Scriptorium – Recensioni. Rubrica quindicinale di Cristina Siccardi

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La sacralità della persona. Una nuova genealogia dei diritti umani – di Hans Joas. l’autore si pone il problema: dietro la necessità spasmodica di difendere i “diritti” umani si nascondono problemi e dubbi profondi, che spingono a formulare in modo nuovo alcune domande essenziali: che cosa significa custodire l’umanità, oggi, nella società globale? E quali forze ideali e sociali potranno tutelarla davvero?

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È affascinante vedere come lo sviluppo del pensiero odierno cerchi agganci nel passato, come dimostra il filosofo Hans Joas nel suo peculiare, originale ed elaborato saggio, La sacralità della persona. Una nuova genealogia dei diritti umani, traduzione e cura di Andrea M. Maccarini (Franco Angeli Editore), un testo già utilizzato nelle facoltà universitarie a partire dal 2014 e le cui ristampe sono previste, per ora, fino al 2021. Esso è inserito nella collana «Etica e filosofia della persona», che ha lo scopo di promuovere uno spazio di riflessione su prospettive diverse dalle forme di riduzionismo spesso dominanti nell’attuale dibattito su neuroscienze e filosofia della mente.

Il libro in questione parte da un incipit oggi dominante in ogni dove: «bisogna difendere i diritti umani», motto caro all’opinione pubblica globale, evocato e sostenuto da un esteso apparato della comunicazione di massa e dalla stessa Chiesa contemporanea che si fa spesso interprete dei diritti o presunti tali, tanto da soffocare gli stessi diritti dei 10 Comandamenti, Legge di Dio. Sui doveri, invece, tutti e tutto tace. Tuttavia qualcuno pensa e riflette e si interroga come ha fatto Hans Joas. Nato a Monaco di Baviera, classe 1948, egli è sociologo e filosofo sociale di fama internazionale. È professore di Sociologia e membro del Committee on Social Thought all’Università di Chicago, nonché permanent fellow dell’Institute for Advanced Studies di Friburgo. È autore di molte opere, tradotte in diverse lingue.

Con La sacralità della persona l’autore si pone il problema: dietro la necessità spasmodica di difendere i “diritti” umani si nascondono problemi e dubbi profondi, che spingono a formulare in modo nuovo alcune domande essenziali: che cosa significa custodire l’umanità, oggi, nella società globale? E quali forze ideali e sociali potranno tutelarla davvero? Con i suoi strumenti e la sua metodologia di sociologo, intrecciando storia sociale, storia del pensiero e filosofia morale in un’appassionante – intellettualmente parlando – sintesi, Joas dà così vita a nuove basi su cui innestare il dibattito dei diritti umani, un tema avviato, come ben si sa, con la Rivoluzione Francese, ma che Joas si pone l’obiettivo di non ricondurre né all’Illuminismo, né al Cristianesimo.

Le sue risposte offrono una originale – perché tale è in questa secolarizzata, degradata e talvolta perversa civiltà – proposizione: il destino della nostra società dipenderà in buona parte dalla capacità di dare un senso forte e condiviso al concetto di, appunto, sacralità della persona, attingendo alle antiche tradizioni culturali dell’Occidente, contribuendo in tal modo ad un futuro più umano per tutti. Scrive l’autore: «Io parlo della sacralità della persona e non dell’individuo, per essere del tutto certo che la fede nell’irriducibile dignità di tutti gli esseri umani non sia confusa con un’egoistica auto-sacralizzazione dell’individuo, con la sua narcisistica incapacità di trascendere la propria centratura su sé stesso» (p. 81).

Il filosofo tedesco compie elaborazioni filosofiche e sociologiche adatte al complesso uomo contemporaneo, che non sa più leggere la semplicità, la genuinità e la bellezza della vita perché ha perso la Verità rivelata dal Figlio di Dio. Ecco dunque Joas che si pone domande e dubbi in quanto la sua intelligenza si ribella al pensiero unico e globalizzato. Il brancolare mentale e morale del soggetto è spasmodico nel nostro tempo, soggetto indefinito che non ha più valori di riferimento e oggettività esterne a sé a cui fare riferimento, perciò l’essere umano viene preso come parametro di tutto per tentare risoluzioni difficili da parte di istituzioni o attori sociali di vario genere, tanto a livello internazionale quanto all’interno dei confini degli Stati-nazione: quando si deve decidere circa un intervento militare, l’applicazione di una certa terapia medica, l’utilizzo di determinati simboli religiosi in un’aula scolastica, la liceità di certi esperimenti scientifici, la legittimità di certe procedure giuridiche, l’attenzione e l’argomentazione è sempre incentrata sui soggetti e mai sull’oggetto delle diverse questioni.

Ecco che il Diritto viene a cadere, formandosi una pletora di “diritti” soggettivi che vorrebbero essere “buoni”, ma che poi si rivelano cattivi, se non addirittura malvagi e crudeli, come, per esempio, l’aborto o il suicidio assistito: autodistruzione dell’umanità. L’autore non arriva a dire ciò, ma percorre comunque una strada che fa intravedere una voglia di luce, in quanto le sue perplessità piegano l’arroganza e la superbia delle autorità attuali, comprese quelle religiose, contribuendo a smantellare l’architettura del moderno pensiero, evidenziando come i “diritti” odierni nascono dalle esperienze soggettive.

