“ … e vederai color che son contenti / nel foco, perché speran di venire / quando che sia alle beate genti” (Inf. I, 118 – 120).
“ … e canterò di quel secondo regno, / dove l’umano spirito si purga / e di salire al ciel diventa degno” (Purg. I, 4 – 6).
di Carla D’Agostino Ungaretti
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Il forestiero che a Roma percorra, a piedi o in auto, il Lungotevere Prati in direzione di S. Pietro – godendosi una delle più belle vedute della mia amata città che la politica e la pessima amministrazione che la affliggono da anni non riusciranno mai a deturpare (almeno si spera) – poco prima di arrivare a destinazione scorgerà sulla destra una strana chiesa dallo stile gotico transalpino ma palesemente moderna, e quando verrà a sapere che essa fu completata nel 1917, si stupirà che l’architetto abbia scelto uno stile così poco confacente all’atmosfera romana[1]. Ma non è solo lo stile architettonico, inusuale a Roma, a rendere curiosa questa chiesa, dedicata al S. Cuore del Suffragio, ma soprattutto il piccolo Museo delle Anime del Purgatorio, cui si accede dalla sacrestia, fondato nel 1894 dal gesuita marsigliese P. Victor Jouet il quale, avendo fondato un’Associazione per il Suffragio delle Anime del Purgatorio, aveva fatto una raccolta di documenti e cimeli attestanti l’esistenza delle anime purganti e del loro manifestarsi nel mondo terreno sotto forma di apparizioni che, in più occasioni, avevano lasciato impronte infuocate su abiti, stoffe, libri e oggetti vari. Queste reliquie, ovviamente numerate e catalogate, sono ora raccolte in vari armadi e non è tanto facile accedere ad esse perché la Chiesa non ne ha mai incoraggiato la visione allo scopo di non alimentare curiosità morbose in una materia sulla quale essa non ha mai espresso una posizione ufficiale.
E in effetti questa è stata, da parte della Chiesa, una saggia decisione, perché se è vero che oggigiorno sono pochi quelli che credono all’esistenza dell’inferno e soprattutto alla sua eternità, nonostante si tratti di un dogma della fede cristiana, figurarsi se possono essere molto più numerosi quelli che credono all’esistenza del purgatorio! Considerato, oltretutto, che questa dottrina venne teorizzata solo nel Medioevo come stato transitorio dopo la morte, durante il quale l’anima espia quella pena, relativa ai propri peccati, che ancora non è stata soddisfatta dalla penitenza terrena.
Inoltre l’esistenza del purgatorio è negata dai protestanti – che non praticano la preghiera per i defunti credendo che la morte di Cristo sia stata ampiamente sufficiente alla salvezza dell’uomo – ed è respinta anche dalle Chiese ortodosse, che pure condividono con la Chiesa cattolica la prassi della preghiera e del sacrificio per i defunti. Per di più, nel Nuovo Testamento la tradizionale fede nel purgatorio è attestata solo in modo allusivo dall’affermazione di Gesù che accenna alla possibilità del perdono nel mondo futuro ( Mt 12, 32) e dalla frase di S. Paolo che parla della possibilità di venire salvati “come attraverso il fuoco” (1 Cor 3, 15). Quindi gli spunti di discussione e di riflessione tra le Chiese possono essere innumerevoli.
Invece io, cattolica “bambina”, credo fermamente nell’esistenza del purgatorio; anzi, penso che questa dottrina sia estremamente consolante perché ci assicura che anche dopo la nostra morte potranno essere sanate quelle innumerevoli debolezze e imperfezioni che ancora ci renderebbero indegni di vedere Dio faccia a faccia, nonostante la definitiva e sincera scelta di Lui fatta in vita da noi, e sarà permesso alla nostra anima immortale di “farsi bella”, in vista dell’incontro definitivo ed eterno con il Dio Trinitario. Allora l’anima sarà anche “contenta” di purificarsi nel fuoco, come Virgilio dice a Dante nei versi che ho citato in epigrafe. Ma come mai nel Nuovo Testamento gli accenni a questo straordinario mezzo di salvezza sono così rari e la successiva evoluzione dottrinaria è stata così lenta?
