è stato scritto nel corso degli anni, e non sempre in modo pertinente. Le letture “politiche” del grande scrittore inglese non hanno quasi mai colto nel segno. Una brillante ricostruzione di questo aspetto è quella dello studioso Luca Fumagalli nel recente volume La società della Contea, Edizioni Novaeuropa. Un libro che ripercorre questo lungo dibattito e ne mette a fuoco i contenuti, con doverose precisazioni e puntualizzazioni. Un ragionamento pacato e articolato, lontano dai furori ideologici di molti che nel corso degli anni hanno provato a tirare per la giacchetta Tolkien da una parte o dall’altra.
Quale era dunque “il Partito della Contea” per il quale il brillante scrittore inglese militava? Era un conservatore, un’ecologista, o forse addirittura un precursore del Sovranismo? Oltre le tesi espresse nelle interessantissime pagine di Fumagalli, vorrei dire la mia, citando lo stesso Tolkien. La citazione è dal Signore degli Anelli, naturalmente, e proviene da un personaggio tanto fondamentale quanto sottovalutato da molti lettori e spettatori dei film tratti dal romanzo: Barbalbero. Un Ent, un pastore di alberi, una creatura antichissima della Terra di Mezzo, che ha visto scorrere molto tempo, eventi, conflitti, personaggi. Grande è dunque la saggezza di Barbalbero nel giudicare la realtà.
Nel corso di una vivace conversazione con i due Hobbit Merry e Pipino, che cercano di convincerlo a scendere in campo nella Guerra dell’Anello, Barbalbero si sente rivolgere una domanda cruciale: ma tu da che parte stai? Ovvero con chi ti schieri, qual è il tuo partito. La risposta di Barbalbero è pronta: “Parte? Dalla parte di nessuno, perché nessuno è dalla mia parte, piccolo orco”.
Questa risposta, venata da una nota di triste amarezza, non impedirà all’Ent di dare il proprio decisivo apporto nella battaglia contro Saruman, contro il disegno dell’Oscuro Signore di imporre al mondo il proprio potere. Tuttavia l’espressione di Barbalbero è molto significativa, e forse potrebbe essere utilizzata come chiave interpretativa per comprendere Tolkien e la sua visione del mondo.
Perché preoccuparsi da quale parte stare, quando nessuno, o quasi, si preoccupa di dove sto io? Ovvero di ciò che mi sta a cuore, in cui credo, per cui lotto e soffro.
Chi stava dalla parte di questo ragazzo cresciuto nella periferia di Birmingham, che aveva perso da bambino il padre, la cui madre si convertì al cattolicesimo sull’esempio del grande John Henry Newman e portò con sé i figli nella via gloriosa e dolorosa della chiesa in Inghilterra? Una via di martirio, di persecuzione, di discriminazione.
La visione del mondo di Tolkien è l’esito di questo percorso, di questa identità di cattolico inglese. Non poteva quindi avere idee nazionaliste, o tantomeno imperialiste. Amava la Merry England medievale, non certo l’Impero Britannico. Era un conservatore, certo, ma solo di ciò che era bello, buono e vero. Combattè nella Prima Guerra Mondiale vedendo e descrivendo la crudeltà e l’ottusità dei suoi comandanti.
Negli Anni ’30 vide l’ascesa dei totalitarismi e fu critico durissimo e ironico delle pretese razziali del Nazismo. Suo figlio maggiore, che studiava per il sacerdozio a Roma, dovette fuggire nel 1940 dai fascisti che lo volevano far prigioniero. Conobbe i bombardamenti durante la guerra, ma si rese perfettamente conto, con parole che Fumagalli opportunamente rievoca, che i Vincitori Alleati non erano le “forze del bene” e che altri mali sarebbero arrivati.
Tolkien non era un uomo avulso dalla realtà, barricato in una torre d’avorio intellettuale fatta di buone letture in compagnia delle sue ricerche sui linguaggi: osservava con attenzione la realtà, e se necessario prendeva posizioni pubbliche. Nel 1956 firmò un manifesto di intellettuali che condannava l’intervento sovietico in Ungheria.
Attraversò buona parte del ‘900, forte delle sue idee, senza farsi arruolare in nessun partito e nessuna ideologia. Era stato un attento lettore di Chesterton, e certamente le idee del Distributismo, il movimento politico ed economico fondato da GKC insieme a Hilaire Belloc e padre Vincent Mc Nabb, si possono ritrovare negli ideali degli Hobbit della Contea. Ma c’è di più: Tolkien guardò a modelli ancora più antichi.
Era venuto al mondo durante il pontificato di Leone XIII, che nella sua enciclica Immortale Dei così aveva descritto la società cristiana: “Vi fu un tempo in cui la filosofia del Vangelo governava la società: allora la forza della sapienza cristiana e lo spirito divino erano penetrati nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in ogni ordine e settore dello Stato”.
Di fronte all’inarrestabile evoluzione del progresso e della massificazione, dei totalitarismi di vario colore, Tolkien propone questo ideale. È nel cristianesimo la sola, vera risposta alle domande del cuore dell’uomo. Non la rivoluzione, non la conservazione, ma il ritorno al vero ordine contro il dilagare del Caos: il ritorno del Re, una sovranità legittima, come è quella di Aragorn, che deve restaurare giustizia e pace.
Un’ideale già presente nello Hobbit, dove la storia si conclude in due modi: la restaurazione del Regno dei Nani, con Dain che diventa il successore di Thorin e distribuisce saggiamente le ricchezze conquistate, e il ritorno a casa di Bilbo. Un tema che tornerà nel Signore degli Anelli: riportare ordine nel caos, ristabilire la giustizia, mettere fine all’azione del male e concedere alla terra almeno un po’ di tregua nel suo combattimento contro le forze negative. Da quale parte sta Tolkien? Per il lettore attento e lontano dai veleni ideologici non è difficile capirlo.
1 commento su “Tolkien e il Partito della Contea”
Come sempre, un ottimo articolo del Dottor Gulisano, capace di stimolare spunti di riflessioni e analisi svincolate dal veleno ideologico. Ridiamo al grande Tolkien la sua vera dimensione.
Questo bellissimo articolo arriva nel momento in cui il vescovo anglicano Gavin Ashenden, già cappellano di Elisabetta II, è stato accolto nella Casa che fu già di Newman, Chesterton, Belloc e Tolkien, quella Chiesa di Roma che oggi è una nave che naviga in un mare burrascoso nella notte.