Ecco che viene d’uopo, dopo il recente caso di suicidio assistito di Fabiano Antoniani, meglio conosciuto come Dj Fabo (all’età di 40 anni ha scelto di porre fine alla sua vita in una clinica svizzera), ciò che Joas scrive nel paragrafo 2, La vita come dono, del quinto capitolo, Anima e dono. Immagine di Dio e filiazione divina:

«In un contributo sul tema dell’”aiuto a morire”, un noto e stimato filosofo berlinese [Volker Gerhardt] critica le tradizionali obiezioni che vengono normalmente sollevate contro l’ammissibilità morale del suicidio e l’insistente richiesta dei malati incurabili di porre fine al loro dolore. Egli mette dunque in evidenza, come dice, l’ “argomentazione spesso utilizzata, secondo cui l’essere umano non potrebbe togliersi la vita, perché non se l’è data da sé”. Tuttavia, secondo la sua argomentazione, che egli definisce esplicitamente come “guidata dalla ragione”, questa obiezione non è valida. […] poiché [l’individuo ndr] è anche in grado di togliersi la vita, deve decidere secondo ragioni che stanno in lui stesso – e non nel dato di fatto nel mero esser-ci”. “Il dato di fatto del mero esser-ci”: chi parla così non si rende conto che il punto decisivo sta proprio lì, laddove si pone la domanda se veramente possiamo e dobbiamo considerare il dato di fatto della nostra vita come un mero dato di fatto. È innegabile che già questa formulazione, cioè il parlare di una fattualità, sta in netto contrasto con l’idea della creaturalità dell’essere umano, come la caratterizza la tradizione giudaico-cristiana. Per essa, la vita non è un mero dato di fatto, un casuale “essere gettati”, bensì un dono. Considerare la vita come un dono è però ben diverso dall’idea che limitazioni meramente fattuali autorizzino in qualche modo a trarre delle deduzioni normative. Anche i più banali doni della nostra vita sociale di tutti i giorni sono qualcosa di più di mere circostanze di fatto. Portano sempre in sé l’impressione di un’obbligazione, che non potrebbe derivare da meri fatti. Chi ci comunica conoscenza, rispetto e omaggio, anche solo nella forma di un saluto, e in tal modo ci dona attenzione, forse solo anche per un attimo, dando a questa attenzione un’espressione simbolica, può legittimamente aspettarsi che rispondiamo al saluto. Nel saluto è insito un obbligo di rispondere al saluto, o almeno di una risposta interrogativa, e questo obbligo è così forte che anche il rifiuto di rispondere assume un significato comunicativo […]. Lo stesso vale per gli inviti, i doni, e a maggior ragione per i gesti affettuosi. In tutti questi fenomeni si rende evidente una logica del dono, che si può distinguere chiaramente dalla mera fattualità» (pp. 186-187).

Ecco che assurgono connotati divini alla genesi della creazione di ogni uomo e della sua esistenza, frutto non casuale, ma come atto di amore: un dono per l’appunto. Molto bella e vera e intrinsecamente poetica (per ciò che sott’intende nel suo contrario) – in questa società di non poesia – l’espressione utilizzata dall’autore: «Chi rimane in attesa, freddo e sulle difensive, di ricevere dagli altri dei segni certi d’amore, il più delle volte aspetterà invano».

Davvero interessante libro, dove vengono snocciolate le teorie filosofiche moderne una dopo l’altra e dove, alla fine, l’immortalità dell’anima non viene e non può essere negata. Davvero intrigante questo pensare postmoderno e talvolta, permettetemi di dire, divertente osservare come la Verità cattolica sia sempre vincente, nonostante le molteplici capriole di coloro che cercano di fare a meno del Creatore e del Salvatore.

1 commento su “Scriptorium – Recensioni. Rubrica quindicinale di Cristina Siccardi”

  1. silvia masetti

    Credo che l’unico modo di poter ritenere la vita sacra, quindi cambiare la Chiesa, il Mondo, salvarli dal crollo, sia eliminando gli egoismi. L’essere umano è egoista, una Chiesa migliore, più giusta più sana di mente, potrà esistere togliendo di mezzo l’egoismo. E pagano, ingenuo, primitivo infantile vedere il mondo diviso in buoni e cattivi, giusti o empi, ma è quel genere di egoismo che ” se non fai quello che dico io” sarai infelice.. L’uomo si adatta per sopravvivenza, anche in mondi ostili, ora, chi ritiene di stare sopra, vuol mettere il mondo in “pausa”, affinchè non cambi, non evolva, proprio perchè non c’è più competitività fra uomo e donna. Così il sistema cade in coma profondo, coma del pensiero, che deve essere mondiale, affinchè la loro agenda nuova, proceda verso globalismi genocidi che non riconoscano la sacralità della vita.

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