A questa domanda io avrei una risposta, sempre da cattolica “bambina”, che però mi conforta e mi rafforza nell’opinione che ho appena espresso. Penso che questa dottrina, elaborata così tardi dalla coscienza cristiana, faccia parte di quel complesso di “cose” che Gesù, prima della Passione avrebbe voluto dire ai suoi discepoli, ma non disse perché essi non erano ancora “capaci di portarne il peso”, e perciò preferì affidare questa Rivelazione allo Spirito di Verità che, una volta venuto, “li avrebbe guidati alla verità tutta intera … “ (Gv 16, 12 ss). Gesù, come sempre, aveva ragione: lo Spirito Santo ha agito senza fretta, aspettando che la Parola di Dio attecchisse e germogliasse nello spirito umano, rispettando i “tempi” umani e limitandosi a guidarne la riflessione nella direzione giusta. Infatti la dottrina cattolica del purgatorio – che ha ricevuto la sua forma definitiva nei due Concili di Lione (1274) e di Firenze (1439) che intendevano promuovere l’unione con le Chiese orientali – venne ribadita ancora una volta dal Concilio di Trento in occasione delle dispute con i movimenti riformatori.
Poiché il Nuovo Testamento aveva lasciato aperta la questione dello “stadio intermedio” tra la morte e la resurrezione all’ultimo giorno, il problema si sarebbe chiarito solo gradualmente con lo sviluppo dell’antropologia cristiana e del suo rapporto con la cristologia. Del resto, sappiamo che i tempi dello Spirito non coincidono con i tempi umani: il Cristianesimo primitivo cominciò a rintracciare le prime radici della dottrina del purgatorio nell’ambito giudaico – arcaico. Il secondo Libro dei Maccabei ( 12, 32 – 46) narra infatti che sui soldati ebrei caduti in guerra erano stati trovati degli amuleti pagani, per cui la loro morte era stata interpretata come punizione per l’apostasia dalla Legge. Si ricorse perciò alla preghiera, “supplicando che il peccato commesso fosse pienamente perdonato”. Non è quello che facciamo tutti noi quando preghiamo per i nostri defunti?
La parola “purgatorio” rimanda alla metafora della “purgazione” o della “purificazione”, due concetti che in realtà sono molto diversi perché esprimono due visioni differenti della natura del purgatorio. “Purgazione” esprime un’idea di pena, di espiazione, di negatività necessaria. “Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all’ultimo spicciolo!” (Mt 5, 25 – 26). A questo passo evangelico forse pensava il rigorista Tertulliano quando, nell’opera “De anima”, concepì il purgatorio come una specie di campo di concentramento dell’Aldilà in cui l’uomo sconta le pene irrogategli da Dio – Giudice con criterio razionale e scientifico.
Il concetto di “purificazione”, invece, è diverso e infatti Il Concilio Vaticano II usa sempre questo termine per togliere quell’elemento di sofferenza che invece è connesso a “purgazione”. Il passaggio da una concezione all’altra è durata secoli e una delle pratiche più significative che ha contribuito allo sviluppo dell’idea del purgatorio, influenzando fortemente l’immaginario collettivo è stata l’antichissima pratica dei suffragi per i defunti assunta direttamente dall’uso ebraico e di cui esistono commoventi testimonianze nelle catacombe romane.
