Recensioni – rubrica del sabato di Cristina Siccardi
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Due libri su matrimonio, famiglia, educazione dei figli. Due letture utilissime per contrastare la (in)cultura che opera per la distruzione totale della famiglia
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Per amore del «dialogo» da una parte, per inerzia dall’altro e per opportunismo dall’altro ancora, si è lasciato che dalle leggi secolarizzate in poi (divorzio e aborto in primis), contrarie ai principi sia insegnati dalla Chiesa sia inscritti nell’ordine naturale, si passasse alla distruzione totale della famiglia, fino alle sue radici più profonde: lo stesso concetto di famiglia oggi viene calpestato, vituperato e profanato.
Scrive Winfried Aymans, Monaco di Baviera, nella prefazione al libro Matrimonio e famiglia. Prospettive pastorali di undici cardinali (Cantagalli):
«Nel cosiddetto mondo occidentale il concetto di matrimonio, come anche l’istituzione della famiglia, sono entrati in una fase di disfacimento che non ha uguali nella storia. Per tutto il Novecento ci si è sforzati – almeno da parte della Chiesa – di non lasciar approfondire troppo il divario fra l’ordinamento ecclesiastico ed i diversi ordinamenti laici di matrimonio e famiglia. Il principale motivo di allontanamento fra la concezione della Chiesa e l’ordinamento giuridico statale si esplicitava nel crescente numero di divorzi nell’ambito del diritto civile. Oggi però sono i concetti stessi di matrimonio e famiglia ad essere diventati ambigui e non più definiti in una larga fascia della cultura delle società occidentali. Per questa ragione è necessario, oggi più che mai, che l’insegnamento di Gesù Cristo sia espresso in maniera chiara e senza omissioni nella dottrina della Chiesa. Il distacco delle concezioni che dominano nella società secolare da quelle che si deducono dalla fede della Chiesa, ha portato ad un aumento delle situazioni problematiche e delle conflittualità, soprattutto in ambito pastorale» (pp. 5-6).
E proprio di pastorale trattiamo questa settimana, attraverso un libro bellissimo, scritto da un medico che è padre cattolico e responsabile e che, insieme a sua moglie, ha formato una bellissima famiglia di persone equilibrate e che gustano e assaporano la vita perché nella loro vita c’è la Fede, c’è l’Eucaristia e da esse discende l’arte del saper vivere, del saper individuare i propri doveri dai quali discendono i propri diritti (e non vice versa) e discende, soprattutto, la saggezza, l’ordine, l’armonia, la bellezza di esistere.
Stiamo parlando del libro di Giovanni Donna d’Oldenico, Lettere a un figlio sull’educazione (La Fontana di Siloe). Si tratta di 18 lettere scritte da un padre per parlare di educazione ad un figlio che sta per sposarsi. Nessuna teoria: soltanto realtà. Non si tratta di un manuale di “come deve essere un padre”, l’autore fa il padre e ben sa di cosa parla. Né galateo, né psicologia, né accademia: le pagine sono imbevute di Fede, di saggezza, di buon senso, dove il Sacramento del matrimonio viene vissuto con grande consapevolezza e con il gran vantaggio di ogni membro familiare.
È un padre che insegna, per esempio, che conta l’impegno e non il risultato: «Che è il contrario di ciò che spesso vediamo insegnato, praticato e preteso: dalla scuola alle università, dal lavoro al tempo libero; con effetti, nelle case e nel mondo, che stanno sotto gli occhi di tutti. E sai qual è il più paradossale? Che molti manco se ne accorgono. Studiare per il risultato, lavorare per il risultato, cucinare e mangiare per il risultato, giocare per il risultato. Cioè: vivere da schiavi, tanti; o da tiranni, pochi; comunque da folli: perché dalla persona dipende l’impegno, non il risultato.
Ma gli schiavi vanno di moda, meglio ancora se non sanno di esserlo; ben pagati, o poco o nulla che siano, hanno due vantaggi: sono funzionali al potere di turno; e, quando diventano incomodi, si scartano. Non così gli uomini e le donne liberi. Se e quando sarà il tempo, certo non vorrai crescere un figlio come schiavo!
