Intervento di Giovanni Tortelli
Per leggere l’articolo sulla presentazione di Controrivoluzione, tenuta giovedì 7 aprile 2016 a Firenze, clicca qui
.
Presentare la nuova serie di Controrivoluzione, che segna col n. 124 gennaio-aprile 2016 il suo 27° anno di età, non è come presentare una rivista qualsiasi.
Non per nulla perché essa si riconferma portatrice di valori assoluti ed eterni, secondo il motto prescelto “Sub Christi Regis Vexillis militare gloriamur”. Di questi valori essa fa memoria, li sottrae all’oblio al quale li ha già condannati la cultura imperante, e li attualizza al tempo presente.
E mentre le altre riviste nascono e cadono come foglie secche perché testimoniano un pensiero fluido e debole, un pensiero effimero e nello stesso tempo unico, totalizzante e totalitario, mirato ad indirizzare l’individuo – non più l’ “uomo” – fuori del cammino di verità, questa rivista non cade, anzi si ripresenta rinnovata per procedere nel suo cammino perché la sua forza è l’autenticità, la cui fonte e il cui fine è Cristo e il cui mezzo è la Chiesa; “questa” Chiesa, anche se tormentata e sofferente, nella quale non facciamo mancare la nostra voce critica, ma sempre la “nostra” Chiesa.
Certo siamo in tempi di profonda crisi umana e sociale: la stessa Chiesa ne fu travolta per prima, fra tutte le altre istituzioni – ancor prima del fatidico ’68 – e il segno fu il Concilio Vaticano II conclusosi nel 1965. Ma quello fu solo un primo epilogo, dopo che gli usci erano stati socchiusi addirittura fin dal XIV secolo con Guglielmo d’Ockam e con la sua ancor timida scoperta che la natura poteva essere “studiata”; furono poi aperte delle porte, prima da Cartesio che raccontò la natura non più in termini piani e narrativi ma geometrici, cioè convenzionali e artificiosi; e poi da Newton, che scoprì la fisica analitica a cui nessuna materia del creato poteva esser sottratta; infine furono aperti i cancelli, su su con Locke, Spinoza, Leibniz, con un uomo sempre più potente, sempre più «capace», fino a Kant che distrusse definitivamente la metafisica assoggettandola all’obbedienza della dea «ragion pura» facendo passare tutta la trascendenza sotto le forche caudine delle categorie a priori dell’intelletto.
Cosa volle dire tutto questo? E cosa vuol dire ancora oggi, in termini attuali? Che la natura poteva essere descritta e spiegata dall’uomo, che la natura non aveva più misteri per l’uomo, che l’uomo, infine, ormai incontenibile, non sapeva più che farsene del mistero della Creazione e, quindi, di Dio poiché era in grado di spiegare tutto. Con l’umanizzazione di tutto si produsse immediatamente l’anticorpo della desacralizzazione di Dio, dell’uomo, del mondo, di tutto ciò che è divino.
Lo studio del pensiero filosofico ha sempre precorso gli avvenimenti: con la dissoluzione kantiana della metafisica e con quelle macerie che Kant si portava dietro, non si poteva che arrivare alle teste tagliate dalla Rivoluzione francese.
Da tutto questo disordine sorse il sottile e malefico modernismo, poi il neomodernismo, e con esso la crisi di una Chiesa che oggi sempre meno si ritrova ad esser «cattolica», cioè universale, magisteriale, autorevole ed anche autoritaria. Non per nulla il Vaticano II e questi cinquant’anni a seguire vengono definiti esattamente come gli anni della «desistenza d’autorità» della Chiesa e dei Papi che si sono fin qui succeduti.
Una Rivista come Controrivoluzione è semplicemente necessaria perché testimonia la Verità, in questa società ormai desolatamente priva del senso soprannaturale, del senso del sacro e dell’adorazione, in preda al più cupo scetticismo.
Nel farsi testimone e rammentare che la storia è diventata «sacra» per tutti in virtù dell’Incarnazione, mi piace rammentare che Controrivoluzione ha alle spalle un inestimabile patrimonio dottrinale: la Tradizione e il Magistero perenne della Chiesa in primo luogo, e poi strumenti operativi come il notissimo trattato Rivoluzione e Contro-rivoluzione di Plinio Correa de Oliveira che la nostra Rivista evoca parzialmente nel nome di testata.
