di Lino Di Stefano
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Fra Luigi Pirandello e Rosso di San Secondo intercorse una sincera amicizia considerato, tra l’altro, anche il comune amore per i paesi del Nord dove entrambi, uomini del Sud, vissero attratti dalla dilacerata anima settentrionale della quale il primo apprezzava la cerebralità e la dialetticità mentre il secondo l’allegoria e l’irrequietezza. Al riguardo, i rispettivi cognomi, in lingua tedesca, suonano: Ludwig Feuerangel (Angelo del fuoco) e Rot von Sankt Zweite (Rosso di San Secondo).
Pirandello non ha bisogno, com’è evidente, di nessuna presentazione vista la risonanza mondiale della sua opera mentre per Rosso di San Secondo, ad onta della sua notorietà, occorre qualche precisazione in quanto egli oltre che un abile drammaturgo fu pure un notevole prosatore con un’ampia produzione nelle opere non di teatro.
Non a caso, l’Agrigentino su di lui aveva formulato giudizi positivi uno dei quali così suona: “Rosso è senza dubbio pieno di me perché è cresciuto con me fin da ragazzo; ma ha un temperamento suo proprio e particolare: io sono calmo, egli è esasperato; io sono un cerebrale che smorza e spegne anche col soffio di una commiserativa ironia ogni forma di sentimento; egli è al contrario un passionale impetuoso e sanguigno”.
Altrove, Pirandello catalogherà il Nisseno quale “uomo del Sud che ha in sé tutta la dannazione dei peccati, il male della vita e il sole” e che sa che il suo non può essere che il disperato esperimento di un’illusione”; sempre l’Agrigentino non si periterà di scrivere che “Rosso di San Secondo può andare orgoglioso d’aver dato una pura opera di poesia al teatro italiano”.
E, all’occorrenza, Calogero Rotondo, autore di una recente ed imponente indagine critica – intitolata ‘Pier Maria di San Secondo’ (2016) – afferma, opportunamente, che il Nisseno rimane non solo un “drammaturgo stimolate e intrigante”, ma anche “uno scrittore avvincente per i ‘giuochi allegorici’” presenti nella sua produzione; produzione ampia e impegnativa in quanto, secondo lo studioso Pietro Nicola, “Rosso di San Secondo eccelle nella prosa più di quanto brilli nel teatro, sebbene la notorietà gli derivi maggiormente da quest’ultimo”.
E restando nella sfera dei lavori non teatrali, è necessario aggiungere che l’opera ‘Marionette che passione’ (1918) costituisce, senza dubbio, lo sforzo letterario più riuscito dell’Autore tenuto conto che nello scenario rappresentato dalla Sala del Telegrafo di Milano, agiscono personaggi – già tormentati da inquietudini esistenziali – alle prese con la preparazione di telegrammi che non riescono né a redigere né a spedire.
I nomi degli interpreti di tale vicenda restano indefiniti e il medesimo Pirandello rileva che appunto “i personaggi di questa commedia (…) non senza ragione sono privi d’un nome proprio”, distinguendosi, essi, come poveri cristi e cioè quali misera donna, marito offeso, amante ingannato e amante oltraggiata.
L’articolato giudizio di Pirandello su ‘Marionette’, abbreviato, è il seguente: “Ecco, un tono basso, quasi in sordina, intercalato da lunghe pause, e un color grigio slavato, di cielo piovoso (…), per il primo atto; un tono stridulo, tutto scatti e scivoli (…), e una soffice imbottitura di raso celeste”, per il secondo atto; un tono lento quasi solenne, un po’ declamatorio e una rigidezza di bianco e nero (…), per il terzo atto”.
In un altro luogo, lo scrittore di Agrigento noterà che “dobbiamo noi lettori, fingerci veramente come tante marionette di personaggi di questa commedia” perché qui, egli prosegue, “ogni preparazione logica, ogni sostegno logico sono aboliti; precipitiamo d’un tratto in una piena esasperazione dionisiaca”. Il giudizio di Pirandello nei confronti del suo conterraneo rimarrà sempre positivo catalogandolo, altresì, come un narratore ben conosciuto ed apprezzato fuori dai confini dell’Italia.
