Silvia è una cara amica, nonché membro della “Compagnia della Buona Morte”, una confraternita di laici che ha tra i suoi fini fondamentali quello di pregare per i moribondi e in suffragio delle anime del Purgatorio. Di recente, ha vissuto un’esperienza molto forte e molto bella ed edificante, che ha deciso di raccontarci. La malattia e la morte del fratello hanno fatto toccare a lei e a tutta la famiglia cosa sia la forza della Grazia chiesta al Cielo con la preghiera incessante. “Oportet semper orare et non deficere” (Lc. 18,1), ci dice il Signore. In questa storia, possiamo vedere i frutti raccolti da chi, senza indugio alcuno, decide di ascoltare l’esortazione di Cristo.
Silvia, vuoi raccontarci di cosa era ammalato tuo fratello e da quanto tempo?
Mio fratello era ammalato da sette anni di tumore al polmone. Operato, per quasi cinque anni è stato bene e i controlli costanti non evidenziavano recidive. Poi, nel 2015, a un controllo, si è evidenziato un ulteriore tumore di tipo molto aggressivo. Di qui ha avuto inizio il suo percorso di radioterapia, più quattro cicli di chemioterapia.
Cosa puoi dirci del rapporto con la fede cattolica di tuo fratello prima della malattia?
Mio fratello aveva ricevuto una formazione cristiana con il battesimo e i sacramenti dell’iniziazione cristiana. Si era sposato a vent’anni con rito cattolico. Ai figli ha fatto frequentare regolarmente il catechismo per i sacramenti; lui però, non era solito frequentare la Messa domenicale, né a Natale e a Pasqua. Non esprimeva disapprovazione verso la pratica della fede cristiano cattolica. Disapprovava invece esplicitamente l’ateismo di stampo marxista e l’ideologia che da questo si era poi generata contro la fede cristiana in vari modi.
Sappiamo che come sorella sei stata a lui molto vicina e hai cercato di aiutarlo in questo cammino di conversione. Come è stato il tuo approccio a lui, e a quali mezzi sei ricorsa?
Ho avuto modo di stargli vicino in particolare nei mesi precedenti al suo ricovero, che è avvenuto un mese prima della morte. Ogni giorno, anche in ospedale, sono praticamente sempre stata al suo fianco, in modo spontaneo come chiunque dovrebbe fare con un proprio caro. La domenica prima del suo ricovero, gli ho proposto di andare a casa a trovarlo con un sacerdote per una preghiera insieme e una benedizione. Mi ha risposto di no, in modo categorico. Il giorno seguente mi ha voluto spiegare che non apprezzava questo genere di contatto, che lo viveva come una forzatura e che non avrei dovuto insistere su questo fronte perché gli procurava fastidio e agitazione. Gli ho quindi spiegato che, nella malattia, è cosa normale ricevere una benedizione e una preghiera per essere sostenuti nella prova e affidarsi a Dio, tuttavia garantendo lui che non avrei insistito.
E poi che cosa è avvenuto?
Durante il mese di ricovero, nel quale aveva conferma dai medici del rapido peggioramento della malattia e dell’interruzione delle cure di chemioterapia – con conseguente inizio delle cure palliative -, più volte ha ricevuto la visita del cappellano dell’ospedale. Era solito salutare il frate e lasciarlo con un generico “Tutto bene, buongiorno” sbrigativo, se pur cortese. Poi, durante una delle prime visite del frate, mio ratello ha accettato l’idea della figlia di precitare qualche preghiera per i malati. Si è fatto il segno della Croce ed ha seguito le prime preghiere con i due figli vicini al letto. Il frate ha poi continuato con il rito dell’estrema unzione, che lui ha accettato. Mancava però la confessione.
Che ruolo ha avuto, in questa vicenda, il fatto che tu faccia parte della “Compagnia della buona morte”?
Come ho detto, mancava la Confessione. Mi sono rivolta con questa intenzione precisa alla “Compagnia” per avere un sostegno nella preghiera. Tutti i confratelli hanno dunque iniziato calorosamente a pregare per ottenere questa grande Grazia.
Anche se parliamo della morte di un fratello, possiamo dire che la storia ha avuto un finale lieto. Ce lo vuoi raccontare?
Mio fratello sapeva che mancava questo sacramento. Glielo ha ricordato più volte la moglie. E lui, ogni volta,rispondeva: “Quando me la sentirò”. Una domenica sera, dopo la mia partecipazione alla Santa Messa in rito antico, ho portato con me in ospedale il sacerdote celebrante, il quale ha ricordato in modo esplicito a mio fratello il dovere di prepararsi all’incontro con Dio con la confessione, anche se la malattia si fosse prolungata per anni. Lui però ha risposto “Non ora”, pur tuttavia accettando una benedizione da parte del sacerdote che lo aveva appena esortato. A tre giorni dalla morte, in un dialogo con la moglie che lo sollecitava nuovamente in tal senso, ha espresso la volontà di confessarsi con un sacerdote conosciuto. L’idea è caduta quindi su un sacerdote che conoscevano.
San Giuseppe, primo patrono della “Compagnia”, e San Benedetto, terzo patrono, hanno avuto un ruolo importantissimo nella buona morte di tuo fratello. Puoi spiegarci da quali segni lo si può dedurre?
Il giorno liturgico di San Giuseppe, il sacerdote è stato avvisato e si è recato subito in ospedale; al suo ingresso nella stanza mio fratello lo ha salutato così: “Ciao don C.! Già che sei venuto a trovarmi, mi confessi?”. Considera, inoltre, che dopo essersi confessato, mio fratello ha parlato per altre 24 ore, poi le condizioni cliniche si sono aggravate ulteriormente e non è più riuscito a dire parola. Quindi, ha parlato fino al 20 marzo: il decesso è avvenuto alle quattro del mattino della festa liturgica del Sacro Transito di San Benedetto da Norcia, il 21 marzo, di mercoledì. Come non vedere in tutto questo l’intercessione dei due patroni a cui tutta la “Compagnia” si affida?
Che insegnamento trai da tutto questo?
Che l’opera di assistenza ai moribondi è un’opera di carità quasi dimenticata a cui bisogna dare nuovo vigore. Lo pensavo anche prima, ma dopo essere passata per questa esperienza vorrei proprio che fosse sempre più evidente. Ho potuto davvero sperimentare come, in questi casi sia importante affidarsi alla potenza dell’intercessione dei santi patroni della Buona Morte con una preghiera colma di fiducia.
3 commenti su “Quando il fine vita diventa cristiano – di Cristiano Lugli”
Grazie quindi ai nostri patroni della “buona morte” e ai familiari di quest’uomo che per Grazia di Dio si è confessato prima
di presentarsi al Giudice Supremo e Misericordioso.
storia davvero edificante
Una perla. Senza mai arrendersi affidarsi alla Preghiera che raggiunge il Sacro Cuore. Grazie.