Allora. Opponiti alla tentazione della pochezza, cioè mirare al successo, e persegui il cammino della grandezza, cioè della buona volontà, tanta quanta ne serve; sii esigente circa l’impegno, valorizzalo e stimolalo. E non punire l’insuccesso in quanto tale, ma la poca applicazione sì, quella non commisurata alle possibilità reali di tuo figlio; già, perché se pretendessi uno sforzo smisurato, cadresti nella trappola di svilire l’impegno, cosa nobile, trasformandolo in ciò che non ti deve interessare: l’ennesimo risultato, appunto. Vero è che, di regola, diligenza e buona volontà sono un solido cammino verso la riuscita: tu, su quelle fonda l’educazione di tuo figlio, non su questa; altrimenti avrai dato pretesto e incentivo a scorciatoie che sono parole brutte: prevaricazione, corruzione, menzogna e doppiezza, opportunismo, narcisismo e disumanità; e a molte dipendenze; e alle malattie della mente e dello spirito. Così tuo figlio rischierebbe di fallire la vita, cercando di vivere di successi. Sempre che il meccanismo non s’inceppi prima. Tu, invece, apprezza, loda e consola ogni sconfitta, quando dietro vi siano state fatica e applicazione; ma non degnare di un sorriso, se non d’ironia o di commiserazione, l’esito brillante ottenuto con l’indolenza; e, per piccolo che sia, festeggia ogni traguardo raggiunto con zelo; ma rileva e biasima, con severità equa e coraggiosa, ogni errore e ogni smacco, se frutto di pigrizia o di trascuratezza. Ricordando l’ovvio: anche un figlio, ogni figlio, non è mai un tuo risultato; quindi non cercarlo né guardarlo come tale. Dal ventre, alla tomba. Neppure la riuscita della sua educazione devi ascriverti: non a merito, se sarà un esito felice;né a colpa, se la strada che tuo figlio percorrerà sembrerà tortuosa e diretta dalla parte opposta a quella verso cui la tua fatica avrebbe voluto vederlo incamminato. Ma su questo torneremo parlando di libertà. E non solo. In fin dei conti, non è così che Dio si regola con me, con te e con l’universo? Ogni buon fine è dalla Sua mano. Per fortuna» (pp. 9-10).
E per fortuna il Signore ci dona ancora padri come Giovanni Donna d’Oldenico e madri come Carmìna, sua moglie e insieme hanno desiderato, voluto ed oggi crescono nove figli: Piero, già medico, Anna, Carlotta, Filippo, Matteo, Giuseppe, Tommaso, Agnese, Maddalena, che frequenta la seconda elementare. Una famiglia che non ha paura di esporsi in questo mondo occidentale che ha rinnegato Dio e con questo rinnegamento distrugge tutta la meraviglia che incarna la famiglia cattolica, quella che dona anche vocazioni alla Chiesa, come dimostra un figlio della famiglia Donna d’Oldenico, chiamato alla vita sacerdotale.
L’autore, oltre ad essere medico è un filosofo, seppure non eserciti tale competenza. A dimostrarlo sono queste pagine; siamo di fronte ad un filosofo radicato nella quotidianità e che pensa in grande e vuole il meglio per i propri figli… ovvero la vita eterna, quella che inizia con il concepimento e che più non termina. Mirabilia! Un padre ed una madre che amano così tanto i propri figli da pensare alla loro eternità. A che pro’ generare un figlio?
«Per mettere al mondo un condannato, cioè per fare uscire dal nulla, senza avergliene chiesto il permesso, uno che al nulla farà ritorno? Per un’irresponsabile pulsione dell’istinto, per sua propria personale realizzazione o per un capriccio, usando all’uopo un figlio? Meglio comperare un orso di pezza e coccolarlo. O un gatto, un cane, un criceto. Un’orchidea. Un ansiolitico. So che, tra uomini di mondo, non è elegante parlare della morte: eppure è l’ingresso in ciò che non finisce più, è la porta spalancata sulla meta; e se non sai dove vuoi arrivare, non sei un nobile viaggiatore, ma un girovago qualunque.
