Ci sono libri che dopo due secoli dalla loro pubblicazione non solo non risentono dell’usura del tempo, ma addirittura divengono più che mai attuali. È il caso di questo volume del pensatore francese Louis de Bonald, Le leggi naturali dell’ordine sociale (pag. 210, euro 17,90), meritoriamente pubblicato per la prima volta in Italia dall’editore D’Ettoris.
De Bonald è annoverato, insieme a Donoso Cortes, a Edmund Burke e a De Maistre, tra i padri della Controrivoluzione, la corrente di pensiero che ebbe a svilupparsi in contrapposizione alle dottrine illuministiche e alle idee della Rivoluzione Francese in difesa del pensiero tradizionale.
Leggere de Bonald oggi è impressionante, perché non si tratta semplicemente di ritrovare un classico del pensiero conservatore e tradizionalista, ma è impressionante per la sua analisi dell’idea di rivoluzione, e oggi – in un momento in cui è in atto un nuovo movimento rivoluzionario destinato a cambiare la vita delle persone in nome del nuovo paradigma salutista – è fondamentale comprendere come la Rivoluzione nasce, cresce, si propaga, si impone. “I disordini hanno sempre rafforzato il potere”, diceva Montequieu, e il potere è ciò che nella Modernità ha preso il posto della Sovranità, che de Bonald così bene descrive nel suo saggio.
Potremmo dire che la Rivoluzione comincia strappando la sovranità a Dio, che è l’origine e la fonte del diritto e della giustizia, per poi proseguire togliendola ai corpi sociali, da quelli dello Stato per finire alla famiglia e all’individuo stesso, privato di sovranità e libertà.
Tutto inizia con una Rivoluzione, quella francese, che ha goduto altresì, di ottima (e immeritata) fama, di vasta pubblicistica. La Révolution ha infatti sempre goduto di una stampa favorevole, da est a ovest, ed è stata presentata come il riscatto degli oppressi contro una società ancora pressoché feudale, come l’avanzare della modernità e del progresso.
La Rivoluzione, impregnata delle filosofie illuministe del XVIII secolo ma anche di antiche suggestioni eretiche come la gnosi, si era proposta di combattere innanzitutto la Chiesa. Si scatenò un movimento di cristianofobia che, di fatto, perdura ancora oggi, mutatis mutandis, all’inizio del XXI secolo.
La prima fase del processo rivoluzionario di guerra alla Chiesa non si limitò a un’offensiva sul piano delle idee, ma fu cruenta, violenta, omicida, perseguitando i cristiani – sacerdoti e laici – come non era accaduto da secoli in Europa. Chi non avesse apostatato davanti alle baionette dei soldati o ai proclami dei funzionari dello Stato veniva deportato o ucciso.
Uno dei giudizi più lucidi e appropriati su quegli avvenimenti fu espresso nel 1993 dal grande intellettuale russo Aleksandr Solženicyn, protagonista dell’eroica stagione del “Dissenso”, ossia il movimento culturale, civile e religioso che nell’ex Unione Sovietica si era opposto – pagando col campo di concentramento, con la tortura e la morte – alla dittatura comunista. Commemorando le migliaia di vittime della Rivoluzione francese, che sarebbe stata poi il modello per altre rivoluzioni ancor più sanguinarie che avrebbero in seguito funestato il mondo, compresa quella che aveva annientato la sua patria, Solženicyn disse che la Rivoluzione francese si era realizzata nel nome di uno slogan intrinsecamente contraddittorio, e irrealizzabile: “Libertà, uguaglianza, fraternità”. Nella vita sociale, infatti, libertà e uguaglianza sono antagoniste e tendono a escludersi reciprocamente: la libertà non prevede l’uguaglianza sociale, mentre l’uguaglianza limita la libertà, perché diversamente non vi si potrebbe giungere. Quanto alla fraternità, quella autentica non può essere costruita da disposizioni sociali, ma è di ordine spirituale, fondata sul riconoscersi figli di un unico Padre. Inoltre questo slogan ternario terminava con tono minaccioso con l’aggiunta “o la morte”, il che ne distruggeva ogni significato.
L’esperienza della Rivoluzione francese avrebbe dovuto bastare perché gli organizzatori razionalisti della “felicità del popolo” ne traessero lezioni, e invece i procedimenti crudeli della Rivoluzione francese divennero il modello per essere in seguito applicati di nuovo sul corpo di altri popoli e nazioni.
De Bonald ci ricorda invece che la società deve essere soggetta alla sovranità di Dio e deve rispettare, pena la propria rovina, la legge naturale, che è la legge impressa da Dio nel finalismo di tutta la natura, e che, in particolare, è scolpita nell’anima dell’uomo. Dopo aver constatato il sovvertimento provocato dalla Rivoluzione, scorge nel principio della sovranità di Dio il più sicuro e indispensabile rimedio per la salute della società e delle persone.
2 commenti su “Rileggere de Bonald”
Ottimo e veritiero articolo che denuncia la satanica iattura delle iatture, la “révolution” e fa riscoprire fior fior di intellettuali negletti come De Bonald.
Grazie.
Corrado Corradi
Il “peccato mortale” dei De Bonald, De Maistre, Burke etc. è stato quello di avere rilevato l’intrinseca contraddizione interna al liberalismo. Se l’uomo è la misura di se stesso e della realtà, che cosa lo può frenare? Nulla, e certamente la “legge morale che è dentro di me”, è solo una ridicolaggine in cui poteva credere solo Kant. Chi mi impedisce di farmi una legge morale a mio uso e consumo, semplicemente rispettando il principio di non contraddizione?