Lo Sport è sempre uno specchio della società, dei suoi gusti, delle sue tendenze, dei suoi valori, dei suoi vizi. Lo scorso weekend sportivo ha visto alcuni episodi molto significativi. In primo luogo ciò che è accaduto a Firenze, dove si fronteggiavano due squadre di bambini. Una delle due formazioni rappresentava una società dal nome assai pio: Cattolica Virtus. Quello che è accaduto invece sugli spalti è stato ben poco edificante: una gazzarra tra genitori trascesa fino al punto che la partita tra i bambini è stata interrotta. Qualcuno tra i giovani giocatori ha anche provato a chiedere che i genitori fossero allontanati per poter così permettere alle squadre di continuare a giocare, a divertirsi, e a portare a termine l’incontro.
Questo episodio è una variante piuttosto triste di una scena che spesso si è presentata alle cronache. Quante volte abbiamo letto sui giornali – sportivi e non- articoli iniziare così: “Quella che doveva essere una bella giornata di sport si è invece trasformata…”. Solitamente i colpevoli di queste incresciose trasformazioni vengono individuati negli ultras, i tifosi più accesi. Ma a Firenze a bordo campo non c’erano gli ultras, non c’erano brigate o commandos: c’erano genitori, ovvero padri e madri che dovrebbero essere i primi educatori – prima della scuola, dello Stato o altro – dei propri figli. Educatori attraverso l’esempio.
Al di là di questa squallida sceneggiata, a cui ha dovuto assistere anche un campione del recente passato come Giovanni Galli, chi ha la ventura di frequentare i campetti dove giocano bambini e ragazzi, sa che molto spesso si possono udire insulti ad arbitri, avversari, allenatori, ma anche incitamenti ai propri figli e giocatori ad un gioco decisamente più duro. Compresi inviti ad entrate assassine. Tutto questo accade prevalentemente nel calcio.
Difficile trovare una simile barbarie sui campi di pallavolo, un pochino di più nel basket, purtroppo. Non certo nelle piscine o sulle piste di atletica. D’altra parte gli sport di squadra – si sa – sono battaglie dove lo spirito decoubertiano non c’è più. Ma anche nelle battaglie ci dovrebbero essere dei codici non dico etici, ma d’onore, da rispettare. Questo è il bello dello Sport: regole da rispettare. Altrimenti non è più una guerra tra eserciti regolari, ma una mattanza tra barbari. Anche quando i barbari sono mercenari miliardari e un poco viziati.
E veniamo così al secondo spunto di riflessione offerto dal weekend sportivo. In effetti, è proprio a partire da quanto accaduto allo stadio Meazza di San Siro che il direttore di Riscossa Cristiana mi ha fatto la proposta (indecente?) di scrivere un articolo in elogio di Rino Gattuso. E perché dovrebbe essere così difficile per me parlare dell’allenatore del Milan? Perché io sono un Celtic Supporter, “faithful through and through”, come diciamo noi a Glasgow. Il mio cuore batte all’impazzata per il club biancoverde fondato nel 1888 nella città scozzese da un religioso irlandese, Padre Walfrid. Un club la cui storia ho raccontato nel romanzo Il prodigio di Lisbona, un libro che ho scritto con gli occhi umidi di commozione per questa squadra e tutta la storia e il popolo che ci sta dietro.
Bene, direte voi, ma Gattuso che c’entra? Il fatto è che Gattuso ha giocato nei Rangers, all’inizio della sua carriera, prima di arrivare ai fasti Rossoneri. Fu un anno solo quello trascorso a Glasgow sulla sponda Rangers, ma è stato sufficiente. Rino ha sempre detto che quello fu per lui un anno decisivo nella sua vita, e non solo per la carriera di calciatore, visto che in Scozia conobbe la ragazza che sarebbe in seguito diventata sua moglie. Una italo-scozzese, sorella di una giornalista di BBC Scotland, e il cui padre era un tifoso del Celtic. Quasi inevitabile tifare per il Celtic se sei cattolico, a Glasgow. Anche perché i Rangers hanno da sempre praticato l’apartheid verso i cattolici. Ma Gattuso venne chiamato a giocare da loro, quelli che noi soprannominiamo “Unni”, a causa del loro atteggiamento, del loro odio settario verso gli irlandesi cattolici.
Ma il giovane calabrese si trovò bene ad Ibrox, il loro tempio calcistico. Negli spogliatoi campeggiava il ritratto della Regina, e Ringhio – che aveva trovato un traduttore simultaneo in Paul Gascoigne reduce dall’esperienza italiana – chiese a uno sbigottito Gaza se quella fosse la madre del presidente della squadra. Al paese di Ringhio Elisabetta II non era nota. Gascoigne ebbe anche a fronteggiare un problema di diplomazia religiosa la prima volta che Rino scese negli spogliatoi per cambiarsi. Al collo faceva bella mostra un crocifissone. Gaza gli fece presente l’opportunità di toglierlo. “E perché?” chiese il giovane neoacquisto. “Beh, perché noi siamo protestanti…” fu la risposta. “E contro cosa protestate?”.
Gattuso forse non aveva una conoscenza approfondita della storia della Riforma e delle grosse difficoltà che l’ecumenismo ha trovato in Scozia, ma sapeva giocare molto bene. Venne quindi accettato dagli unni, che poi a malincuore lo lasciarono tornare l’anno dopo in Italia per intraprendere una spettacolare carriera.
Ringhio tuttavia fu sempre grato ai Rangers per quanto aveva appreso in campo e fuori in quel campionato scozzese. Ovviamente, questo non lo rende certo simpatico a noi del Celtic. Tuttavia, per quanto Gattuso ha dichiarato domenica, dopo l’isterica sceneggiata del suo giocatore Kessie, devo dire che non posso che ammirarlo. In una società dove l’isteria si sta diffondendo paurosamente, il fortissimo richiamo che l’allenatore rossonero ha rivolto ai suoi giocatori è una vera perla. Un’isteria che fa venire meno il rispetto: per i compagni, per il pubblico, per la squadra, e in genere per il prossimo. Quell’isteria che si è manifestata anche nell’episodio toscano di cui si è detto.
Forse Gattuso sarà anche un unno, ma è meglio la sua durezza, la sua ruvidità, quella che per anni ha mostrato in campo, di certi atteggiamenti che vediamo oggi sempre più diffusi. La sua è sempre stata una durezza battagliera, virile, ma onesta. Niente manfrine, niente vigliaccherie. E niente ostentate volgarità, alla Simeone o alla Cristiano Ronaldo.
E i risultati si sono visti: le scuse pubbliche dei protagonisti della piazzata. Gattuso ha mostrato cosa significa essere un guerriero leale, un capo che si assume le sue responsabilità. L’interprete di valori che probabilmente entrarono nel suo animo in quel suo anno in Scozia, anche se vissuto sulla sponda sbagliata del fiume Clyde. Valori che sta cercando di interpretare, magari a modo suo, nella carriera di allenatore. Complimenti, Mister Ringhio.
3 commenti su “Ringhio Gattuso, dopo aver strigliato i suoi giocatori, dai una bella ripassata anche a certi genitori – di Paolo Gulisano”
Ringhio grandissimo anche per un interista come me
Voglio solo precisare che Gattuso ritornò in Italia acquistato dalla Salernitana neopromossa in serie A nell’annata 1997/98
Ai complimenti all’autore e all’ammirazione per Ringhio aggiungo che lo sport dal quale il calcio, a tutti i livelli e a tutte le età, dovrebbe prendere esempio è il RUGBY. Che non a caso Gattuso cita spesso.