Naturalmente, notevole fu la stima di Rosso per Pirandello al cui cospetto si inchinò, il verbo è suo, riconoscendogli quelle immense qualità che fecero di lui il genio universale che tutto il mondo sempre ci invidia; così come grande risultò la sua considerazione per Giovanni Verga di fronte al quale sentiva tremare i polsi, vista la ragguardevole statura di scrittore e di uomo di teatro di quest’ultimo.
Ma se ‘Marionette che passione’ rimane una prova considerevole per l’alta carica umana che vi si respira, non occorre dimenticare che anche altre opere teatrali conservano il loro valore artistico sempre sostenute dalla rilevante valutazione di Pirandello. E’ il caso, ad esempio, dei drammi ‘Monelli’ , ‘L’ospite desiderato’, ‘Il re della zolfara’ e numerosi altri.
Quest’ultimo si svolge in un’osteria della Sicilia con azioni che presentano una cadenza serrata comprese le conversazioni fra gli zolfatari i quali reclamano, legittimamente, maggiori garanzie sul posto di lavoro e più favorevoli condizioni di vita tenuto conto dell’esiguità della retribuzione salariale; diversi lavoratori, infatti, come Carmelo Villa, Lucio Verrina, Michele Rosa ed altri operai attaccano – inneggiando alla sua morte – il cavaliere Sabucia, proprietario della miniera di zolfo.
Quando, poi, il cavaliere giunge nella zolfara ed espone agli interessati le difficoltà economiche in cui si trova, unitamente ai suoi congiunti, i lavoranti capiscono la situazione e restano angosciati nell’apprendere le effettive e complesse circostanze nelle quali versa il loro datore di lavoro.
Michele Rosa, infatti, nell’esprimere, a nome dei compagni, comprensione al titolare della miniera esclama: “Noi dovremmo chiedere ancora mille volte perdono. Una sola scusante abbiamo: non la conoscevamo ancora Eccellenza!”. In questo clima di inquietudine, gli zolfatari riprendono l’attività mentre Michele Rosa rivolto agli amici prorompe: “Sua Eccellenza è un uomo!”.
L’esordio di Rosso come romanziere era avvenuto, comunque, con il volume ‘La fuga’ (1917) la cui figura dominante – oppressa da un’esistenza precaria e fallace – fugge verso il Nord pur essendo conscia che l’evasione è inutile perché solo frutto di strazio e di disperazione, conseguenti al male di vivere. Nel 1936, vale a dire dopo due decenni dalla pubblicazione de la ‘Fuga’, il Nisseno con tali parole omaggiò l’amico Agrigentino.
“Dedico, in occasione della ristampa, a Luigi Pirandello questo mio romanzo che, a distanza di venti anni e dopo tanti avvenimenti, appare come l’insonne tormento d’un’anima in cerca di Dio, come un’istintiva e violenta requisitoria contro la società vuota ed ipocrita d’allora”.
Tornando un istante alle analisi di Calogero Rotondo su Rosso, non è fuori luogo osservare, con quest’ultimo, da una parte, che “nelle opere di Rosso si possono cogliere non solo il sentimento della passione, del dolore e della’pena di vivere’ all’interno di una società piena di contrasti”, e, dall’altra, precisare che il Nisseno ha il pregio di aver oltrepassato le regole del vecchio teatro borghese – mediante un’operazione innovativa – rispetto a quello tradizionale.
I rapporti fra i due grandi siciliani furono, naturalmente, più articolati, laboriosi e serrati; ci siamo solo limitati a puntualizzare i momenti salienti di un’amicizia sincera e sentita che non sempre si verifica fra uomini di lettere e studiosi di alto livello.
1 commento su “Pirandello e Rosso di San Secondo – di Lino Di Stefano”
Un romanzo bellissimo, da ricordare, di Rosso di San Secondo (“Incontri di Uomini e di Angeli”, Gaszanti, 1946) smentisce, con la sua realistica spiritualità, il giudizio dato dal relativista e decadente Pirandello sul suo conterraneo.