Allora: se davvero ami lui e non te in lui, che tuo figlio conquisti prestigio e una radiosa posizione terrestre, importa davvero poco, se dopo, anziché l’eterno riposo, stanno ad attenderlo, con appetito dannato, l’eterno squallore e l’eterno dolore. Dunque tu desidera e augura a tuo figlio tutto il bene terreno possibile; ma, a molta maggior ragione, tutto il bene eterno. Lavora instancabilmente perché la sua vita cresca sicura, sana e serena. Ma non desiderare niente di meno, per lui, che un’eternità beata; e ogni bene, solo se è in funzione di quella. Sia fatta la Tua volontà, ripetiamo tutti i giorni:questo vuole il Padre nostro per me, per te, per tuo figlio» (pp. 19-20).
Questo è un parlare cattolico. Questo è un parlare chiaro, ricco di sapienza davvero paterna, piena di misericordia cristiana!
Al Sinodo sulla Famiglia faranno sentire la voce di padri come Giovanni Donna d’Oldenico e di madri come Carmìna? Oppure faranno sentire le lagne, perché il più delle volte tali sono, di adulteri ed adultere che si sono stancati del proprio coniuge – sposato nel sacramento dell’indissolubilità – e si sono stancati di fare sacrifici e vogliono prendersi i cosiddetti “propri spazi” per cercare nuove vie e rifarsi una vita, magari ricca di stimolanti emozioni con nuove/i partner?
Perché, invece di cercare rifugio nelle alternative coniugali, non cercare l’aiuto e il soccorso in San Giuseppe?
«Basta: se vuoi imparare, vai da Giuseppe. Frequentalo nel silenzio, nella tenacia e nelle obbedienze; e nella sua compagnia, da invocare accanto a te, giorno dopo giorno» (p. 20). Prendere esempio da San Giuseppe, non dall’ultimo divorziato o divorziata adulteri che pretendono di essere premiati, nella loro colpa mortale, prendendo il Corpo sacrificato di Nostro Signore Gesù.
«Dato che non intendi adeguarti a questa mondanità friabile, che vomita divi, aspiranti, riusciti, decotti o falliti che siano, evita di trattare tuo figlio come fosse il centro del cosmo, un sole intorno a cui tutto orbita; e vieta con determinazione a chiunque di farlo. Lascia al centro Cristo; sai bene che funziona. Lo stesso, per inciso, vale tra marito e moglie: non è dall’uno che dipende la felicità della’kltrpo, ma quella di tutti e due da Cristo» (p. 24).
In questo libro c’è lo spirito di Fede che palpita, c’è filosofia e saggezza, come abbiamo detto, c’è poesia intrecciata alla quotidianità e c’è la consapevolezza dell’essere responsabili della vita qui e oltre, perché essere responsabili in terra significa essere coscienti della conquista successiva: o la dannazione eterna o la beatitudine eterna.
Non usa giri di parole Giovanni Donna d’Oldenico, arriva subito al centro e va dritto alle questioni trattate all’interno delle sue nutrite e allo stesso tempo sintetiche e fluide lettere che si leggono tutte d’un fiato. Leggere una di queste pagine è come attaccarsi, in questa società soffocata dal male, ad un respiratore di ossigeno:
«Quando abitavi nel ventre di tua madre, aspettavo di vederti nascere con un’attesa dolce, che era lieta da vivere e che non intendeva anticipare nulla. Sono sicuro che con un’attesa molto più grande, beata e perfetta, starò ad aspettarti per tutto il resto del tuo tempo, quando il mio sarà finito; all’inferno, se ti odiassi; in Paradiso, siccome ti amo. Ami tuo figlio? Allora desidera, sopra tutto, che diventi santo. Che non è cosa complicata o da persone straordinarie; è semplice; è da tutti. Basta edificare la vita, cioè i giorni e le opere, su Cristo. Lasciando fare a Lui» (p. 20).
In casa Donna d’Oldenico esiste una gerarchia, profondamente rispettata: prima Dio, poi tutto il resto. I ragionamenti che si susseguono nel testo sono il frutto di tale rispetto:
«[…] ogni anima è frutto di un atto creatore immediato di Dio. Così, oltre a sostenere la creazione in ogni istante mantenendo nell’essere ciò che è, Dio continua a chiamare a esserci chi
ancora non è; infatti c’è un posto dove l’Infinito piega lo spazio fino a farsi punto, dove l’Eterno fende il tempo ed entra nell’istante; ed è là dove egli crea un’anima, cioè nella pancia di una madre che concepisce, in un’ora di un giorno che lei di preciso manco sa. Solo il ventre di una donna può diventare questo luogo sacro; quello di un uomo, va bene per digerire e poco più.
