di Giovanni Lugaresi
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“… E’ perciò un peccato che di fatto, la consacrazione […] venga ai nostri giorni vanificata, proprio ad opera di sacerdoti, con manifestazioni non compatibili col luogo sacro: concerti, spettacoli, balletti, riunioni di ogni tipo, che un tempo si facevano fuori, o ‘di fronte al tempio’, come ricorda la parola latina pro-fanum; sembra inarrestabile il fenomeno delle chiese adibite a concerti non solo di musica sacra ma profana: gli atti non sacri che normalmente si fanno altrove, comportano una profanazione. Nella pubblicità delle cosiddette ‘Notti Sacre’, scorreva in sequenza la scritta ‘musica, preghiera e spettacoli nelle chiese’: una scimmiottatura delle ‘Notti Bianche’, ormai diffuse nelle città secolarizzate europee. Come il cristiano nell’iniziazione consacra se stesso a Dio, dopo l’esorcismo, così il luogo santo con la dedicazione è consacrato a Dio, dopo essere stato sottratto all’influenza del maligno, che deve restare fuori del tempio con tutte le sue azioni. Non si possono ospitare tali o altre azioni profane, laddove si celebrano i divini misteri. Come è possibile che vescovi e preti abbiamo dimenticato che quel luogo, edificato spesso con sacrificio dei fedeli, è stato ‘dedicato’ – parola che ricorda l’atto con cui si offre qualcosa di molto personale a chi si ama – a Dio?…”.
Queste espressioni si leggono nel nuovo libro di don Nicola Bux “Con i sacramenti non si scherza” (Prefazione di Vittorio Messori; Cantagalli Editore; pagine 223, Euro 17,00) che dovrebbe essere letto e meditato soprattutto da certi presbiteri e, naturalmente, da certi vescovi.
Quelle espressioni le abbiamo tratte dalla parte finale del libro, il capitolo “L’estensione del senso sacramentale”, con riferimento alla “Benedizione della chiesa e… profanazione”.
Già, la chiesa, il luogo sacro, la casa di Dio – si diceva una volta. Dove peraltro, a quanto pare (o per lo meno in non pochi casi), Dio viene… dopo.
Viene dopo la vanità e le “fantasie” del prete, che fa quello che vuole, alterando il rituale della messa, per esempio. E non ci si riferisce al vetus ordo, bensì al novus ordo, che pure ha delle “regole”, regolarmente (ci si consenta il bisticcio) disattese dai celebranti.
Facciamo una sola osservazione, secondaria, rispetto a ben altre “alterazioni”, aggiunte, omissioni.
Dopo il saluto finale, di “andare in pace” (non ce n’è uno migliore!) per esempio, occorre dire: “buona domenica”? E che bisogno c’è di affidare la distribuzione delle sacre particole a un laico? Dove sta scritto? Ci risulta, da nessuna parte… Potremmo citare altre cose, ma lasciamo perdere.
Per occuparci invece di altre azioni come l’applauso: non a Dio, bensì ai cresimandi, agli sposi (una volta lo si faceva fuori dalla chiesa insieme al lancio del riso!), ai morti, perfino, dopo certe interminabili testimonianze, sermoni, letture, messaggi, e chi più ne ha più ne metta, spesso una baraonda indescrivibile…
E poi, ecco: ci sia mai nessun prete che controlla come ci si presenta in chiesa? Cioè come ci si va vestiti? Donne e ragazze sbracciate, indossano braghette (si chiamano minishorts?) e da qualche tempo anche i maschi non scherzano. Uomini maturi che vanno a far la comunione (a ricevere il Corpo di Cristo) come andassero in spiaggia: pantaloni corti e infradito ai piedi… Ma dove siamo? Consapevolezza del luogo dove ci si trova? Rispetto per Nostro Signore? – detto per inciso, a volte sembra di trovarci a “ruoli” invertiti: al centro, non più Dio, ma l’uomo (il prete), o gli uomini (i fedeli): ma questo non significa creare degli idoli, nuovi idoli al posto del vero Dio?…
Rispetto per certi preti, no, non lo meritano. Dal momento che sono proprio loro, a dare il cattivo esempio, dal momento e nel momento che li vedi in giro vestiti da tutto, tranne che… da prete.