Da questa fonte traiamo per esempio conferma che tutte le crisi che hanno coinvolto l’uomo, la religione, la famiglia, la Chiesa, la conoscenza, l’educazione, il rapporto con le scienze e con le arti, hanno o hanno avuto origine nella crisi della cristianità occidentale dovuta al percorso suicida dell’uomo prima sommariamente delineato. La crisi è “una” ed è “totale” – sostiene Correa de Oliveira – perché la Cristianità Occidentale, che aveva costituto un tutto unico che trascendeva i vari paesi cristiani, senza assorbirli, era stata travolta dalle sempre più numerose crisi locali che da secoli, ininterrottamente si venivano compenetrando e aiutando a vicenda. Di conseguenza, la Cristianità come famiglia di Stati ufficialmente cattolici aveva e ha da molto tempo cessato di esistere. Del resto nessun altra entità unificante poteva sostituire la Chiesa, dal momento che questa posticcia Comunità Europea politico-economica ha preferito giurare fedeltà ai parametri di Maastricht piuttosto che alle sue radici cristiane.
Ma Plinio Correa parlava anche di un’azione necessaria ed opposta al processo rivoluzionario e chiamava questa azione precisamente “controrivoluzione” e diceva:
“Contro-Rivoluzione è una «re-azione», cioè un’azione diretta contro un’altra azione (…) è uno sforzo che si sviluppa in funzione di una Rivoluzione. Questa si volge continuamente contro tutta un’eredità di istituzioni, di dottrine, di costumi, di modi di vedere e di pensare cristiani, di sentire e di pensare cristiani, che abbiamo ricevuto dai nostri antenati e che non sono ancora totalmente aboliti. La Contro-Rivoluzione difende, dunque, le tradizioni cristiane. E da questo carattere di reazione vengono alla Contro-Rivoluzione la sua nobiltà e la sua importanza. Infatti, se proprio la Rivoluzione ci sta uccidendo, niente è più indispensabile di una reazione che miri a schiacciarla”.
Quando si dice «crisi della cristianità» e «reazione», non può non venire in mente un autorevole antecedente della nostra Rivista, al quale antecedente voglio qui rendere omaggio. Mi riferisco alla Rivista “La Torre” fondata nel 1913 dai due “cattolici belva” Domenico Giuliotti e Federigo Tozzi. Nel primo numero di questa Rivista, che arrivò fino al n. 5, i due direttori dichiaravano:
“Noi ci professiamo, a scandalo degli stolti, reazionari e cattolici. Reazionari, invochiamo e propugniamo a viso aperto, contro i figuri demagogici, la necessità del boia; cattolici, mentre le monarchie vacillano, difendiamo la Chiesa. Perciò la nostra fede non è un inginocchiatoio ma un coltello (…). La Religione, unico cemento che non screpola, collega fra loro tutte le pietre dell’edificio sociale: togliete la religione e procederete ciechi, a quattro zampe, tra le macerie e gli sterpi. La Religione è il Cattolicismo. A tutte le religioni e a tutte le filosofie, prima e dopo Cristo, parzialmente vere, dette di frego il Vangelo”.
Giuliotti e Tozzi, col Giovanni Papini del dopo-conversione, si trovavano in perfetta continuità col più prolifico filone francese della reazione cattolica e integralista che attraversò tutto l’Ottocento: da de Maistre e de Bonald, a Balzac, a Barbey d’Aurevilly, a Hello, a Veuillot, a Bloy.
Non si può parlare della nostra Rivista Controrivoluzione senza rammentare seppur di sfuggita il pensiero di de Maistre (1753-1821) verso il quale – al di là degli inevitabili adattamenti storici – siamo tutti debitori in quando fondatore dell’autentico costituzionalismo autoritario ma lungimirante. Per il giurista savoiardo, solo l’autorità del Papa poteva ragionevolmente porsi al di sopra dell’autorità dello Stato, la sovranità popolare essendo inficiata dal peccato originale. Infatti l’uomo, da solo, non sarebbe mai stato in grado di creare ordinamenti giusti; tuttavia poteva avvicinarvisi, con l’aiuto di Dio. Con l’aiuto di Dio, de Maistre riconosceva che l’uomo poteva molto, moltissimo; più precisamente, con la fiducia in Dio e con la relazione attiva che si realizzava nella preghiera. Egli paragonava l’uomo moderno, che non sa più pregare, a colui che voglia abbattere una quercia con la sola forza del braccio; e sosteneva che tutta la filosofia del secolo dei Lumi altro non era stata che un deliberato, sistematico, radicale sforzo per strappare all’uomo quest’arma potentissima che era da sempre nelle sue mani, la preghiera, per consegnarlo al nulla di un mondo senza Dio, dominato dal caso e da forze cieche e incomprensibili, culminate nell’orgia sanguinosa della Rivoluzione francese.
