L’obiettivo della riforma costituzionale è costruire l’impianto normativo per svuotare degli ultimi poteri lo Stato nazionale italiano, trasformato in braccio secolare delle oligarchie dell’Unione, a loro volta terminali del mondialismo.
di Roberto Pecchioli
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La democratura è un regime politico improntato alle regole formali della democrazia liberale , ma ispirato ed organizzato di fatto come una dittatura. Il termine ha due padri, lo scrittore uruguayano Eduardo Galeano ed il bosniaco Predrag Matvejevic; il modello che entrambi descrivono è quello di una democrazia ristretta o in altri termini una “dittatura costituzionale”, ovvero un regime concretamente oligarchico. La distanza geografica e culturale dei due intellettuali che hanno coniato il neologismo è la prova che entrambi, da punti di osservazione assai diversi – il Sudamerica ribollente di umori radicali per l’uno, l’Europa orientale uscita dalla cappa sovietica per l’altro – hanno colto un punto centrale della nostra era, quella della vittoria storica del modello economico sociale liberista, fondato sul predominio della finanza e sulla conseguente spoliticizzazione dell’esistenza.
La riforma della costituzione italiana, ed il referendum che dovrà accoglierla o rifiutarla, si inserisce perfettamente nella tendenza delle sedicenti democrazie rappresentative ad uscire da se stesse, trasformandosi, appunto, in democrature, regimi in cui i popoli non contano più, ma non devono saperlo.
Il caso italiano è particolarmente interessante, e rende giustizia ad un’osservazione che il giurista ed economista Giacinto Auriti usava premettere a molti suoi interventi pubblici. Lo scopritore del valore indotto della moneta sosteneva che se dovessimo descrivere fisicamente un uomo che conosciamo da sempre e che porta i baffi, probabilmente trascureremmo proprio questa sua caratteristica, tanto ci sembra evidente e connaturata al suo aspetto. Allo stesso modo, continuiamo a credere di vivere in un sistema democratico per pigrizia mentale e per massiccia esposizione a bombardamenti mediatici. Non è così, e ne è una prova lampante la riforma del Fiorentino e di Maria Elena Boschi, la sua giovane e bella ministra (ed anche questo non è per caso).
La costituzione del 1948, detta la più bella del mondo dai suoi adoratori progressisti, così splendida non doveva essere, se le modifiche proposte riguardano ben 47 dei suoi 139 articoli. Fin troppo facile ricorrere alla smorfia napoletana: 47 morto che parla, dove il cadavere , purtroppo, è il popolo italiano e la sovranità che gli appartiene, una menzogna colossale (i baffi non più notati della metafora auritiana) affermata all’articolo 1 della Carta. Peraltro, era già tutto ben predisposto da allora, giacché i costituenti, che la pensavano in maniera diametralmente opposta su tutto, fecero e disfecero, come Penelope con la sua tela. La sovranità appartiene al popolo, ma esso la esercita “nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Forme e limiti che la riforma di Renzi e della fascinosa Boschi, regina dell’Etruria, riducono quasi a zero. E’ una tendenza mondiale che cancella la sovranità – popolare o nazionale, non fa differenza – e riduce il governo a “governance”, amministrazione dell’esistente, non più a nome dei condomini-popolo, ma dei membri di una dittatura del denaro e delle sue istituzioni che, ormai, non vedono solo i ciechi e, purtroppo, i milioni di accecati dalla poderosa macchina propagandistica dei superpadroni.
Ivan Illich lo chiamava “monopolio radicale”. Chi possiede tutti i mezzi, determina tutti i fini, quindi non può che costruire un sistema giuridico a propria immagine . Ma poiché ha diffuso nei sudditi concetti come legalità e democrazia, vale quanto Bertolt Brecht fa dire in un suo romanzo al capo dei gangsters che comanda ai suoi seguaci: “il lavoro deve essere legale”. La legalità finisce come parola d’ordine di un gangster, dopo aver esordito come ambasciatrice della divinità della ragione. E’ una frase di Carl Schmitt ne Il problema della legalità.
