In questi giorni, dopo che in Alabama è stata approvata la legge più restrittiva d’America in materia di aborto, viene spesso evocata la “Roe contro Wade”, la sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti (1973) che, avendo legalizzato l’aborto negli Usa, è presentata come un caposaldo dei diritti delle donne.
Pochi sanno però che la storia di Jane Roe, ovvero colei che passò come paladina della libertà della donna, non è affatto in linea con la vulgata progressista.
Intanto Jane Roe non è Jane Roe, nel senso che questo è solo uno pseudonimo, utilizzato in occasione del processo per tutelare la privacy del vero soggetto, cioè Norma McCorvey. Ma ciò che conta è chi è Norma McCorvey.
Norma Leah nasce il 22 settembre 1947 in Louisiana, ma cresce in Texas. Infanzia e adolescenza sono tormentate. La relazione tra i genitori, di origini Cherokee e Cajun, è burrascosa. Il padre se ne va quando Norma ha otto anni e le conseguenze sono pesanti: la bambina non prosegue negli studi e già a dieci anni lavora come barista. Dopo essere scappata da casa, a soli sedici anni sposa Woody McCorvey, un uomo violento. Divorzia e, con uomini diversi, ha due figli, entrambi dati in affidamento. Alcol e droga diventano il suo rifugio, anche perché soffre di attacchi di depressione suicida. Conosce un altro uomo, resta di nuovo incinta e alcuni amici la convincono ad andare in tribunale per chiedere di abortire dicendo che è stata stuprata. All’epoca infatti il Texas consente l’aborto per vie legali in caso di stupro e di incesto.
Norma tuttavia non riesce a presentare prove sufficienti per sostenere l’accusa di stupro, e così la sua richiesta è respinta. È a questo punto che entrano in scena due avvocatesse, Linda Coffee e Sarah Weddington, le quali, pur sapendo che Norma ha mentito circa lo stupro, decidono di sfruttare il caso pietoso (tecnica ampiamente usata per legittimare l’aborto) e di presentare ricorso alla Corte distrettuale del Texas a sostegno di una causa che, andando al di là della vicenda di Norma, vuole affermare la libera scelta, da parte di ogni donna, di abortire.
Siamo nel 1970 e a rappresentare lo Stato del Texas contro Norma McCorvey (divenuta Jane Roe per ragioni di privacy) è chiamato il procuratore distrettuale di Dallas Henry Wade, noto perché sette anni prima, nel 1963, ha accusato Jack Ruby per l’omicidio di Lee Harvey Oswald, ritenuto l’assassino del presidente John F. Kennedy. È così che il procedimento prende il nome di “Roe contro Wade”.
In base a un’interpretazione di un emendamento costituzionale, il diciannovesimo, secondo il quale l’elenco dei diritti individuali può essere integrato da altri diritti non specificamente menzionati nella Costituzione, la Corte distrettuale dà ragione a Norma McCorvey. Il procuratore Wade presenta quindi ricorso in appello alla Corte suprema, e questa, dopo tre anni di dibattito, nel 1973, con il voto di sette giudici contro due, dà di nuovo ragione a Norma McCorvey (alias Jane Roe). Ma con quale argomentazione? In base a una nuova interpretazione di un emendamento, questa volta il quattordicesimo, circa il diritto alla privacy inteso come diritto di prendere decisioni riguardanti la propria sfera intima, senza che lo Stato possa agire illimitatamente nei confronti della persona in questione.
Nel 1989 Norma è agganciata da un’altra avvocatessa, Gloria Allred, che ne fa un personaggio pubblico, trasformandola in una paladina della causa femminista e abortista. Anni dopo Norma ricorderà: “Ero ignorante, bestemmiavo, non mi sapevo vestire, non potevo appartenere al mondo delle giovani laureate di Harvard che durante una marcia per l’aborto, a Washington, mi tennero nascosta tra la folla. Scandivano il nome di Jane Roe ma preferivano che io restassi nella retroguardia”.
