di P. Serafino M. Lanzetta, FI
vedi anche il precedente articolo S. GIUSEPPE “UOMO GIUSTO”
Guercino – San Giuseppe con il bambino Gesù (Bologna, Collezione Lauro)
Giuseppe di Nazareth è un santo così poco conosciuto nelle sue virtù sublimi. Certo, sono virtù che si delineano in quei tratti evangelici che scolpiscono, come veloci pennellate di una mano esperta, una figura che nel poco manifesta il tutto di sé. L’umile falegname di Nazareth era un uomo sobrio, riservato, silenzioso, raccolto, accanto all’esser tenace, di una straordinaria prontezza, presente. Sì, presente, una virtù così languida oggi che fa essere senza esserci. Tanti papà sono tali senza esserlo. Mettono al mondo dei figli e conservano con questi solo un legame biologico. Li hanno lanciati nel buio e poi si sono ritirati. Preferiscono continuare a vivere nel loro buio dopo che ci hanno trascinato quei poveri figli. E i figli si ritrovano sempre più senza un padre, senza più la capacità di vivere da figli dunque. Come si potrà poi essere padri se non si saprà cosa significa essere figli? Il nostro mondo che non vuole essere più “figlio” perché ha rifiutato il Padre, sta conoscendo sempre più la notte del padre e il vuoto dell’esser figlio. In alcuni casi si arriva all’assurdo del figlio preteso da soli padri! La vita diventa semplicemente “un’inutile passione”. Così si profila sempre più fortemente l’omosessualità come via di sbocco. Si cerca un padre altrove.
Dove siete cari papà? Dove sei o uomo? Solo S. Giuseppe può aiutarci in questo ginepraio d’orrori.
Giuseppe era un papà presente, un vero papà, scelto dal Padre eterno quale suo riflesso nel tempo. Giuseppe era un uomo del mistero, un uomo di Dio. Aveva messo la sua vita nelle mani di Dio, aveva messo le sue mani nelle mani di Dio. Si lasciava condurre da Dio. Non aveva paura di Lui. Non temeva di perdere donandosi. Donandosi ha ricevuto tutto: ha ricevuto Dio stesso nelle sue braccia. Per lui si realizza in pienezza la beatitudine del Vangelo: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio» (Mt 5, 8). Giuseppe “ha visto” Dio quando nell’intimità filiale si rivolgeva al Padre come ad una sorgente per essere dissetato, ad un lauta mensa per essere sfamato. “Ha visto” Dio poi, quando stringeva tra le sue braccia quel Figlio. Nella sua umanità Giuseppe vedeva con la fede il Figlio di Dio. Ha vissuto in anticipo la fede eucaristica della Chiesa. Unito alla sua Santissima Sposa, credeva nella divinità di Cristo contemplandone l’umanità. L’umanità del Figlio era uno specchio della sua divinità come per noi che, guardando un frammento di pane consacrato, vi scorgiamo per fede tutto Gesù. Giuseppe adorava Gesù e quale padre lo generava col suo amore verginale. Giuseppe viveva da “figlio” ecco perché è stato un padre straordinario.
Ora ci chiediamo: in che cosa consiste propriamente la paternità di S. Giuseppe?
La sua paternità si colora di un mistero soprannaturale: è padre di un Figlio generato dall’eternità dal Padre dei cieli e nel tempo dalla sola Madre per opera dello Spirito Santo. Sa di essere chiamato ad una missione paterna singolare, quella di essere padre di Gesù in una dimensione più alta di quella comune secondo la carne. La paternità di S. Giuseppe si dipana nella dimensione dello spirito. Genera effettivamente quel Figlio – una generazione nella sola agape – che pur tuttavia è l’Unigenito del Padre. Gesù ha un solo padre, Iddio nell’eternità, e una sola madre, Maria SS.