Di qui dunque le menzogne assortite sui minori costi della politica, sulla diminuzione dei parlamentari, sulla velocizzazione del processo legislativo (falsa, e che comunque non è un valore un sé, come dimostrano la fulminea approvazione della legge Fornero sulle pensioni o del lodo Alfano), sulla maggiore “efficienza” del sistema – altra parola magica che nasconde a malapena inganni solenni.
Non è difficile smontare ad una a una le innovazioni costituzionali, e molti lo stanno facendo. Tuttavia, ci è sembrato di individuare, leggendo con pazienza le sessanta pagine comparative diffuse dal centro studi della Camera dei Deputati, un elemento che potrebbe essere la chiave interpretativa dell’intera operazione politica di revisione istituzionale, partita nel 2011 con la famigerata lettera riservata della Banca Centrale Europea al governo Berlusconi. Il nuovo testo costituzionale che dovrà essere approvato con referendum – e temiamo che finirà col passare – contiene una serie di passaggi in punti significativi dell’articolato, relativi “all’attuazione delle normative e delle politiche dell’Unione Europea”.
Lo studio delle parole e dei concetti di una frase o di un sintagma apparentemente neutro dà spesso risultati sorprendenti. Un campo semantico è un insieme di parole che si riferiscono ad uno stesso gruppo organizzato di significati legati tra loro. Semplifichiamo: attuare vuol dire tradurre in pratica qualcosa di già pensato e formulato altrove. Nello specifico, le normative – leggi, direttive, regolamenti – e le politiche, cioè le modalità concrete della vita pubblica , diramate dall’Unione Europea, il vero attore protagonista del film renziano. Comparsa il popolo italiano, aiutante al montaggio il governo, eletto peraltro con meccanismi volti ad eludere la volontà popolare e regole del gioco estranee al principio democratico cui si sparge incenso h.24, pressoché disconnesse dallo stesso metodo democratico.
Il gioco è fatto, i baffi della democrazia sono tagliati definitivamente, ma la maggioranza è persuasa del contrario, addirittura ha votato allegramente secondo gli interessi dei proprietari del rasoio, inverando l’opinione di Massimo Fini, secondo cui la democrazia contemporanea è il metodo inventato per imbrogliare il popolo con il suo consenso. Lo scrittore milanese, a dire il vero, usò un verbo ben più brutale di imbrogliare.
Compito del sistema politico italiano, dunque, è “attuare” i voleri dell’Unione Europea, il secondo livello del potere, sopra il quale ci sono ancora i veri oligarchi, coloro che possiedono, controllano e dirigono l’apparato industriale, mediatico, tecnologico, militare attraverso la leva finanziaria, i monopolisti integrali, o, se preferite, gli azionisti di ( schiacciante) maggioranza del mondo. Hanno dovuto dircelo, o meglio voluto, in mezzo all’oceano di parole del nuovo testo costituzionale. Da oggi i colpevoli saremo noi, se le cose andranno in un certo modo. Sembra quel magnifico gioco di sponde con cui, nel biliardo, il giocatore provetto fa finire in buca, una dopo l’altra, tutte le bocce presenti sul tappeto.
C’è una domanda che si ha il diritto-dovere di porsi, dinanzi ai cambiamenti politici: il nuovo che avanza allarga o restringe gli spazi di libertà concreta, di partecipazione, di intervento popolare? La risposta è ovvia. La costituzione è stata oggetto nel tempo di varie modifiche, in genere peggiorative. Pensiamo al famigerato pareggio di bilancio, imposizione ideologica del dogma economico monetarista, approvata in gran fretta, in assenza di dibattito e senza opposizione. Ora chiudono il cerchio: vuolsi così dove si puote ciò che si vuole…
Non potremo più eleggere il Senato. I futuri “patres conscripti” saranno tutti nominati, come al Grande Fratello. Quanto al conclamato risparmio, si ridurrà a molto meno di un euro annuo per ciascun italiano. Le province sono state cancellate per finta, abolita è l’elezione di presidenti e consiglieri.
Per quanto concerne la stabilità, mantra del liberalismo progressista, essa è in contraddizione evidente con il tanto solennemente gridato principio democratico, che organizza il conflitto, lo regola, ma non lo abolisce. La massima stabilità si realizza abrogando del tutto la partecipazione popolare, giacché loro, gli Illuminati, sono in grado di decidere tutto per bene, senza il fastidioso intervento del popolo ignorante e talvolta puzzolente.