Se il nome di Jane Roe diventa un marchio di fabbrica da sfruttare a fini ideologici, di Norma McCorvey non importa nulla a nessuno. Le femministe le trovano un posto da tuttofare in una clinica per aborti, e qui Norma, ormai tossicodipendente, dà il suo contributo alla causa dicendo alle donne in attesa che quello che portano in grembo non è un bambino “ma solo una mestruazione mancata”.
Il lavoro nella clinica per gli aborti però diventa presto insopportabile. “Quando andavo nella cella frigorifera e vedevo i pezzi, le gambe e le teste dei feti conficcati a quattro o cinque in una giara, tornavo a casa e mi ubriacavo”.
È il 1995 quando per Norma (come racconterà nel suo libro Won by Love) arriva la svolta: “Ero seduta in un ufficio, quando notai un poster che mostrava lo sviluppo fetale. La crescita del feto era così evidente, gli occhi erano così dolci! Il mio cuore mi faceva male solo a guardali. Corsi fuori dalla stanza e mi dissi: Norma, hanno ragione. Qualcosa in quel poster mi fece mancare il respiro. Continuavo a vedere l’immagine di quel piccolo embrione di dieci settimane, e non potei fare a meno di dire: questo è un bambino! Fu come se un paraocchi mi fosse caduto. Mi sentii schiacciata. Si trattava di bambini uccisi nel grembo della madre. In tutti quegli anni mi ero sbagliata. Tutto il mio lavoro nella clinica abortista era sbagliato. Divenne chiaro, dolorosamente chiaro”.
Proprio nel 1995 il reverendo Philip Benham trasferisce la sede di Operation Rescue, organizzazione antiabortista, nei pressi della clinica nella quale lavora Norma, e la donna resta colpita dagli attivisti pro-life che con tanta dedizione e generosità difendono la vita nascente e si prendono cura delle donne.
È così che Norma viene battezzata nella Chiesa metodista e poi, qualche anno dopo, divenuta cattolica, dirà: “Sono pro-life al cento per cento. Non credo nell’aborto, nemmeno in casi estremi. Se una donna resta incinta per uno stupro, comunque si tratta di un bambino. Non puoi comportarti come se fossi il Dio di te stesso”.
Quando, il 18 febbraio 2017, a sessantanove anni, Norma Leah McCorvey muore, il New York Times la ricorda affermando che nel corso di quarantaquattro anni, dal 1973 in poi, negli Stati Uniti ci sono stati oltre cinquanta milioni di aborti legali. Una strage immane, nata in modo paradossale da una battaglia nella quale la sua principale protagonista, strumentalizzata suo malgrado, non si è mai veramente riconosciuta.
In Won by Love (Vinta dall’Amore) Norma scrive: “Questo libro è dedicato a tutti i bambini che sono stati fatti a pezzi con l’aborto. Chiedo scusa a voi perché non siete più qui, ma ora siete in Paradiso con nostro Padre, e a tutte le donne che, a causa dell’aborto, hanno avuto le loro vite cambiate. La Grazia meravigliosa può guarire il vostro cuore e anche voi potete essere vinte dall’amore”.
Ah, dimenticavo: il terzo figlio di Norma, quello che lei, confusamente, pensava di non volere, venne poi alla luce: una bambina. Che, come gli altri, fu data in affidamento.
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Nello stesso anno, Norma si convertì al cristianesimo e venne battezzata l’8/8/1995, evento che fu ripreso dalla telecamere di una televisione nazionale.
Esprimendo rimorso per il suo coinvolgimento nella decisione della Corte Suprema, iniziò a collaborare con l’ente Operation Rescue per rendere l’aborto illegale.
Il 21/6/1996 Norma McCovery annunciò di non essere più lesbica e il 15/6/1998 la McCorvey rilasciò una dichiarazione nella quale rese pubblica la volontà di entrare nella Chiesa cattolica: «Dopo molti mesi di preghiera e molte notti agitate, faccio l’annuncio gioioso che oggi ho deciso di unirsi alla Chiesa Madre del cristianesimo, con questo naturalmente intendo la Chiesa cattolica romana».