È una vita incomprensibile per chi, anziché all’abbraccio caldo del Padre, che tutto sa e tutto può, preferisce affidarsi all’estratto conto, a una polizza, a vitamine, integratori e antiossidanti, a quattro mura, al potente di turno o a un abbonamento al laboratorio analisi. Nessuno nega che alcune di queste cose servano: occuparsi della sicurezza di vita è doveroso. Tu fallo; ma nel modo giusto, quello che Cristo insegna e rende possibile, lasciando che sia Dio a curarsi delle cose tue, tu occupandoti delle Sue. Compi, oggi, fedelmente i doveri del tuo stato; tra i quali primeggia quello di chiedere a Lui il pane quotidiano; per il domani, sii realista: lascia fare a Lui, vedrai come il Padre si cura di te fino nei dettagli. Responsabilità, parola ambigua per chi vive di affanni e di evasioni; parola certa per chi riconosce la realtà e si abbandona nella Provvidenza.
A proposito: quella domanda cui abbiamo risposto sì, celebrando il nostro Matrimonio, non finiva lì; proseguiva chiedendo la disponibilità a educare i figli secondo la legge di Cristo e della Sua Chiesa» (pp. 33-34).
Che cos’è che dà forza per proseguire le battaglie di ogni giorno, contro se stessi e contro gli altri? Non ha dubbi il Dottor Donna d’Oldenico: il Santissimo Sacramento:
«Qual è la preghiera più grande del mondo? L’Eucaristia, che è il sacrificio redentore di Cristo, la Sua passione, morte, risurrezione, ascensione e tutto il resto della Sua vita, che misteriosamente e realissimamente mi sta davanti. Esiste preghiera più grande di quella che salva il mondo? E, ancora: qual è il lavoro più grande del mondo? L’Eucaristia, che è il sacrificio redentore di Cristo, il Suo corpo, il Suo sangue, la Sua anima, la Sua divinità: Cristo che misteriosamente e realissimamente mi sta davanti, e poi dentro, per assumermi dentro la vita della Trinità nella Comunione. Esiste lavoro più grande di quello che salva il mondo? Eucaristia: la preghiera più grande che c’è e il lavoro più grande che c’è. Motivo in più per darLe il posto che le spetta, il centro della giornata; un centro da cui si dipartono, come raggi, anche ogni preghiera e ogni lavoro. Nell’Eucaristia preghiera e lavoro si fanno uno, la vita si fa una. E non per uno sforzo o un’abilità personale, ma per un dono» (p. 46).
Ogni lettera affronta un tema, introdotto da un titolo specifico. Alcuni esempi: «Abbasso il divo, evviva il santo»; «Amare il riposo, che vuol dire amare la fatica»; «Accogliere responsabilmente i figli, ovvero: previdenza fa rima con Provvidenza»; «Tutto il contrario: se povertà, castità e obbedienza fossero tre ottimi consigli?»; «Il tempo non passa viene incontro», «La vocazione è la vita», «Davanti alla sofferenza e dentro il dolore», «Nemici tanti; ma, sopra tutti, il nemico»; infatti il primo nemico, fin dal principio della storia dell’uomo, è il demonio.
Questo è un libro perfetto per ogni persona con la vocazione (sacra) del matrimonio, per ogni figlio (sacro) che nasce e che desidera vivere in pienezza, per ogni parroco che ama i propri fedeli, per ogni padre sinodale che si appresta a vivere, dal 4 al 25 ottobre, una tempestosa assise, dove l’intenzione del «nemico» è quella di sovvertire l’ordine dei termini per andare incontro ad una pastorale dove Cristo non sia più ascoltato.
1 commento su “Scriptorium – Recensioni – rubrica quindicinale di Cristina Siccardi”
Giovanni Donna d’Oldenico
Lettere a un figlio sull’educazione
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Ho sognato o esiste davvero Giovanni Donna d’Oldenico?
E questo libro “lettere a un figlio sull’educazione?
Mi sono sentita immersa nella bellezza dello Spirito di Dio!
Grazie, cara Cristina Siccardi!!!
Il Signore la ricompensi!!!