di Don Marcello Stanzione
Guido Reni – San Michele Arcangelo
Il giorno 8 maggio in tantissimi posti d’Europa si festeggia San Michele Arcangelo. In Francia esiste un luogo unico che si chiama il Monte San Michele, che si eleva al di sopra delle umide sabbie, che specchiano i riflessi del cielo; una cinta fortificata racchiude una cittadina accostata ai fianchi d’una scogliera rocciosa e, al di sopra dei tetti, slanciato nel cielo come una preghiera, quel capolavoro d’architettura che si chiama giustamente la Merveille, la Meraviglia. Una statua dorata di san Michele la sovrasta. Da questa altezza, l’Arcangelo sembra custodire la Francia sorvegliando il mare come lo facevano, aggrappati nelle cune degli alberi maestri, i marinai del tempo dei velieri.
Esistono in questa Meraviglia, che fu costruita nel XIII secolo sotto Filippo Augusto, una “sala degli ospiti”, una “elemosiniera”, un chiostro. E’ che, una volta, questa costruzione fu un’abbazia dell’Ordine di san Benedetto, ed essa è unita ad una chiesa la cui facciata, alta settantacinque metri, completa la sagoma affilata del Monte, il suo incomparabile slancio verso il cielo. Ma esiste anche una “sala dei cavalieri”, ed il Monte San Michele fu anche una fortezza. Nel XV secolo, centodiciannove gentiluomini normanni formarono la guarnigione nell’abbazia assediata dagli Inglesi.
Ma, ben prima di quest’epoca, ben prima della costruzione della Meraviglia, esisteva un santuario sul Monte. Nel 708, sotto il regno di Cildeberto III, uno degli ultimi Merovingi, la diocesi di Avranches aveva per vescovo un santo, amico dei poveri ai quali aveva distribuito i suoi beni, amico anche degli angeli. Egli si chiamava Oberto.
Una notte d’autunno, il buon vescovo dorme tranquillamente quando una viva luce lo risveglia di soprassalto. Si stropiccia gli occhi. Un incendio? Ma no, il chiarore che invade la camera è dorato, egli non respira alcun odore di fumo, non sente alcun calore. Nella luce si precisa un guerriero coperto d’una armatura d’oro, che scuote una capigliatura di sole e trapassa con una lancia di fuoco un orribile drago tutto nero che bava di rabbia.
“Ecco”, si dice Oberto, “chi rassomiglia all’immagine del grande san Michele sul Monte Gargano, ma è molto più bello”.
Egli considera con interesse la figura dell’arcangelo e crede sentirlo parlare.
“Oberto, mi occorre una cappella sul Monte Tomba”.
“Come possono sognarsi cose bizzarre”, si dice il vescovo. Una cappella sul Monte Tomba, in mezzo ai boschi (il Monte era in piena terra), una foresta orribile, nera, impenetrabile, piena di ogni specie di animali feroci e dove i pagani hanno, da secoli, sgozzato una quantità di infelici per piacere ai loro idoli” Non è veramente un posto per un angelo”.
Si gira di fianco, chiude gli occhi e si riaddormenta.
La notte successiva, nuovo risveglio. Ma si direbbe che la luce sia più intensa e Oberto ha qualche difficoltà nel contemplare la meravigliosa immagine; egli non può credere che san Michele sia là in persona; è un’illusione, una fantasmagoria… Eppure, egli non si sente del tutto a suo agio. “Oberto, voglio una cappella sul Monte Tomba”. “Se fosse vero”, pensa ancora il vescovo, “sarebbe una strana fantasia. Il diavolo si maschera talvolta da angelo di luce, ed è forse lui che viene a prendermi in giro”.
Ora, quel luogo votato al demonio, arrossato dal sangue dei sacrifici umani, san Michele voleva conquistarlo. Egli ritornò dunque una terza notte.
“Oberto, fammi innalzare una cappella sul Monte Tomba”.
Il vescovo diffidava ancora.
“Che cosa mi prova”, egli replicò, “che siete veramente san Michele?. “Ecco cosa te lo proverà”. L’Arcangelo pone il suo dito sulla testa dura di Oberto; è un dito di fuoco, non appena lo sfiora ed il vescovo sente che trapassa il suo cranio. “Ho capito, san Michele, e vi obbedisco” (Un piccolo foro rotondo è ancora visibile sul cranio di san Oberto, reliquia preziosamente conservata).