Ce ne erano sette, sere fa ad una sagra paesana in un paese del Veneto ad aggirarsi fra gli stands, fermarsi davanti ad uno spiedo gigante. E uno degli addetti alla cucina cui si era rivolto uno di questi individui, non conoscendolo ma vedendo i suoi abiti senza alcun “segno di riconoscimento-distintivo” gli ha risposto chiamandolo “capo”, come si usa da certe parti, in certe occasioni, con certe persone.
Non diversamente è andato ad altri che si sono visti pochi giorni fa (siamo a fine luglio) arrivare a casa il parroco a cavallo della bicicletta, maglietta verde a mezze maniche, jeans con robuste tiracche, cappellino da giocatore di baseball in testa… a fare che cosa? Ma a dare la benedizione “pasquale”! Al che, uno di questi laici ha avvertito il parroco… ritardatario e vestito in modo non degno di un sacerdote nell’adempimento delle sue funzioni, che la “benedizione pasquale” era già venuto a impartirla, nel periodo giusto, qualcun altro: un frate amico!
Ora (limitandoci all’abito): possibile che non esista più il concetto del “decoro dell’abito”, appunto, riguardante laici e presbiteri? Non è una questione di forma, è una questione di sostanza, alla base della quale ci sono, secondo noi, due elementi: buona educazione, rispetto del prossimo, ma soprattutto, trattandosi di “cose di religione”, rispetto di Dio, della chiesa, per cui più che mai l’abito deve essere consono al ruolo ricoperto.
E per quel che riguarda poi il vestirsi… da tutto, tranne che da prete (oh, i begli abiti che sembrano tagliati da Caraceni!, oppure vestitacci da sensale di bestiame nei paesi); sovviene un ricordo di giovinezza.
Correva l’anno 1966 e non era ancora estate. Ragazzo di bottega nella redazione del Resto del Carlino di Ravenna, il caposervizio incaricò me, cattolico e conoscitore di tanti preti, di svolgere una piccola inchiesta sulla adozione del clergyman, da poco concessa dalle autorità ecclesiastiche, che prevedeva anche il mantenimento di quel colletto bianco chiamato anche “collare romano”, adesso raramente usato, perché si preferisce tenere aperta al collo la camicia e in tal guisa apparire magari in tv mentre si spiega il Vangelo domenicale… in chiesa!!!
Feci un giro di telefonate e la risposta che mi piacque maggiormente fu quella di don Giovanni Zambotti, colto personaggio, docente di filosofia in seminario, che disse pressappoco: vedi, mio caro, ci sono preti grassi e magrissimi, belli e brutti, piccoli e alti… la veste talare copre tutto e va bene così! Vedrai che robe con il clergyman!!!
In effetti, clergyman prima, abiti vari poi, esaltano pregi e difetti fisici di chi li indossa. Certo, questo è un discorso che riguarda l’estetica, e non gli diamo un peso superiore a quello che ha, però… però… vedere certi preti budelloni, con ventri prominenti, ancorché sostenuti da robuste tiracche, non aiuta ad avere il senso del loro ministero…
Prevediamo la battuta antica: “l’abito non fa il monaco”.
Verissimo, ma noi abbiamo sempre sostenuto che “può aiutare a farlo!”.
E se questi preti (non parliamo di certi vescovi, ignari di quel che fa il loro clero, e che magari non vogliono neppure saperlo – forse perché ciò metterebbe in discussione i loro compiti, anche, di controllo?) sono così, si comportano così, è ovvio che nelle loro chiese si faccia di tutto, tranne che avere rispetto e rendere omaggio al “padrone di casa”, cioè a Nostro Signore, al quale peraltro vengono voltate le spalle nelle celebrazioni liturgiche…
Et de hoc, satis.
PS: Tutto quanto sopra è stato visto, ben osservato da chi scrive.
20 commenti su “Rispetto dei luoghi sacri, decoro dell’abito sacerdotale… qualcuno se ne ricorda? – di Giovanni Lugaresi”
Durante un pellegrinaggio a Fatima, avevamo con noi a farci da guida spirituale (sic) alcuni preti che ricordo bene, ho dovuto chiedere chi fossero i preti (che ci accompagnavano), perchè vi confido sinceramente io mica l’avevo capito!… e da cosa l’avrei dovuto capire?
dai jens stretti stretti?, dalle magliette multicolore? dai sandali infradito ai piedi?
poi…se uno si avvicinava ,ma proprio vicino vicino, notava un piccolo Crocifisso appeso al collo, lo diciamo particolare irrilevante?…
Senza poi contare che all’ora di pranzo,trepidanti si “buttavano” a capofitto sulla tavola imbandita del ristorante…
bè, tirate un pò voi le somme, in che mondo viviamo!!!!!!!!