In un’opera pubblicata per la prima volta nel 1977, che io lessi nell’edizione italiana del 2008[2], l’allora Card. Ratzinger confutò l’interpretazione “carceraria” di Tertulliano, spiegando come nel III secolo la coscienza cristiana aveva già fatto un notevole passo avanti con l’opera di S. Cipriano di Cartagine, Vescovo e martire. Cipriano, come Pastore, aveva dovuto affrontare il problema dei “lapsi”, ossia di tante sue povere pecorelle, cristiane e spiritualmente ben disposte ma deboli, che avevano rinnegato pubblicamente Cristo non avendo avuto il coraggio di affrontare il martirio sotto la persecuzione dell’Imperatore Decio che, come riferiscono gli storici, fu particolarmente crudele. A differenza di Tertulliano, il passo di Matteo 5, 26 offrì al santo Vescovo l’occasione di intuire la possibilità che la penitenza ecclesiale potesse continuare nell’Aldilà, consentendogli di accogliere nuovamente quei poveri deboli cristiani nella comunità ecclesiale, contro la disapprovazione dei rigoristi. Così come essi erano, non avrebbero potuto entrare nella comunione col Cristo a causa del loro rinnegamento e della superficialità del loro carattere, tuttavia avrebbero potuto purificarsi anche dopo la morte. La penitenza ecclesiale, quale via della purificazione, non esisterebbe quindi solo nell’aldiquà, ma anche nell’aldilà.
Quindi il Prof. Ratzinger, sviluppando il suo excursus attraverso la visione del purgatorio quale fu concepita dai Padri dei primi secoli, giungeva alla conclusione che il purgatorio consiste piuttosto in un “processo necessario alla trasformazione spirituale che pone l’uomo in grado di essere vicino a Cristo, vicino a Dio e di unirsi all’intera communio sanctorum”.
Che ne è allora del fuoco? Non si parla né di fuoco, né di spazi, né di tempi, perché “ (il purgatorio) diviene un concetto specificamente cristiano solo se lo si intende nel senso cristologico, cioè che il Signore stesso è il fuoco giudicante che trasforma l’uomo e lo rende conforme al suo Corpo glorificato (Rom 8, 29; Fil 3, 21)”. Allora, “la dottrina cristiana del purgatorio … si fonda sulla grazia cristologica della penitenza e consegue con interiore necessità dall’idea dell’espiazione, della disposizione trasformante di colui al quale è donato il perdono”. E allora che significato avranno mai le testimonianze conservate nella chiesa del S. Cuore del Suffragio che deve il suo nome proprio all’invito che la Chiesa ci rivolge sempre di pregare per le anime del purgatorio?[3] Ovviamente non so rispondere con argomentazioni logiche e tanto meno scientifiche, ma mi viene in mente invece la risposta che, nell’ “Amleto” di Shakespeare, il Principe di Danimarca rivolge al suo amico Orazio, il quale ritiene una mera allucinazione l’apparizione dell’anima purgante del Re, che era assassinato da suo fratello Claudio, usurpatore del trono: “Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante non ne sogni la tua filosofia”. Perciò penso che Dio può servirsi anche di quelle inspiegabili reliquie per indurci a riflettere sul nostro destino dopo la morte e prepararci convenientemente ad essa.
Rileggendo dopo alcuni anni quello straordinario libro di Benedetto XVI, sono rimasta profondamente colpita e consolata, perché ho pensato a tutti quei poveri cristiani residenti nei paesi arabi e in India, ora perseguitati dall’ISIS o dagli intolleranti induisti e per i quali lo scristianizzato e colpevole Occidente non alza un dito di difesa. Quanti di loro saranno stati costretti (se non uccisi tout court) i a rinnegare Cristo per salvare non solo la propria vita,ma anche quella dei propri familiari? La vicenda dei “lapsi” – formalmente apostati, ma rimasti cristiani nel loro cuore come aveva ben capito il loro santo Vescovo Cipriano – mi ha rammentato che, se è vero che le parole di Gesù (Mc 10, 33) non si discutono, non di meno solo Dio legge nel segreto dei cuori e probabilmente quei nostri infelici fratelli, ben consapevoli della loro dolorosa apostasia, saranno purificati in purgatorio da quel “fuoco giudicante” che è lo stesso Cristo.