“Tutto questo è bellissimo, pensò il vescovo l’indomani mattina, ma io non sono un architetto. Eppure occorre obbedire, poiché san Michele sa farsi sentire quando vuole. Ma avrebbe dovuto spiegarmi come far costruire quella cappella: grande o piccola, rotonda o quadrata?”.
Tutto riflettendo, egli guadagna la collina rocciosa. In quell’ora mattutina, dove, ovunque, delle chiese suonano per la santa messa, i demoni non oserebbero mostrarsi. D’altronde, come attaccherebbero colui al quale san Michele ha incaricato di eseguire i suoi ordini? Forse, sui luoghi, potrà meglio inquadrare il suo progetto…
L’azzurro mattino è tutto sgorgante di rugiada; non si sente nei dintorni che la cristallina canzone dei pettirossi che parla dell’autunno. Il vescovo si accorge allora d’una cosa strana: la rugiada così abbondante manca totalmente sulla cima del Monte e ricalca così il contorno, rotondo come un’immensa aureola, del futuro oratorio.
Secondo la leggenda, si videro ben altri prodigi; vi fu una “pietra ”, un’enorme roccia che nessuno poteva spostare, che gli sforzi riuniti di molti uomini non giunsero a staccare dal suolo e che, sotto il piede di un neonato, si mise in cammino da sola e si abbatté giù dalla collina; vi fu uno spaventoso dragone che il demonio inviò a san Oberto e che, su ordine del vescovo, se ne andò nel mare e partì per sempre con la marea…. E questi bei racconti volevano dire che l’innocenza di un bambino che ha custodito tutta la grazia del suo battesimo, che la preghiera fervente e piena di fiducia in Dio, sono più forti del demonio e lo obbligano a fuggirsene.
Comunque, essendo terminato il santuario, san Oberto voleva possedere una reliquia del Monte Gargano, un frammento del marmo sfiorato dall’Arcangelo. Egli inviò due suoi canonici in Italia – un ben lungo viaggio attraverso foreste, pianure, montagne, seguendo il cammino delle vie romane -, e quale contrasto: passare dalla Neustria selvaggia, dall’umile edificio di grosse pietre agli splendori della basilica italiana, rivestita di marmo e d’oro! Si diede ai pellegrini un pezzo del velo dell’altare ed una scheggia del marmo benedetto, ed essi presero la via del ritorno.
Essi non riconobbero più il loro Monte Tomba! Niente più foresta, ma sabbia all’infinito, ed il mare azzurreggiante all’orizzonte… Nel marzo 709, si era avuto, tutta una notte, uno spaventoso uragano, seguito da un maremoto. Il vento ed i flutti avevano sradicato la foresta druidica facendo tremare il Monte sulle sue basi e, quando giunse il mattino, si era potuto vedere tutti gli alberi caduti in disordine, lontani nelle terre. Quanto al Monte, esso si trovava oramai in pericolo del mare e, per ben molto tempo, gli si diede il nome di “San Michele del Pericolo”.
L’ufficio dell’Apparizione a san Oberto, che si celebra il 16 ottobre in diverse diocesi, richiama questo evento: “Il mare è stato sconvolto ed il suolo ha tremato, là dove l’Arcangelo Michele è disceso dal cielo”.
Come il santuario fu consacrato, i pellegrinaggi iniziarono. I pericoli non mancavano: era la marea sopraggiungente “alla velocità di un cavallo al galoppo”, per quelli che attraversavano imprudentemente la baia; erano le sabbie mobili; i briganti imboscati nei dintorni dei cammini; le frequenti guerre. Nulla fermava le folle e la devozione a san Michele non cessava di crescere. Ovunque s’innalzavano cappelle dedicate all’Arcangelo, abbazie prendevano il suo nome, innumerevoli villaggi o quartieri si ponevano sotto il suo patrocinio. Si narrava che un pellegrino che andava da San Michele in Pericolo di Mare a San Michele del Monte Gargano avesse incontrato sulla sua strada diciassette santuari dedicati all’avversario di Satana. Uno dei più formidabili è San Michele dell’Aiguilhe, edificato su di un pilastro roccioso dalle vertiginosi discese, vicinissimo all’illustre pellegrinaggio di Nostra Signora del Puy-en-Velay.