La democratura, come l’uovo di Colombo, risolve il problema. A scadenze dilatate nel tempo, i sudditi votano al segnale di un fischietto, tracciano un segno su nomi e simboli decisi altrove, credendo di scegliere tra programmi ed idee distinte, ma in realtà sovrapponibili. Chi non è d’accordo, viene messo fuori gioco da prima con regole procedurali assurde, e, se riesce comunque ad essere della partita, torna al punto di partenza, come nel gioco del Monopoli, escluso anche dalla rappresentanza. Così vogliono i sistemi elettorali neo-democratici, a partire da quello collegato alla riforma costituzionale. Hanno convinto molti che i parlamenti servano solo per nominare un governo, e dopo, tutti zitti, nonostante parlamento, appunto, evochi l’idea di discutere, partecipare. Stabilità, nuova sirena del mondo…
Avevano bisogno di espungere dalla costituzione i contrappesi, il Senato, innanzitutto, poi l’istituto del referendum popolare, cui è stato imposto un numero di firme a sostegno di 800.000, contro i 500 mila attuali. In compenso, hanno determinato il nuovo quorum di validità lanciando la pallina nella roulette: non più il 50 per cento più uno del corpo elettorale, ma dei votanti alle elezioni politiche più recenti. Per ulteriore tranquillità di lorsignori, per presentare leggi di iniziativa popolare ci vorranno 150mila firme, anziché 50mila. Il danno è teorico, invero, poiché, a memoria di italiano, nessun progetto di questo tipo è stato mai accolto.
La stessa tripartizione di poteri, vanto del genio liberaldemocratico, è ormai comicità involontaria. Il potere legislativo in capo ai parlamenti è di fatto monopolio dei governi, che impediscono la discussione e la calendarizzazione delle leggi di iniziativa parlamentare, eccetto nei casi in cui vogliano marcarne le distanze politiche. Un caso di scuola è la legge Cirinnà sulle unioni civili omosessuali.
Il nuovo testo costituzionale è scritto in un linguaggio involuto, con frasi interminabili. I costituenti di settant’anni fa, quanto meno, conoscevano la lingua italiana. A proposito: restano le tutele per le minoranze linguistiche, ma non si indica l’italiano come lingua ufficiale. Ottima scelta. Per gli imbrogli, meglio jobs act di precariato lavorativo, e fiscal compact è più elegante di tetto di spesa imposto dall’Europa. Il nervo era scoperto. Con tutti i suoi limiti, la vecchia Carta assegnava al popolo la sovranità ed il potere alle istituzioni nazionali. Bisognava correre ai ripari, e con la riforma Boschi ci riusciranno, costruendo un edificio in cui è certificata l’irreversibilità ed indiscutibilità dell’Unione Europea, nonché confessata la supremazia delle sue istituzioni, di cui una è la moneta privata euro.
L’articolo 55 tratta del nuovo senato, attribuendogli funzioni “di raccordo tra lo Stato, gli altri Enti costitutivi della Repubblica e l’Unione Europea. Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all’ATTUAZIONE degli atti normativi e delle politiche dell’Unione Europea”. Se l’italiano non ha ancora ceduto del tutto all’avanzata della neo-lingua anglo tecnocratica, attuare , lo ripetiamo, significa mettere in pratica qualcosa deciso da altri. La Repubblica non è quindi altro che un pezzetto di una struttura sovraordinata, che non per caso si chiama Unione e non più Comunità. Definitivo ed insindacabile, ma deciso da chi? Che fare, se volessimo recedere dai trattati “unionali” (altro orrendo neologismo, sgradevole all’orecchio quanto sindaca o assessora)? Silenzio di tomba, ma l’estinto è il popolo italiano, ex titolare della sovranità espropriata.