A questo punto ritengo di dover aprire una parentesi per chiarire meglio l’opinione che ho appena espresso, perché a causa di essa sono stata molto criticata e accusata di “doppiopesismo” nel mio “entourage”. Infatti chi mi conosce sa che, nel confuso clima ecclesiale che stiamo vivendo, alimentato dall’egoistico relativismo che caratterizza il nostro tempo, io sono fermamente contraria ad ammettere i cattolici divorziati e risposatisi civilmente alla S. Eucaristia, a meno che essi non promettano al Confessore (che nel momento sacramentale agisce “in persona Christi”) di continuare la loro convivenza, spesso necessaria per la presenza di figli, osservando la castità. Tutto ciò in totale osservanza delle chiarissime parole di Gesù al riguardo espresse nel Vangeli secondo Matteo (19, 3 ss.) e secondo Marco (10, 1 ss). In questo caso i cattolici “adulti” mi accusano di “crudeltà” e rigorismo (alcuni amici mi chiamano scherzosamente Tertulliana), mentre sarei eccessivamente indulgente nei confronti dei cristiani moderni divenuti apostati perché terrorizzati dalla persecuzione. Ma si badi bene: non perché questi miei amici, cattolici “adulti”, pensino che quei poveretti saranno dannati in eterno per aver rinnegato Cristo davanti agli uomini (Mt 10, 33) – dato che essi, buonisticamente, non solo non credono più all’eternità dell’inferno, ma credono addirittura che ci si salvi sempre e comunque, purché “si creda in Qualcosa” – ma perché ritengono il “peccato” dei divorziati risposati civilmente infinitamente meno grave di quello di apostasia, anzi addirittura un “non peccato”, perché dettato unicamente dall’amore, in nome del quale oggi si può fare tutto, e tutto è scusabile se ci si ama.
Non è questo, a mio giudizio, il nocciolo della questione. Premesso che giudicare la gravità di un peccato è di esclusiva competenza di Dio, io non ritengo calzante quel paragone perché i “lapsi” antichi e moderni furono e sono indotti all’apostasia da situazioni tragiche di terrore e persecuzione e nel loro cuore sapevano e sanno di rinnegare Cristo a causa della loro debolezza, o povertà, o disperazione, o dal terrore di vedere i propri figli torturati o uccisi, come aveva ben capito l’antico Vescovo Cipriano che, nella sua santità, aveva intuito la possibilità che la misericordia di Dio li avrebbe potuti purificare anche dopo morti.
Niente di tutto ciò per i moderni divorziati risposati. Essi fanno una scelta di vita ragionata e ponderata senza aver subito coercizioni o persecuzioni e, se si professano cattolici, sanno che questa loro scelta li pone automaticamente in contrasto con la legge di Dio, perciò a mio giudizio, pur essendo essi incontestabilmente membri della Chiesa e nostri fratelli in Cristo, non possono pretendere di accostarsi all’Eucaristia (che è un dono gratuito e non un diritto come essi credono) o svolgere funzioni comunitarie in cui il loro stile di vita possa diventare un esempio e aumentare la confusione in cui già versano tanti spiriti poco esperti di Dottrina cristiana.
Per chiudere la parentesi e tornare alla mia riflessione, trovo confortante che anche Hans Kung, teologo per molti versi “border line” e al limite dell’ortodossia cattolica sembra che la pensi allo stesso modo di Benedetto XVI: “Il morire in Dio … deve essere inteso come un compimento di tutto l’uomo, mediante il quale, con misericordia, viene giudicato, purificato, salvato e quindi illuminato e portato a perfezione da Dio stesso … il purgatorio dell’uomo non è un luogo speciale, né un tempo speciale: è Dio stesso nella Sua Grazia nascosta”[4] . Queste ultime parole di Hans Kung ricalcano una formula biblica per sottolineare che la “purificazione” è l’incontro con Dio tre volte Santo che giudica e purifica l’uomo, ma insieme lo illumina, lo salva e lo porta a perfezione. Insomma, mi vien da dire da cattolica “bambina”, “lo rimette in sesto rendendolo presentabile per il Paradiso” e questo sembra sia il punto in cui convergono tutti i teologi moderni.
