Mentre l’editoria si spertica nel pubblicare, a cinque anni dall’elezione, osanna giornalistici e commerciali a Papa Francesco – pensiamo all’ultima novità, Francesco. Il Papa delle prime volte di Gerolamo Fazzini e Stefano Femminis, con prefazione di Federico Lombardi e i contributi di Luigi Accattoli, Enzo Bianchi, Austen Ivereigh, Elisabetta Piqué, Andrea Riccardi, Paolo Rodari, Enzo Romeo, Antonio Spadaro, Luis Antonio Tagle, Andrea Tornielli (Edizioni San Paolo) – noi ci occupiamo di parlare di un saggio pubblicato recentemente da Città Ideale per volontà del Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurentis (Sodalizio Cavalleresco di Maria Soccorso dei Bisognosi): Cavalleria una Via sempre aperta. Si tratta di un testo retrò? No, si tratta di rimanere se stessi, anzi di riappropriarci dell’investitura che ci è stata consegnata con il sacramento della Cresima, quella di Milites Christi.
Nel libro, dove compaiono scritti di Mario Polia, Fra’ Mario Rusconi, Maurizio Angelucci, Cosmo Intini, Gianluca Marletta, Don Curzio Nitoglia, Raimondo Lullo, San Bernardo da Chiaravalle sta scritto che San Francesco d’Assisi, fu cavaliere, rimase cavaliere, anche dopo la conversione, e morì cavaliere. Dunque Francesco ebbe per tutta la sua esistenza uno spirito e uno stile da cavaliere. Ma chi è il cavaliere? È colui che si prefigge di proteggere e di difendere qualcuno e, al bisogno, di soccorrerlo. Signorilità, lealtà, coraggio, generosità sono i tratti distintivi del cavaliere. Nei Fioretti di San Francesco (CAPITOLO XVIII: FF 1848), dove si parla del Capitolo generale dell’Ordine che san Francesco tenne a Santa Maria degli Angeli, dove furono radunati oltre 5000 frati e dove andò a visitarli san Domenico di Guzman, troviamo scritto: « E veggendo sedere in quella pianura intorno a Santa Maria i frati a schiera a schiera, qui quaranta, ove cento, dove ottanta insieme, tutti occupati nel ragionare di Dio, in orazioni, in lagrime, in esercizi di carità; e stavano con tanto silenzio e con tanta modestia, che ivi non si sentia uno romore, nessuno stropiccìo, e maravigliandosi di tanta moltitudine in uno così ordinata, con lagrime e con grande divozione diceva: “Veramente questo si è il campo e lo esercito de’cavalieri di Dio!”.
Il cavaliere di Dio, per esempio, non partecipa a docufilm, come ha recentemente fatto il Papa gesuita nel prodotto cinematografico, che ha concorso al premio Oscar di quest’anno, dal titolo Papa Francesco. Un uomo di parola e diretto dal regista tedesco Wim Wenders, che ha come interesse: l’inquietudine (non pace interiore), il viaggio come ricerca di sé (privo di radici e di identità) e la scoperta delle diversità (egualitarismo). Il cavaliere sa chi è, da dove viene e che cosa deve fare in un mondo creato da Dio e proprio perché appartiene a Dio difende, seconda giustizia, fede, valori, i più deboli, mantenendo fermo il principio gerarchico dell’ordine delle persone e delle cose. È un uomo al servizio di Dio, che sparge sicurezza e dà sicurezza sia spirituale, sia morale che materiale.
Anche sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti, è sempre stato un cavaliere, sia prima che dopo la conversione. Ma l’elenco potrebbe continuare a lungo: lo spirito del milite lo ebbero pure Teresa d’Avila, Giovanna d’Arco, Teresa di Lisieux, i vandeani, i Cristeros, il beato Rolando Rivi, il beato Francesco Giovanni Bonifacio, martire sotto il regime di Tito nel periodo delle Foibe, sì proprio quel Tito che nel 1980 Sandro Pertini, il Presidente partigiano rosso, che i media hanno sempre presentato come il «più amato degli italiani», andò ai funerali in veste ufficiale e baciò la bandiera sporca del sangue degli infoibati e del beato Giovanni Bonifacio…
Ebbene, i cavalieri sono i testimoni, intrisi di amore indiviso che conquistano le anime perché sono conquistati da Cristo, che opera in loro, donando la Sua pace, ed essi, di rimando, irraggiano la pace che vivono interiormente. La vita del cristiano non è una faccenda solo privata, come fanno i protestanti o tanti pseudocattolici, ma anche pubblica, come sta scritto nella prefazione al libro che offre risposte valide in ogni tempo:
«[…] la vita spirituale non può interessare solo la devozione, il cuore, la vita privata. La vita è una, e comprende la contemplazione del Vero, il servizio del Signore Gesù, la lotta contro le proprie passioni, la difesa della Chiesa, la presenza di Cristo nella vita sociale: tutte cose inscritte nello spirito della cavalleria. […] Se non vi è questa visione d’insieme, la vita cristiana diventa slavata, diluita, questione “privata” della singola anima. Ma un’esistenza che non sia unitaria, un credo che non incida nelle scelte della vita, è insopportabile. Avere due volti, due modi di ragionare (uno nella devozione privata e uno nelle scelte pratiche della vita) è un abominio».
Allora che cosa significa essere cavaliere oggi? È molto semplice, oltre che molto appagante già su questa terra e redditizio per la vita futura: «raccogliere l’eredità dei veri cattolici che ci hanno preceduti e continuare a viverne lo spirito. Certo, basterebbe il Vangelo», c’è tutto, infatti, nel Vangelo, «ma occorre che questo venga predicato nella sua verità e integrità. Lo spirito della cavalleria non inventa nulla di nuovo, ma rinvigorisce e purifica un ideale di vita cristiana che sembra essersi perso nel mare dei compromessi, degli accomodamenti, dei mescolamenti con la mondanità». È proprio come insegna il cavaliere sant’Ignazio negli Esercizi Spirituali: ci sono due bandiere, non mille o un milione, non c’è biodiversità, ma due stendardi, due spiriti: «quello di Cristo e della cristianità, e quello del mondo e dell’anticristo. Non c’è una zona franca centrale in cui galleggiare, dando un colpo al cerchio e uno alla botte, volendo essere un po’di Cristo ma non totalmente», nello stile veltroniano: «Sì, ma anche».
Cristo è esigente, ci vuole tutti interi in Paradiso, non a spizzichi e bocconi: se vogliamo appartenergli, dobbiamo esserGli fedeli, in privato come in pubblico. Se così avviene, allora avvengono miracoli, privati e pubblici. Questa la Storia della cristianità autentica. Le biblioteche, gli archivi, le chiese, le cattedrali, le abbazie, i monasteri trasudano di questa mirabile Storia che la Chiesa non trasmette più, ma se non c’è più memoria, ovvero Tradizione, c’è rivoluzione continua e distruzione. Affrontare la vita al modo del cavaliere è avere pietà della miserabile Chiesa odierna, vogliosa di apparire, ma non di pescare anime. La cavalleria va conosciuta: «Non si può criticare quello che non si conosce; ecco perché dobbiamo conoscere lo “spirito” della Cavalleria prima di criticarla. Poi ognuno faccia le proprie scelte».
Qui non si parla di Re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda, neppure di elmi, spade o lance, ma di coerenza con il proprio Credo. Altrimenti è apostasia, infatti coloro che la professano non sono più credibili e hanno bisogno, come i politici, di endorsement.