L’art. 70 disciplina la funzione legislativa, ed è chiarissimo. In mezzo ad un periodo di oltre dieci righe senza un punto, per leggere il quale ad alta voce occorrono i polmoni di un Enzo Majorca, si riconosce la metastasi. “La funzione legislativa è esercitata [per stabilire] le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione ed all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione Europea”. Nel diritto romano, la definizione di sovranità era illuminante “auctoritas superiorem non recognoscens”, potere che non ammette alcuno sopra di sé. Adesso, nero su bianco, sappiamo che le istituzioni nazionali non sono che il luogo ove approvare le decisioni unionali, cui partecipiamo da azionisti di minoranza, non certo da confederati con diritto di recesso. In altri tempi si parlava di interessi nazionali, ed i responsabili politici felloni erano accusati di alto tradimento. Adesso, dovremo accettare la subordinazione ad interessi di cui non abbiamo il controllo.
La prevalenza del diritto comunitario su quello interno è da anni ammessa da innumerevoli sentenze, frutto di un’interpretazione dubbia ed estensiva dell’art. 11 della Costituzione, ma è la prima volta che la Carta, al di là delle sottigliezze dei giuristi, dichiara se stessa norma gerarchicamente inferiore all’acquis europeo. L’obiettivo è dunque costruire l’impianto normativo per svuotare degli ultimi poteri lo Stato nazionale italiano, trasformato in braccio secolare delle oligarchie dell’Unione, a loro volta terminali del mondialismo. Il parlamento si ridurrà ad un’assemblea di inquilini riunita per ratificare l’operato dell’amministratore delegato esterno ( UE, BCE, Troika).
Questa è la cornice. Il quadro è anche peggiore, e tratteggia un regime di mercato assoluto, in cui dominano le banche d’affari (sembra che lo scrittore ombra della riforma sia JP Morgan) ed i burocrati di Bruxelles sono i fiduciari dell’apparato economico, industriale e finanziario, terzo ed autentico livello del potere. Perdente è il popolo italiano, sconfitto lo Stato nazionale, le cui leggi devono essere piegate, a cominciare dalla Costituzione, alle esigenze dei monopolisti radicali, padroni di tutto. Il caso italiano ha poi delle aggravanti specifiche che fanno vergognare di appartenere ad un popolo (popolo?) che tutto assorbe ed accetta. La riforma è infatti “frutto del voto di un parlamento illegittimo, eletto con una legge elettorale obbrobriosa, dichiarata incostituzionale”. Parola di Gustavo Zagrebelsky, illustre giurista allievo di Bobbio, vicino al potere da almeno 40 anni, massimo esponente vivente del giuspositivismo italiano.
Un’obiezione da dissipare è quella di chi si sente estraneo al sistema dalle posizioni della “destra” di ieri. Taluno pensa: lasciamo che se la sbrighino tra di loro, la costituzione fu scritta contro i nostri principi e calpestando i nostri sentimenti. Vero, ma sono in errore. Un vecchio detto ammonisce saggiamente “piuttosto che niente, meglio piuttosto”. La Carta del 1948 ha molti difetti, quella del 2016 li ha tutti. E’ la Carta Magna di una democratura, in cui la forma nasconde a fatica la sostanza oligarchica, antipopolare ed antinazionale.
Immaginiamo di essere accesi tifosi del Torino Calcio, sorpresi da un tremendo temporale senza riparo alcuno. A disposizione, solo un ombrello vecchio, lacero, sporco, con il manico mezzo spezzato, per di più con i colori ed i simboli della Juventus. Tra una sicura polmonite e la Vecchia Signora, la scelta è ovvia, meglio aprire l’ombrello. Meglio dire NO.
16 commenti su “Referendum: una Costituzione per la “democratura” – di Roberto Pecchioli”
Qualcuno, il cui nome non si può pronunciare in quanto sinonimo del Male Assoluto, ebbe a dire che la democrazia è la forma di governo in cui si dona al popolo l’illusione di essere sovrano
Eh, se avessimo qualcuno che somigli almeno un po’ a quel qualcuno…
Speriamo in Dio
un sì per il NWO , un no per tentare una resistenza
Le costituzioni sono tutte a carattere liberale : il diritto di pochi è un privilegio. Il lavoro non ha riferimenti nelle costituzioni e nemmeno garanzia di rispetto: se si perde , nella concezione liberale della costituzione, la società condanna all’abbandono, di un diritto ovvio che corrisponde a chiunque faccia parte di una popolazione, cioè lavorare per un salario dignitoso, mantenere la famiglia, avere garanzia di base, la costituzione dirà che lui non verrà assunto perchè non vale niente. S’arrangia. Allora, visto che non è un favore che si fa alla persona, il diritto all’occupazione o al lavoro dovrebbe essere incorporato ai diritti umani essenziali. Qualunque lavoro umano è già stato distrutto prima e lentamente.Il debito pubblico è il debito del sistema bancario globale, assistito con i soldi pubblici per mantenerlo in vita lungo la crisi. Siamo nel 2016 o nel 2005?