A causa di tale impostazione, de Maistre si è creato, definitivamente e inappellabilmente, la fama di pensatore reazionario; ma, a parte il fatto che il concetto di “reazionario” dovrebbe essere sottratto al giudizio ideologico di segno negativo proprio della cultura neo-illuminista e, dunque, “progressista” e riportato nell’ambito imparziale della consapevolezza critica, resta il fatto che è un’operazione riduttiva quella di slegare la proposta teocratica di de Maistre dalle sue intime motivazioni politiche: proprio quello di mettere in mano lo Stato ai «migliori» (gli «áristoi» dell’antica Grecia) e sottrarlo ad una “populace” rivoluzionaria che lo avrebbe consegnato a regimi democratici che, come tali, sono soggetti alla “sovranità del numero” e non alla “sovranità delle qualità”.
La proposta di de Maistre potrà anche esser certamente relegata nei ristretti confini della storia, dichiarata inattuabile, illusoria e trattata con pari disprezzo, ma non vi è dubbio che il suo pensiero va oltre ogni contingenza storica ed alimenta le ragioni di chi non crede che il progresso dell’uomo sia identificabile con l’attuale stato delle democrazie occidentali, inaffidabili, parziali, essenzialmente antidemocratiche in quanto anti-minoritarie. Non per nulla si parla oggi di post-democrazie, cioè di democrazie che non possono più reggersi solo sulle mere maggioranze numeriche.
Voglio chiudere lapidariamente con Léon Bloy (1846-1917), il provocatore, il sanguigno, una sorta di Giuliotti transalpino:
“Clericalismo è una parola imprecisa e vigliacca, un putridume di parola che rifiuto con disgusto. Ma se con ciò si vuol intendere il Cattolicismo romano, cioè a dire l’unica forma religiosa, questa è la mia risposta, e ben chiara:
Io sto con la Teocrazia assoluta, quale è affermata nella bolla Unam sanctam di Bonifacio VIII.
Io penso che la Chiesa debba tenere in mano le Due Spade, la Spirituale e la Temporale; che tutto le appartiene, le anime e i corpi e che al di fuori di Lei non c’è salvezza né per gl’individui né per la società.
E credo infine che, per la ragione umana, costituisca un indicibile oltraggio, il solo mettere in dubbio principi elementari come questi”.
Ecco i padri nobili di questa Rivista che mi piace ricordare in un mondo, ad una cultura, che ha dato di frego a tutto questo, come direbbe Giuliotti. Mettendo nell’oblio, volutamente, questi tesori della tradizione, queste inesauribili “sterminate antichità” – secondo la mirabile espressione del filosofo napoletano Giovan Battista Vico che nel secolo XVIII si trovò a fronteggiare, quasi unico in Europa, il pensiero nichilista, distruttore e disperato di Voltaire – in realtà noi deprediamo le future generazioni dei valori sacri, identitari, ideali, culturali, politici e sociali che pure spetteranno a loro di diritto come spetta a noi di trasmetterli.
3 commenti su “Presentazione della Rivista Controrivoluzione – nuova serie – Intervento di Giovanni Tortelli”
Tutto vero e per questo saremo tutti perseguitati sia dal mondo che dalla Chiesa che è scesa a patti con il mondo è presto molto presto sarà purificata dal fuoco quando l’abominio della desolazione sarà posto nel luogo Santo e non si avrà più il sacrificio (grazie anche a bergoglio)
Nell’elenco degli importanti scrittori cattolici citati (non tutti privi di qualche pecca) non dimenticherei Juan Donoso Cortés.
Gentile sig. Piero Nicola, lei fa bene a rammentare anche Donoso Cortés perché è un protagonista indiscusso, ma anche per molti aspetti peculiare, del conservatorismo. Avevo già l’intenzione di farne un breve studio a parte, per questo non l’avevo nemmeno citato. Quanto agli scrittori cattolici rammentati, lo dico con assoluta serenità d’animo, nessuno è senza pecca, le aporie ci sono, del resto è quasi impossibile prendere per intero il pensiero di chicchessia, anche se qui siamo fra i “grandi” che hanno tracciato e segnato una via controcorrente. G.T.