Le do ragione in tutto, gentile Lugaresi: persino i paramenti per dire messa aboliti in tempo di afa : una stola indossata alla meglio e via all’altare; come se ci si mettesse un grembiule per mettersi a cucinare. E che! Troppa sofferenza vestirsi come si deve per celebrare il mistero eucaristico! Troppo caldo, non si resiste. Non resistono neanche i fedeli, uomini e donne, più sbracciati e scollacciati che mai: davanti al Padreterno, il Re dell’universo. Andrebbero costoro a presentarsi così davanti a qualche capo di stato? Certo che no, davanti al Padreterno, però sì.
L’abito non fa il monaco, è vero, ma almeno il monaco si riconosce dall’abito. Ma che dico? Ormai che bisogno c’è di riconoscerlo il monaco? Vogliamo proprio isolarci nel nostro stupido senso di superiorità o osare addirittura imporre (con la predicazione) la nostra religione? Non sia mai! Parola del vdr.
Ex allievo dei salesiani negli anni 60 ricordo con nostalgia il tempo in cui i preti indossavano il talare, incontrandoli nei corridoi della scuola risuonava sempre il sia lodato Gesù Cristo e si baciava loro le mani in segno di deferente ossequio.Una volta mi sono chinato per baciare la mano ad un prete, l’ha ritratta come se fossi un appestato.
Qualche anno fa, un giovane sacerdote mi raccontò di un fatto di cui era stato protagonista. Si trovava a Parigi, nel mese di luglio, nel salone di un ristorante, in pantaloni di lino e camicetta. A breve distanza da lui, un anziano sacerdote in talare nera, di quelle con la fila verticale di bottoni rossi. L’afa pesante lo faceva sudare. Ad un certo punto, gli si avvicinò un signore in evidente stato di agitazione al quale l’anziano prete prese le mani nel mentre colui gli parlava. Pochi minuti di colloquio dopo di che il signore, baciata la mano all’anziano prete se ne andò. “Allora io – raccontò il giovane di cui sopra – mi avvicinai e mi presentai come un collega chiedendogli perché indossasse la talare che a luglio non è l’ideale per respirare. Mi rispose: “Vedi, amico mio, io non voglio che andando un giorno su da Lui, Egli mi chieda: dov’eri quando avevo bisogno di te?”. Il giovane prete da quel giorno indossa la talare.
Ottimo esempio che dice tutto!
Devo confessare che questi preti mettono a disagio: spogliandosi dell’abito è come se si spogliassero del ruolo…..Se si osa dir qualcosa si è tacciati di superficialità. Sarà, ma stranamente ho notato che queste persone hanno una teologia traballante (per non dire….. somara), infarcita di tante ideologie.
Un altro frutto marcio del CVII.
Infatti.. scoraggiante sotto molti punti di vista.
Io ho la fortuna di conoscere Sacerdoti che vestono talare.
Un giovane di Gallarate, che ha frequentato il Seminario di Venegono (altri che hanno frequentato il medesimo seminario hanno stili opposti… quindi questo sua punto di vista anti-modernista è molto personale). Io amo assistere alle messe che celebra con grande concentrazione, perfette genuflessioni, grande uso di Sacramentali, incenso ecc..
Un Sacerdote esorcista Piemontese che per l’uso della veste sacerdotale viene deriso.
Purtroppo, da anni la secolarizzazione avanza.
I buoni Sacerdoti nascono dalle famiglie numerose.. e la famiglia si è disgregata….
Anch’io non mi rassegno a vedere i sacerdoti (compreso quello del mio paese) in maglietta e le suore in gonna e camicetta (ognuna diversa dalle
altre). Più passa il tempo e più mi addolora vederli conciati così.
Cara Flavia, la Madonna li ha rimproverati apertamente perché non vogliono più farsi riconoscere come consacrati al Suo Divin Figlio. Legga i messaggi rilasciati a Bruno Cornacchiola (il veggente delle Tre Fontane) nel recente libro di Saverio Gaeta “Il veggente”.
Beh nella nostra chiesa parrocchiale è stata fatta la riunione per spiegare ai cittadini il funzionamento della nuova raccolta differenziata dei rifiuti. Daltronde la chiesa è la asa di tutti, mi é stato detto in quell’occasione…..