Anche Giovanni Paolo II venne avvertito di questo fatto.
Dal 2005 Norma McCorvey sta tentando di rovesciare la famosa decisione del 1973 della Corte Suprema, che, a causa sua, permise l’introduzione dell’aborto legale negli Stati Uniti. Su Priestforlife si può trovare tutta la sua biografia, le sue interviste e le sue dichiarazioni. Come si vede, la cosiddetta legalizzazione dell’aborto arriva in realtà per una via alquanto tortuosa e approfittando del caso di una donna, Norma McCorvey, che non a caso sarà definita “l’attivista accidentale”, in quanto all’epoca non è certamente una paladina dei “diritti delle donne” né una femminista, ma solo una povera donna sola e sbandata, che cerca un modo per interrompere una gravidanza non voluta.
A riprova ci sono le dichiarazioni della stessa Norma, che dirà di essere stata ingannata dai suoi avvocati, perché la usarono per condurre una loro battaglia. Infatti Sarah Weddington, nonostante le promesse di restarle vicina, abbandonerà Norma al suo destino e non si farà più vedere.
11 commenti su “Storia di Norma, alias Jane Roe. La donna che venne usata per legalizzare l’aborto negli Stati Uniti”
ma nessuna sat televisiva ne parla?
E intanto il genocidio continua….Solo Dio lo potrà fermare ormai, perché se solo accenni a togliere di mezzo una legge così profondamente iniqua ti saltano addosso come pescecani. Mi fermo perché è troppo doloroso anche solo parlarne.
Il grido di dolore dei milioni di bimbi uccisi e fatti a pezzi nel grembo delle loro sciagurate madri ferisce e offende troppo il cuore di Dio. Ed Egli, purtroppo, non ha più sulla terra chi parli al Suo posto e difenda il Suo diritto di dare la vita a creature fatte a Sua immagine e somiglianza: una creazione che necessita di se stessa per avvenire ogni volta di nuovo. Siamo arrivati al punto che i cosiddetti ‘pastori’ anziché ammonire per evitare tanto sacrilegio preferiscono allearsi con chi lo promuove; uno scandalo immenso di cui a fatica ci si capacita e che non può non inorridire. Questo povero modo capovolto ha bisogno di tante preghiere, soprattutto del rosario,tanto raccomandato dalla Madonna in ogni Sua apparizione. Uniamoci tutti in questa dolce catena perché è evidente che questi peccati gridano vendetta al cospetto di Dio e contro Dio non ci si può mettere. Se così ci si potesse esprimere, si potrebbe dire che Egli stesso è costretto ad agire obbligato dalla Sua stessa giustizia. Che questo terribile flagello non venga ad accaderci.
Buongiorno. Pochi giorni fa è arrivato sulla mia mail personale un articolo sulla legge restriittiva sull aborto approvata in Alabama. Ho fatto richiesta di iscrizione al blog in cui era pubblicato l articolo. Il blog si chiama Roba Da Donne. Superfluo dire che il suo seguito, nonché l intera redaziobe, è costituito da un gruppo di femministe. Ho il brutto vizio di infilarmi da sola nella fossa dei leoni; volevo provare a far riflettere sulla questione aborto, su cosa sia in realtà e su come è nato il movimento abortista e sulle sue reiterate menzogne. Ho risposto ad un post di una di queste povere derelitte con una semplice domanda. Questa: “su quale base scientifica dici che una donna ha più diritto di vivere del figlio che porta in grembo?”. La risposta è stata: “eh no eh, va bene il rispetto delle idee altrui ma qui ci vuole un minimo di intelligenza, mica puoi giudicare umiliare e violentare una persona solo per il gusto di dire che tu hai ragione e io torto”. Al che le ho chiesto se era sicura di sentirsi bene. Ma ha continuato a delirare….