Secondo la concezione antropologica che anche il Vaticano II ha recepito e sottolineato nella Gaudium et Spes, l’esistenza umana è la possibilità che ci viene offerta di realizzare la nostra identità così come Dio l’ha pensata; in termini evangelici, è la possibilità di diventare figli di Dio. Infatti i nostri nomi “sono scritti nei cieli” come disse Gesù ai settantadue discepoli che tornavano gioiosi per il successo delle loro prime esperienze apostoliche. Anche Gesù ne fu felice ed esclamò: “Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli” (Lc 10, 20 – 21).
E’ consolante e rassicurante, perciò, sapere che anche i nostri nomi sono scritti nel cielo, ma nel cammino della nostra vita può capitare che non accettiamo i doni messi a nostra disposizione dallo Spirito Santo per mezzo dei quali cresciamo, diventiamo figli e raggiungiamo la nostra identità. Non è detto che sia stato un rifiuto radicale, può anche essere stata un’accettazione parziale, per cui giungiamo alla morte così come alcuni bambini nascono prematuramente, tanto da dover essere messi nell’incubatrice. Ecco allora che la fede nel purgatorio ha un senso ed esso sarà la nostra “incubatrice”, anche se le formule tramandateci dalla Scrittura e dalla Tradizione sono legate a contesti culturali che ormai ci sono estranei. Se in vita abbiamo fatto la giusta scelta di fondo, cioè la definitiva e incondizionata adesione a Dio, allora non abbiamo nulla da temere; potranno esserci stati cedimenti, debolezze, imperfezioni, ma la forza purificatrice del purgatorio cancellerà tutto per renderci totalmente figli di Dio e consegnarci a Lui per tutta l’eternità.
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[1] Infatti l’unica chiesa di Roma autenticamente gotica è S. Maria sopra Minerva – il cui nome deriva dall’essere stata edificata sopra i resti di un antico tempio di Minerva – splendido esempio di gotico italiano dalle forme addolcite, rispetto a quello d’Oltralpe, al pari del gotico fiorentino.
[2] Cfr. J. Ratzinger, ESCATOLOGIA, Assisi, Cittadella Editrice, 2008, pag. 218 e ss.
[3] Ricordo di aver visto, molti anni fa nel museo di quella chiesa, l’impronta di una mano ardente che l’anima “purgante” avrebbe lasciato, bruciandola, sulla camicia del fedele che stava pregando per lei.
[4] Cfr. Hans Kung, VITA ETERNA? Saggi Mondadori Editore, 1983.
6 commenti su “Riflessioni sull’esistenza del Purgatorio – di Carla D’Agostino Ungaretti”
Leggo queste Riflessioni stamattina, dopo aver recitato le mie preghiere per i defunti leggendole su un libricino che fu di mia madre, strapieno di immaginette sacre. Proprio nella sezione intitolata “Per le anime sante del purgatorio” ce n’è una che nella parte alta raffigura un sacerdote che dice messa con tanto di pianeta nera e chierichetto inginocchiato dietro e, nella parte bassa, una schiera di anime fra le fiamme con le mani giunte verso un angelo che ne sta traendo fuori una per portarla, finalmente purificata, in paradiso. “Santini” d’altri tempi su cui però ci si sofferma ancora e che, per gente semplice come me, pure contribuiscono a far riflettere sulle conseguenze dei nostri peccati. Il purgatorio non sarà un luogo, non vi saranno le fiamme, ma a me piace pensarlo così, come nell’immaginetta. E mi piace anche la “Laude ai morti” riportata sul retro:
“Dei nostri fratelli /afflitti e piangenti,/ Signor delle genti, / perdono, pietà. / Sommersi nel fuoco/ di un carcere orrendo /Ti gridan piangendo:/Perdono pietà./Se l’opere nostre/riguardi severo , /allor più non spero /perdono pietà. /Ma il guardo benigno /se volgi alla Croce,/ ripeta ogni voce/ perdono, pietà. Ai nostri fratelli /dai dunque riposo /o Padre amoroso,/ perdono pietà. /Finché da quel fuoco /saranno risorti, /Signor de’ Tuoi morti,/ perdono, pietà.