La paternità di S. Giuseppe, pertanto, è in modo singolare, prolungamento nel tempo della paternità del Padre dei cieli. È il Padre che chiama Giuseppe di Nazareth ad essere nel tempo il custode del suo Figlio. Consegna nelle sue mani filiali il suo Figlio. Lo sceglie perché sia sua visibilità nel mondo. Dunque, Giuseppe genera Gesù in un modo simile – anche se lontanissimo – al Padre nell’eternità. Qui l’analogia s’affina molto e s’azzarda. Il Figlio procede dal Padre da sempre per un atto d’intelligenza. Il Padre conosce se stesso e conoscendosi esprime se stesso nel suo Verbo. Il Figlio è la conoscenza che il Padre ha di se stesso, lo specchio della sua eternità. “In principio era il Verbo e il Verbo era con Dio…” (Gv 1, 1). Il Verbo è sempre con il Padre perché da Lui procede. Nel tempo, il Verbo incarnato che è sempre con il Padre (cfr. Gv 10, 30), nella sua santissima umanità rimarrà col suo Padre terreno. La paternità di Giuseppe si esprimerà, allora, nel custodire nel tempo la generazione eterna del Figlio, il quale diventa figlio dell’uomo senza un padre, con la sola Madre. La verginità d’amore di Giuseppe è lo scrigno nel quale Iddio depone il mistero della divinità di Cristo. Il Cristo che è il Figlio di Dio e di Maria, in Giuseppe, troverà come un cielo bianchissimo che lo avvolgerà di un candore spirituale, trasparenza del seno del Padre da cui da sempre procede. L’amore puro e casto di Giuseppe, diventa perciò una culla per il Verbo incarnato, la culla verginale di quel Figlio che conosce solo una generazione paterna secondo lo spirito. “Dio è spirito” (Gv 4, 24) e Giuseppe assolve al suo ruolo proprio conformandosi alla spiritualità di Dio. Il suo affetto per Gesù, la conoscenza del mistero per mezzo della fede, gli aprirà gli infiniti misteri della paternità di Dio. Lo conformerà sempre più al Padre. Giuseppe ha tanto amato Gesù, conscio di questa missione unica: custodire nel tempo la generazione eterna del Verbo. Le sue mani hanno protetto quel Bimbo nel quale si celavano i misteri di Dio. La sua paternità verginale diventa, pertanto, segno della filiazione divina di Gesù. Nella sua persona traspariranno i lineamenti invisibili del Padre. La garanzia che quel Figlio è unicamente figlio di Dio è Giuseppe, uomo santo, custode del Figlio, testimone del Verbo incarnato, immagine del Padre. Come la verginità di Maria sarà segno della divinità di Cristo, così la verginità di Giuseppe, sarà segno dell’unica paternità di Dio verso quel Figlio.
S. Giuseppe è modello del padre perché si è conformato in tutto al Padre. È modello dei padri che generano secondo la natura umana i loro figli ma la cui generazione non può arrestarsi al solo dato biologico. La paternità, ci dice S. Giuseppe, è un mistero che deve andare oltre il dato fisiologico che, del resto, non è meramente accidentale. Mentre ci ripete che la generazione dei figli avviene sempre e solo in una comunione d’amore unica ed indissolubile di un papà e di una mamma che si amano e si donano e donandosi donano la vita, ci dice che la paternità deve andare oltre. Il padre è sempre padre di quel figlio anche quando ormai c’è il figlio. Un padre segue costantemente suo figlio e lo genera continuamente nello spirito. La malattia più perniciosa oggi è, purtroppo, concepire la generazione solo come un atto meccanicistico. Un figlio, in verità, ha bisogno di essere generato anche nello spirito. Ciò implica attenzione e premura paterna verso il figlio, educazione ai valori morali, sequela costante nelle sue scelte, confronto critico con le sue richieste. Come si vede, tutte attività spirituali che vanno oltre la prima generazione, l’implicano e la perfezionano, dando al padre il suo vero volto.
Abbiamo bisogno di rivedere il volto del padre. Abbiamo bisogno di Dio Padre che ci dona il suo Figlio. Andiamo a Giuseppe, lui ci svelerà il volto della paternità più vera, più santa, quella eterna.