Mi ha anche scritto che non potevo dire che l aborto è un omicidio perché per la legge non lo era. Quindi le ho fatto notare che in base alla sua logica contorta se una legge non tiene conto della realtà non posso metterla in discussione e quindi ce la dovremmo tenere. Ad un’ altra utente ho raccontato la storia di jane roe e mi ha risposto: “cosa vorrebbe significare questa storia? Mica possiamo negare le lotte sull aborto solo perché viene raccontata qualche bugia”. E poi in maiuscolo ha aggiunto che l aborto è un diritto, che non si tocca, che ci sono state lotte per averlo e via così, di slogan in slogan. Insomma l aborto è un insindacabile diritto, lo dice la legge e come mi permettevo io di dire che non è un diritto, che non è libertà ma licenza? Uso della ragione non pervenuto. Ideologia a fiumi. E hanno anche avuto il coraggio di dirmi che loro non vedevano ideologia, o meglio, che la vedevano in chi faceva notare loro che gli abortisti non hanno argomenti. Inutile è stato raccontare loro la storia della roe…
Ho anche chiesto loro di domandarsi come mai gli abortisti hanno bisogno di mentire se l aborto è un diritto inviolabile. Ma nulla. Totalmente incapaci di ragionare.
Scusate se mi sono dilungata. Un saluto e ancora buona giornata.
Gentile Stefania, forse avrebbe fatto meglio a non iscriversi, ché con gente simile è inutile ragionare, anzi, alla fine, come avvenne con Eva e il serpente, diventa dannoso.
Ma visto che il discorso lo ha intavolato, poteva dire che quanto a diritti sulla nostra vita, noi ne abbiamo meno dei doveri, i quali riguardano la protezione e la cura della vita stessa, che ci è stata data, ma non ci appartiene; così come non possiamo decidere sulla nostra morte, che essendo connessa alla vita, non ci appartiene neanche quella. E se la vita non ce la possiamo dare da soli, così avviene per la morte, nostra e di un bimbo che cresce nel seno di sua madre. E se si mettono avanti i diritti, c’è da dire che pari sono i diritti della madre e quelli del figlio, tanto più che lui è in una condizione del tutto priva di difese. Ma l’ideologia si sa, genera gente dalla dura cervice. Ad ammorbidirla una volta provavano i preti, gli stessi che oggi preferiscono imparare da Pilato.
Cara Stefania, lei ha fatto bene ad iscriversi e ad intervenire. La sua azione è stata meritoria. Grazie per quello che ha dato: una preziosa testimonianza (in greco: martirio) di cattolicesimo in quel contesto di idee e persone mortifere. Il Signore gliene renda merito.
La motivazione dello stupro non e’ stata presentata alla corte del Texas, quindi e’ stata irrilevante per la decisione.
Bisogna poi tenere conto che la sua salute mentale era quella che era. Se si parla di sfruttamento del suo caso da parte di due avvocatesse ambiziose, si puo’ parlare dello stesso anche da parte dei movimenti anti abortisti che l’hanno reclutata, trovando una donna relativamente famosa nel campo che fosse pronta a dire quello che volevano dicesse, forse anche con incentivi economici vista la ricchezza delle religioni nella Bible Belt – e un po’ in tutto il mondo –
Ha anche scritto due libri, e non si puo’ escludere che quello che ha detto sia stato detto per far piacere ai suoi potenziali acquirenti.
La campagna per sovvertire la sentenza che l’ha vista partecipe non ha avuto i risultati sperati da chi la usava per pubbliche relazioni. Il suo mancato coinvolgimento nel promuovere anticoncezionali per evitare aborti fa intendere quanto poco le stesse a cuore la causa.
Tutta la storia della Chiesa è fatta di meravigliose storie di conversione, che sono storie di apertura alla grazia divina. Tutta… fino al 2013 ?
Egregia Sig.ra Stefania Lanzi,
qualora non ne sia già a conoscenza, La metto al corrente dell’esistenza del Comitato No194: no194.org
Un cordiale saluto,
Fabio Massimo