Siccome il paganesimo aveva posto sovente i suoi idoli sulle altezze, si vollero purificare quegli “altoluoghi” e li si consacrò spesso a San Michele. Non era l’angelo delle vette, colui che trionfa della pioggia e degli abissi? Cosa non si narrava sulla sua potenza contro il diavolo! Non vi era là, d’altronde, nessuna esagerazione, ed avremmo torto, oggidì, a dimenticare questa potenza. Un grande papa, Leone XIII, che amava molto gli angeli, aveva composto ed ordinato a tutti i sacerdoti e ai fedeli di recitare alla fine della Messa una bella preghiera all’Arcangelo per chiedergli di “respingere nell’inferno Satana e gli altri spiriti maligni che si aggirano nel mondo per perdere le anime”.
In Germania, esiste un altro Monte San Michele, il Michelsberg (montagna di Michele). Nel tempo dei pagani, si era là adorato una dea della luna, simile alla Diana dei Romani. San Bonifacio, apostolo della Germania del VIII secolo, fece abbattere l’idolo. Per vendicarsi, il demonio scatenò sul paese ogni tipo di calamità, grandine, tempesta, epidemie; si chiamò san Michele in aiuto, egli discese dal cielo “come un lampo” e cacciò l’inferno dalla collina, oramai santa e dove si venera tuttora l’Arcangelo.
Egli è diventato naturalmente il protettore degli agonizzanti che il demonio insidia, il consolatore dei morenti: è così che lo si vide apparire sotto forma di luce in molte abbazie dove i monaci stavano per morire. Egli li portava presso Dio; nella messa dei funerali del rito antico di san Pio V, all’Offertorio, dopo aver implorato Gesù, il Re di gloria, per le anime di tutti i fedeli defunti, si cantava: “San Michele, il portastendardo, li introduca nella santa luce come avete promesso una volta ad Abramo ed ai suoi discendenti”. Secondo una tradizione molto antica, si pensava che san Michele, con l’Arcangelo Gabriele, avesse portato in Paradiso la Vergine assunta, che avesse assistito alla sua Incoronazione ed introdotto ugualmente nei cieli, con molto onore, l’anima di san Giuseppe. Si chiama talvolta san Michele il “prevosto del Paradiso”, che vuol dire “preposto” all’entrata in cielo delle anime giuste; e siccome tutte le anime non meritano subito la loro gioia, si è fatto del tutto naturalmente di san Michele il “pesatore delle anime”, che le pone su di un piatto d’una bilancia per valutare i loro meriti. Egli è rappresentato così sulla facciata d’una delle più belle cattedrali francesi, quella di Bourges. Dolce e forte, degnissimo nella sua lunga veste, egli protegge con una mano (l’altra tiene la bilancia) un’anima che uno spaventoso demonio voleva prendere.
Si innalzarono anche in onore di san Michele, in talune regioni della Francia e dell’Inghilterra, delle “lanterne dei morti”. Sono delle specie di pilastri sormontati da un campanello aggiunto nel quale si può accendere una lampada. Questa fiamma che veglia è il simbolo della preghiera che libera le anime del Purgatorio.
Tutti i re francesi furono devoti all’Arcangelo protettore della Francia. Carlo Magno aveva fatto comporre una poesia latina in onore di san Michele dal suo ministro Alcuino. Nessuno dei re della terza dinastia, quella dei Capetingi, mancò di recarsi al Monte in pellegrinaggio, ad eccezione di Luigi XV. Il re Luigi XI aveva posto sotto il patrocinio dell’Arcangelo un ordine di cavalleria: san Michele non era il cavaliere per eccellenza, il soldato di Dio, il modello dei guerrieri?
Anche la Canzone di Rolando, uno dei più antichi e dei più bei poemi della letteratura francese, non manca di citare il suo nome vicino a quello dei due altri Arcangeli: “Rolando sente che la morte s’impadronisce di lui e scende dalla testa al cuore. Egli corre a gettarsi sotto un pino; si corica, col volto contro terra, sull’erba verde, pone sotto di lui la sua spada ed il suo olifante… Egli accusa le sue colpe, sovente ed instancabile, e tende a Dio il suo guanto, per i suoi peccati – tendere il proprio guanto era segno di sottomissione, di umiltà -; gli Angeli del cielo scendono verso di lui”.
Il condottiero, rivolto verso la Spagna, si ricorda tutta la sua vita, si ricorda delle terre conquistate, della “dolce Francia”, di Carlo Magno, dei suoi compagni d’armi, ma il suo pensiero ritorna presto alle cose del cielo; di nuovo, egli tende il guanto con la sua mano destra e l’arcangelo Gabriele lo prende. Allora, la testa di Orlando s’inclina e, con le mani giunte, egli muore in pace poiché Dio gli invia, con Gabriele e Raffaele, “san Michele del Pericolo”, ed i tre radiosi arcangeli portano in paradiso l’anima di Rolando.