“…imbrogliare il popolo con il suo consenso”, facendogli anche comprare la vaselina! Citazione calzante: “Detesto i furbi che te la fanno sulla schiena e poi ti vengono a dire che è piovuto!”. Votiamo NO!!!
Caro Ioannes, il tuo sdegno è. anche quello di tutti noi, e credo che ormai non ci siano più aggettivi per deffinire questi insulsi individui, a cui hanno affidato la gestione del nostro povero paese. Tuttavia rittengo, che dobbiamo trattar bene questo sito, tenendo lontano questo linguaggio, sconveniente, mi scuso se sono invadente, ma sento il divere di farlo, affinchè possiamo tenerlo come un gonfalone di cui dobbiamo essere orgogliosi.
Hai ragione, Stefano, ma… “quanno ce vò, ce vò!”.
Comunque c’è il webmaster come garante che i limiti non vengano oltrepassati.
Un fatto però, cari Stefano e Ioannes, è certo ed ineludibile: la frode è palese. Se si dice: “VOTATE SI’ PER ABBASSARE I COSTI DELLA POLITICA ED AMMODERNARE L’ITALIA”, e poi il risultato finale è quello di assoggettare definitivamente il BelPaese a Bruxelles (o chi per esso), chiamiamola come vogliamo, ma sempre frode è.
Ma come si fa a credere a pinocchietto-Renzi?
…e alla falsa-come-giuda-Hillary?
…e ai lupi vestiti da pastori?
…e ai media pargigiani?
ma non succederà come succede sempre quando vogliono far passare una cosa? Non truccheranno il voto?
E quand’anche vincesse il no potrebbero fare come al solito. Ignorare-l’esito-referendario. Dobbiamovotare no oovviamente, ma soprattutto pregare Domine Iddio di far sorgere un vero santo forte papa.
La storia dell’umanità ci insegna che nessun sistema politico pensato dall’uomo (monarchia, repubblica, dittatura, oligarchia) può efficacemente concorrere alla vera e completa realizzazione dell’uomo stesso su questa terra perché ciascuno di essi ha degli aspetti negativi che la impediscono o la limitano più o meno fortemente.
Sono sempre più convinto che la forma ideale di governo per un popolo dovrebbe essere quella di un governo teocratico, non inteso come la intendono gli islamici, ma come un governo nel quale governanti onesti e saggi si facciano guidare nelle loro decisioni non da interessi personali o da una ideologia politica ma dalla ferma volontà di perseguire unicamente il vero bene della comunità di cui fanno parte e si ispirino, per questo, ai santi principi morali contenuti nella Parola di Dio.
Un governo nel quale gli uomini che lo compongono abbiano sempre presente che a Dio compete il primo posto nella vita di ciascun individuo e in quella collettiva di ciascun popolo e che il rispetto dei diritti di Dio è la necessaria premessa per il rispetto dei diritti degli uomini, i quali diritti non possono mai essere contro natura né contrari alla legge divina che Dio Padre ci ha dato con i Comandamenti né a quella naturale iscritta nel cuore di tutti gli uomini.
Bravo, Antonio, la penso anch’io come lei. Ma siamo dei sognatori, purtroppo.
Sono d’accordo e dico che all’Europa mancaiun vero santo forte papa. W Cristo Re!
Con un sistema di istruzione aberrante e il trasferimento di sovranità, a questa specie surreale di governanti rimarrà solo da celebrare le esequie di un’Italia già in coma. speriamo almeno che una lettura come questa scuota qualcuno dal sonno della ragione.