di Padre Giovanni Cavalcoli, OP
Sono onorato che don Marcello Stanzione mi abbia chiesto la presentazione del suo libro “ Forti nella fede”, edito dalla Gribaudi di Milano e contenente 365 pensieri di autori vari per meglio vivere l’Anno della fede indetto da Benedetto XVI. Tempo fa il Papa ci ha ricordato che la fede cristiana non è “credere a qualcosa ma credere in qualcuno”. Questa frase può a tutta prima sorprendere, ma, detta dal Papa, va ovviamente intesa nel giusto senso. Non è inusuale al Sommo Pontefice, molto sensibile al linguaggio moderno ed ottimo conoscitore del linguaggio protestante, far uso ogni tanto, per motivi ecumenici, di espressioni diffuse tra cristiani non cattolici, per sottolineare un’unità almeno verbale tra cattolicesimo e protestantesimo.
Naturalmente sta a noi cattolici interpretare nel giusto senso queste frasi, accogliendo il buono, che è certamente inteso dal Papa e respingendo il cattivo che certo non è nelle sue intenzioni. Né possiamo essere sempre esigenti in questo caso: il Papa si fida del nostro buon senso cattolico e della nostra capacità critica. Sarebbe come se un amico ci offrisse una buona noce di cocco: è evidente che egli ci invita a mangiare la polpa e non anche la buccia.
Vediamo allora in questa metaforica noce di cocco qual è la polpa e qual è la buccia. Quanto a Gesù, è noto come nel Vangelo Egli ci invita tanto a credere in Lui, quanto a credere a ciò che Egli ci dice. Quindi la prima cosa evidente è che non dobbiamo contrapporre questi due inviti di Cristo, quasicchè l’uno escludesse l’altro, come a tutta prima potrebbero dare l’impressione le parole del Papa.
Dobbiamo allora chiederci che rapporto tra di loro hanno questi due inviti di Gesù e, posto che il più importante sia il credere in Lui, come lasciano intendere le parole di Benedetto XVI, come si ordina il credere alle parole di Cristo rispetto al credere nella sua Persona.
Noi impariamo a rapportarci con Cristo partendo da come ci comportiamo col prossimo. Infatti, è impossibile la vita sociale se non crediamo, seppur sempre sotto condizione e solo entro certi specifici ambiti, gli uni negli altri. Il credere in una persona corrisponde all’aver fiducia in lei.
Ma come le dimostro d’aver fiducia in lei? Credendo a quello che mi dice. E come sono giunto a credere in lei? Notando la credibilità delle cose che mi ha detto. In modo simile, anche se con le debite differenze, nasce e si dimostra la fede in Cristo. E’ vero che in fin dei conti è più importante credere in Lui più che in ciò che Egli ci dice. E questo perché lo scopo della fede è l’amore e l’unione mistica con Cristo come Capo della Chiesa e Sposo dell’anima.
Ma non potrei giungere a credere in Lui se non mi avesse dato prove o segni che io devo crederGli. E queste prove o segni sono la saggezza e la bellezza della sua dottrina, insieme, certo, con i suoi miracoli, il suo amore che ha per me, nonché la santità dei suoi discepoli e della sua Chiesa.
Inoltre Egli stesso, come farebbe qualunque amico o guida spirituale, ci ha detto logicamente con chiarezza che se crediamo in Lui e Gli vogliamo bene, dobbiamo ascoltare quello che ci dice e metterlo in pratica. Dunque non ci sono scappatoie per un vago “incontro esistenziale ed atematico” con Cristo, per un’“esperienza o intuizione preconcettuale di fede” come contatto immediato e personale con Cristo indipendentemente dalla verità dogmatica, come farfugliano certi ambienti protestanti, i quali del resto non rispecchiano neppure l’insegnamento di Lutero, al quale la Parola di Cristo nel Vangelo stava sommamente a cuore, anche se purtroppo non la interpretava nella fedeltà al Magistero della Chiesa.
L’incontro personale con Cristo, nell’intimo della coscienza nella vita presente e l’incontro fisico diretto con la sua Persona in paradiso è certo lo scopo ultimo di una fede sincera, viva, retta ed operosa. Ma la fede cristiana come tale, come già si è espresso il Concilio Vaticano I, è di per sé l’accogliere per vero quanto Cristo ci dice, ovviamente perché ce lo dice Lui, per cui in fin dei conti questo stesso credere alle sue parole rimanda al credere alla sua stessa Persona. Tuttavia, per esplicito dogmatico insegnamento della Chiesa la fede cristiana è credere alle parole della divina Rivelazione uscita dalla bocca del divin Salvatore.
Il credere in Cristo pertanto è qualcosa che propriamente sta prima e dopo l’atto di fede teologale nelle sue parole: sta prima perché io non crederei a ciò che Cristo mi dice se non mi fidassi di Lui ovvero se non credessi in Lui. Ma d’altra parte e sotto un altro punto di vista, la fede in Lui non si sveglierebbe in me se io non vedessi la credibilità di quanto mi dice, accompagnata dalla constatazione dell’amore che ha per me e dalla conoscenza dei frutti meravigliosi della sua opera, che è la Chiesa nei suoi duemila anni di storia.
E’ chiaro allora, per non cadere in un circolo vizioso, che il credere in Cristo all’inizio non è lo stesso che il credere in Cristo dopo l’aver creduto nel suo messaggio. All’inizio, sulla base delle testimonianze evangeliche, sono attirato da un uomo straordinario (“nessuno mai ha parlato come quest’uomo”, dicono i soldati ai sacerdoti che li avevano mandati ad arrestarlo) e sommamente credibile per le prove e i segni che mi offre; ma una volta che ho creduto nelle sue parole, ecco di nuovo sorgere in me la volontà, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, di affidarmi totalmente ed incondizionatamente a Lui per dargli in mano il destino della mia vita nell’eternità. E questo è il credere al quale si riferisce il Papa; che però non esclude ma presuppone tutto l’iter precedente, come insegna da sempre la Chiesa cattolica ed emerge chiaramente dagli stessi racconti evangelici.
Viceversa il parlare di un “credere in Cristo” senza tener conto o per manipolare a nostro piacimento in base a dotte sciocchezze (anche se in possesso di un dottorato in esegesi biblica) i suoi insegnamenti senza tener conto dell’interpretazione della Chiesa, tagliando, sopprimendo, mutando, ampliando o dando certi contenuti per “aggiunte o interpolazioni della comunità primitiva” o di S.Giovanni o di S.Paolo, è una pericolosa illusione che ci presenta un “Cristo” puramente fantastico e soggettivo, che non salva nessuno, anzi, se l’operazione è cosciente e volontaria, manda all’inferno.
Dunque la fede cristiana è certo un “credere a qualcuno”, ma passando attraverso al credere ciò che questo Qualcuno ci ha insegnato e dimostrando a questo Qualcuno, come Egli giustamente ci chiede, che crediamo in Lui perché crediamo a ciò che ci insegna come divino Maestro e lo mettiamo in pratica come dottrina salutare del nostro Salvatore. Auguro a questo utilissimo libro di 365 pensieri quotidiani sulla fede di don Stanzione una buona diffusione tra i cattolici che prendono sul serio la loro fede cristiana.
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