di P. Giovanni Cavalcoli, OP
Nel n.2 di quest’anno del Periodico “La Tradizione cattolica” della Fraternità S.Pio X di Spadarolo (RN) è apparso un articolo di Stefano Falletti dal titolo “Monsignor Gherardini e il discorso mancato sul Concilio Vaticano II”, nel quale si presenta una mia posizione circa la questione dell’interpretazione del Concilio che richiede alcune precisazioni e correzioni.
Innanzitutto mi si attribuisce l’appellativo di “cattolico conservatore”. Non so come l’articolista sia giunto a tale denominazione, che non mi dispiace del tutto. Lo intendo come conservazione delle buone tradizioni. Me lo ha assegnato di recente il Padre Giandomenico Mucci della Civiltà cattolica in un senso positivo, giacchè anch’egli si considera tale. Tuttavia questo il Padre Mucci me lo ha detto in una corrispondenza privata. Non so quindi, ripeto, come l’articolista sia giunto a chiamarmi così.
Quanto a me, se proprio devo definirmi, mi chiamerei piuttosto “cattolico maritainiano”, dato che da cinquant’anni coltivo e seguo il pensiero del Maritain. Tuttavia non mi riconosco se non solo in parte nel ritratto che l’articolista fa di me come “cattolico conservatore”. Questo modo di fraintendere il mio pensiero mi stupisce, giacchè soprattutto in questi ultimi tempi ho avuto modo di esprimere le mie idee in merito in varie pubblicazioni, come per esempio su questo sito o sul blog “Settimo cielo” di Sandro Magister e chiunque legge attentamente le mie dichiarazioni si accorgerà dell’inesattezza di quanto mi si fa dire. Ad ogni modo, se non sempre sono stato chiaro, approfitto adesso per chiarire. Elencherò alcuni punti.
Primo punto. E’ vero che non mi ritengo seguace della Scuola di Bologna di Alberigo, ma mi guardo bene dal fare del Concilio una specie di “superdogma” nel senso condannato dall’allora Card.Ratzinger, ossia come compendio totale della dottrina cristiana che invalida o ritiene superate tutte le dottrine precedenti. Dove sarebbe qui il conservatorismo?
Secondo punto. E’ vero che sostengo la perfetta continuità delle dottrine conciliari con la Tradizione e in tal senso son conservatore. Ma come, in quanto cattolico, potrei sostenere diversamente? Per un cattolico non è possibile che le dottrine di un Concilio ecumenico portino fuori della verità insegnata dalla Tradizione; vorrebbe dire che la Chiesa vien meno al compito assegnatole da Cristo di conservare intatto il deposito rivelato sino alla fine dei secoli, cosa per un cattolico assolutamente impensabile.
Terzo punto. Se per quanto riguarda le dottrine, anche comprese le dottrine nuove del Concilio, una rottura con la Tradizione è impensabile, non c’è problema a pensare una rottura (opportuna o inopportuna su certi punti) della tradizione pastorale o disciplinare, perché in questo campo la Chiesa non è infallibile e la storia lo dimostra. Qui un Concilio può sbagliare, per cui il Concilio successivo dovrà correggerne gli errori. Qui a volte bisogna “rompere”; altre volte il rompere è sbagliato.
Terzo. Ogni Concilio è interprete della Tradizione così come in generale lo è il Magistero della Chiesa. Ciò non toglie che sia lecito interpretare un Concilio alla luce della Tradizione, purchè da questa verifica non si pretenda di trovare nelle dottrine di un Concilio delle deviazioni dalla Tradizione, cosa che, come ho detto al punto precedente, è impossibile. Del resto la pretesa di mettersi in contatto con la Tradizione senza la mediazione del Magistero con la pretesa di cogliere in fallo il Magistero in quanto non fedele alla Tradizione, è un metodo sbagliato dal punto di vista cattolico, perché il Magistero è interprete infallibile della Tradizione e nessun privato può permettersi di giudicare se un magistero conciliare è o non è conforme alla Tradizione, perché il cattolico dà per scontato che le dottrine di un Concilio sono conformi alla Tradizione, per quanto possano presentare aspetti di novità. Ma novità non vuol dire necessariamente rottura o tradimento, può significare anche sviluppo o esplicitazione.
Quarto. Il paragone col salone dell’automobile può sembrare ingenuo o grossolano, ma dà l’idea di quanto avviene nel progresso dottrinale realizzato dai Concili. La tradizione non paragona la Chiesa ad una “barca”? Ebbene perché non paragonare il progresso della Chiesa nella storia alle migliorìe che la tecnica umana inventa per rendere più comoda e sicura la navigazione? Indubbiamente il paragone può zoppicare in quanto, mentre nessuno oggi userebbe un’auto primi novecento, è chiaro che i primi Concili della Chiesa conservano intatta la loro validità ed utilità ed anzi oggi più che mai, viste le devastazioni operate dal modernismo. Tuttavia resta sempre vero che la conoscenza che per esempio ci dà di Cristo il Concilio di Calcedonia, pur restando vera, è arretrata rispetto a quella che ci dà il Concilio Vaticano II con la Dei Verbum o la Lumen Gentium.
Quinto. Non dobbiamo chiedere al Papa e tanto meno ad una “commissione scientifica” che ci “dimostri” l’esistenza della continuità, quasicchè essa possa essere dubitabile ed eventualmente si dimostri che non esiste. Semmai possiamo chiedere al Papa che ce ne illustri o chiarisca i motivi, ma dobbiamo credere al Papa sulla sua parola che la continuità esiste, altrimenti dove va a finire la nostra riverenza all’autorità del Papa? E non è a dire che qui si tratti di materia dove il Papa può sbagliare, giacchè, per ipotesi, si tratta della dottrina della sacra Tradizione, nell’insegnare e nello sviluppare la quale nessun Concilio e nessun Papa possono sbagliare.
Questo è esattamente il mio pensiero. Spero di esser stato chiaro. Mi si contesti pure, ma sulla base di quello che ho detto, non sulla base di quello che mi si vorrebbe far dire.
Bologna, 7 settembre 2011
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