Gentile Dr.ssa Ungaretti GRAZIE per questo bellissimo articolo.
L’ho letto con molto interesse, anche perché, le confido che, i miei migliori amici sono le anime del Purgatorio, alle quali sono devotissima e per questo confido MOLTO nella Loro intercessione.
E, come diceva spesso P. Pio, anch’Egli devoto a Queste anime, le anime del Purgatorio sono i “veri poveri”,perché non possono chiedere per loro, ma possono però pregare e intercedere per noi!
Come insegna la dottrina cattolica la preghiera delle Anime purganti è più accetta a Dio di quella dei vivi, perché i defunti ne hanno bisogno e non possono aiutarsi da sé, come possono invece fare i vivi.
E S. Ambrogio ci consola dicendo che… tutto quanto diamo per carità alle Anime dei defunti ,si cambia in merito per noi; lo riceveremo 100 volte duplicato dopo la morte!
Dr.ssa Ungaretti che Dio la benedica, e le Anime Sante del Purgatorio preghino per Lei.
Da ulteriori informazioni avute da mistici e veggenti, risulterebbe che il Purgatorio sia anche diviso in almeno tre regioni distinte: vi è un “basso purgatorio” dove le fiamme sono molto alte e la sofferenza è pari a quella dell’inferno con la sola differenza di non essere eterna, dove espiano i peccatori pentiti di peccati gravi all’ultimo momento, poi c’è un “purgatorio medio” dove le sofferenze sono già attenuate ed un “purgatorio alto” dove le fiamme sono pressochè inesistenti e la sofferenza consiste solo nella separazione da Dio. Indi, attraverso il “prato verde”, si accede al paradiso. Talvolta le anime chiedono preghiere per passare in una regione purgativa meno dolorosa. In un certo senso il purgatorio dantesco rispecchia molto, nella sua divisione, quello vero.
E’ vero Camerata, confermo: in Purgatorio ci sono tre livelli o tre strati ( come si vuol chiamare), più il liv. è basso e più si è al limite cioè vicino all’Inferno! (mamma mia!!!)
Al contrario più si è ad un liv. superiore più manca poco alla visione beatificadi Dio…
Io? speriamo che me la cavo:-)
scherzo, ci mancherebbe…occorre pregare, essere perseveranti e MAI dubitare che Dio nella Sua infinita bontà, mi risparmi il…Purgatorio.
Come il limbo per i bimbi ed i giusti non battezzati (qualcuno mi conferma che la sua esistenza è stata recentemente negata ufficialmente dalla Chiesa?), così anche il Purgatorio è stato lungamente dibattuto, fin dalla sua travagliata definizione teologica, durante tutto il Medioevo e fino ai giorni nostri. Oggi non mancano gli scettici ma anch’io, come l’autrice dell’articolo (che ringrazio), sono convinto che la stragrande maggioranza delle anime debba necessariamente espiare nell’aldilà. Purtroppo, non siamo tutti santi; ma la Sua grazia ci permette di accedere alla visione beatifica anche se siamo stati imperfetti durante questa vita. Spesso mi chiedo se il mio amato babbo, che non c’è più, sia in Paradiso o in Purgatorio; e prego affinché, in questo secondo caso, il percorso gli sia lieve. Fu uomo integerrimo e buono, credente ma poco praticante, come si diceva una volta. Morì confortato dai Sacramenti. Purtroppo, non posso sapere dov’è, e questo è il mio più grande cruccio.
vero Alessandro 2 per i bimbi non battezzati non c’è più il Limbo, ma forse è giusto così ,che colpa ne hanno queste anime innocenti? semmai la colpa grave è degli scellerati genitori.
Anche dove lavoro io, c’è una coppia che non ha voluto battezzare il proprio bimbo perché atei.
Poveri loro….