Io penso, invece, che l’abito fa il monaco. Eccome. La forma è sostanza. Cosa gradiremmo di più, una patata bollita ben presentata ed offerta con garbo o un succulento pollo arrosto tirato in faccia. Di più, quando parlo con qualcuno voglio sapere con chi sto parlando, in special modo se si tratta di un prete. Il diavolo si presenta sempre sotto mentite spoglie Dio no. EGLI si dichiara, non inganna. Ho sempre diffidato dei preti che non indossano la talare. Perché? Se ne vergognano? Vogliono ingannare? O forse i vestiti “civili” li fanno sentire di più “tra la gente”!
Quanto alle gazzarre ormai consuete in Chiesa, esse sono proprio la cartina di tornasole della nuova dottrina antropocentrica. Dio sta lì, da una parte, ignorato ed offeso e noi qui a far baldoria! Gli applausi poi, ma come si fa ad applaudire ad un funerale o ad una omelia dove il celebrante, secondo un vezzo da tempo in essere, applaude se stesso. In questa dissacrazione costoro, oltre a Dio, offendono se stessi. Primi fra tutti i…
Ricordiamo il martire seminarista Rolando Rivi, per il quale l’abito non fu un “dettaglio”.
Hai ragione Riccardo: l’abito fa il monaco, perché gli ricorda di essere un CONSACRATO e non uno dei tanti, come ama qualificarsi OMISSIS.
L’abito non farà il monaco, ma (a quanto pare) il luogo fa l’uno e l’altro. Esempio 1: città dell’immediato hinterland milanese, domenica 17 luglio, S.Messa delle 18,30, il peggio del peggio. Una ragazza non aveva praticamente nulla addosso (e molti uomini in tenuta da spiaggia) ed il sacerdote (peraltro sotto chemioterapia) solo con camice e stolone. Esempio 2: Duomo di Milano, domenica 24 luglio, S.Messa delle 9,30. Oltre ad il sacerdote (che indossava tutti i paramenti regolamentari ambrosiani, e che -udite, udite- ha usato la 3a Preghiera Eucaristica) tutti i fedeli con abiti lunghi ed accollati.
…forse al Duomo di Milano c’era un “filtro” all’ingresso.
Ioannes, la tua e’ un’ottima spiegazione, ma è contraddetta da un’osservazione. La stessa scena del Duomo (il cui “filtro” funziona) la si può vedere in Sant’Ambrogio, o in San Carlo al Corso (storiche chiese milanesi). Perché? Forse la spiegazione sta nella dissociazione mentale di molti, per i quali – a parità di Presenza Reale – nelle chiese di classe A occorre presentarsi vestiti bene, mentre in quelle di periferia (che architettonicamente sono orrori) puoi (s)vestirti come un barbone o come in spiaggia. Delirio puro!
Come ho già detto in un precedente intervento la Presenza Reale è il “quadro” ma credo che la “cornice” aiuti molto noi umani a coglierne l’essenza. Assistere ad una funzione religiosa in latino (priva della “creatività” del celebrante) in una Cattedrale gotica con musica d’organo “b en pompato”, incenso in abbondanza e candele di cera vera (non le orribili elettriche-finte) mi rapisce! E’ la chiesa “verticale” che aiuta lo spirito ad elevarsi. Anche senza “filtro” all’ingresso difficilmente ci troveremmo fedeli “estivi” in canottiera-bermuda-infradito, come invece non è improbabile trovare nelle neo-chiese “chitarre e battimani”. Ritengo sia riduttiva la definizione di chiese di serie A e chiese di serie B. Non credo di essere puritano né bacchettone ma credo che esista una sorta di autoselezione. Al culto va tributato il giusto onore o perlomeno una sufficiente dignità.
E’ vero. La working class viene condannata alla bruttezza affinché perda i valori, il rispetto del sacro, il gusto di elevarsi…I progressisti sono- oltre che materialisti- terribilmente classisti.
Un bidone vuoto non necessita d’etichetta.Paradossalmente, dei bidoni con magnifiche etichette, talora, racchiudono immondizie.
Se indossi una divisa manifesti “qualcosa” e sei molto visibile. Ciò potrebbe essere pericoloso, visti i tempi ed il “volemose bene”, quieta non movere”.
Mi piace ricordare: Gv 21, 7 e 19, 23 .
Amen.
G.Vigni
L’abito non fa il monaco, dicono, allora rispondiamo dicendo che l’abito FA ANCHE il monaco!