Molti racconti e leggende popolari hanno voluto mostrare la grande potenza dell’Arcangelo. Uno dei più toccanti di questi racconti semplici è forse questo: della povera gente andava in pellegrinaggio, il padre, la madre ed i loro bambini; essi seguivano attraverso la baia una stretta pista in cui la sabbia era solida, ma tutta quella sabbia, specchiante sotto il sole, bruciava loro gli occhi, ed essi persero poco a poco la loro via. Improvvisamente, essi sentirono affondarsi. La sabbia li aspirava lentamente, ma inevitabilmente. Atterriti, essi camminarono a caso senza ritrovare il terreno solido. Al contrario, ogni passo scavava maggiormente la sabbia e nessuno nei dintorni per giungere in loro aiuto! Nient’altro che la sabbia, il vuoto mare e così lontana l’aerea cappella sul suo piedistallo di roccia, il dominio dell’Arcangelo che essi non avrebbero mai raggiunto.
Il padre volle salvare sua moglie ed il bambino ed ordinò alla giovane madre, malgrado le sue proteste, di salire sulle sue spalle per avere più tempo. Dei pellegrini sarebbero giunti senza dubbio e avrebbero salvato forse il bambino e sua madre. Ella obbedì, con la morte nell’anima, e la sabbia inghiottì l’uomo a poco a poco. Ma quel sacrifico non bastò, la giovane mamma si vide a sua volta perduta; ella pose il piccolino sulle sue spalle e raccomandò la sua anima a Dio, invocando la Santa Vergine e san Michele. Non vi era più che il bambino sulla superficie della sabbia. Appena sapeva parlare, ed egli ripeteva le ultime parole di sua madre, Santa Vergine, san Michele… Allora l’Arcangelo discese dal cielo, prese il bambino, lo estrasse dalla sabbia: allo stesso tempo apparvero, come anelli d’una stessa catena d’amore, i genitori che, essendosi sacrificati per quel bambino, erano salvati dalla sua innocente preghiera.
Si amava così, nelle veglie dell’inverno, narrare la storia di un vecchio avaro di nome Martino Hapart, un usuraio, un uomo che prestava denaro a povera gente ed esigendo un eccessivo interesse.
Ma nessuna vita è interamente cattiva. Un giorno, questo avaro aveva dato un soldo a san Michele, su istanza di sua moglie che era una pia pellegrina del Monte. Questa magra elemosina – e soprattutto, senza dubbio, le preghiere di sua moglie – permisero all’Arcangelo di togliere Martino dall’inferno.
Tutte queste tradizioni, tutti questi pii racconti ci insegnano in quale considerazione era tenuto il santuario di Monte San Michele in Pericolo di Mare. I pellegrini (re, nobili, prelati, o povera gente, sarebbe impossibile enumerare qui tutti i personaggi celebri che vi si recarono) si pressavano da tutte le vie. Li si nominava familiarmente “i micheletti”.
Vi fu anche, nel XIV secolo, una strana e folle avventura che si ripeté cent’anni più tardi. Ma erano veramente ispirati dal cielo, quei fanciulli che, sia in Francia, sia in Germania, credettero che una voce li chiamava e lasciarono la loro famiglia per andarsene in bande, mendicando il pane, a Monte San Michele? Siccome essi erano, per la maggior parte, pastorelli, custodi di vacche, li si chiamarono “i Pascorelli”.
Nel secolo successivo, in pieno inverno, la folle odissea si rinnovò: si vide un esercito di millecento bambini attraversare la città di Francoforte allorché, secondo una vecchia cronaca, “tutto era coperto da una neve spessa e faceva terribilmente freddo”. Era il 28 dicembre, il giorno dei Santi Innocenti. La Chiesa s’inquietò e vietò ai bambini di continuare il loro viaggio. Già la morte falcidiava largamente nei loro ranghi. San Michele, certamente, ama la preghiera dei fanciulli, ma non è necessario, per meritare la sua protezione, di andarsene all’avventura. Un pellegrinaggio a Monte San Michele, come a qualsiasi altro venerato santuario, è una grande grazia; ma noi possiamo pregare in ogni luogo. Quando la nostra anima è pura e la nostra preghiera fervente, gli angeli sono i nostri prossimi vicini, i nostri amici più vicini…