Pio XII, un pontificato simbolico e universale

Di Primo Siena

Il 9 ottobre del 1958 moriva Pio XII, al secolo Eugenio Pacelli, principe romano, la cui scomparsa scatenava una vera battaglia frontale a propsito ed a sproposito del ruolo svolto dal grande pontefice durante il suo lungo pontificato iniziato nel marzo del 1939, alla vigilia della deflagrazione della seconda guera mondiale; battaglia condotta dal coacervo laicista con l’apporto ausiliario di certi ambienti sedicenti cattolici.
Con il decesso del Papa, definito il “Pastor Angelicum” secondo la definizione di S. Malachia, si concludeva la serie dei grandi pontefici difensori della Tradizione Cattolica ed iniziava un’epoca in cui la Chiesa cattolica avrebbe vissuto in forte tensione tra tradizione, modernità e postmodernità.
Per ricordare il Papa Eugenio Pacelli, romano di nascita e di tradizione, la rivista Carattere (ottobre-dicembre 1958) pubblicava un saggio eccezionale del Prof. Silvano Panunzio intitolato significativamente Un Pontificato, simbolico e universale, preceduto da un’ampia avvertenza nella quale l’autore scriveva:
<Vi sono due modi d’interpretare i Papi e d’intendere il loro Pontificato: l’uno profano e “politico” che pretende di riportare il tutto al metro di una Storia anonima, senza principi e senza fini; l’altro che s’ispira esclusivamente alla “parentisi del tempo nell’eternità”. Il secondo modo è sacro ed è l’unico assolutamente valido; ad esso – e non viceversa – deve gerarchicamente subordinarsi una qualunque indagine storico-politico-culturale, il cui dominio è legittimo solo a patto che se ne riconosca il relativismo e l’esteriorità>.
Ricordando, quindi, che l’abate benedettino Luigi Tosti a suo tempo aveva avvertito che per il cattolico “due sono i libri: Il Vangelo e la Storia”, sottolineava che uno di essi dà la lettura della lettera mentre l’altro ne dà lo spirito perchè “senza il riferimento costante ad una Rivelazione soprannaturale, la Storia non s’illumina, né vibra d’una vita interiore, la sola che oltrepassi la polvere”.
Con lo stesso criterio va oggi considerata la figura del grande Pontefice ; il quale
seguendo la missione raccolta nel suo stesso patronimico (Pacelli = Pax Coeli; la pace dei Cieli) assunse per insegna l’anelito agostiniano Opus Iustitiae Pax ed ammonì l’Umanità sul senso escatologico e provvidenziale della Pace nella Verità, alla vigilia di un uragano bellico che assunse una dimensione più che mondiale, cosmica.
Oggi, la reazione alla decisione di Papa Benedetto XVI di riaprire il processo di beatificazione di Papa Pacelli, sono insorte nuovamente ingenerose polemiche politiche sull’atteggiamento tenuto da Pio XII, qualificato sfrontatamente come il “Papa di Hitler” da quanti ignorano volutamente che alla cerimonia della solenne incoronazione del marzo 1939, l’unica delegazione europea polemicamente assente era quella del Reich nazista.
Pio XII difese a viso aperto il carattere sacro della cittá di Roma, di cui fin dal 26 febbraio 1936 aveva anticipato la provvodenziale missione sacra, quando all’Istituto di Studi Romani, l’allora cardinale Eugenio Pacelli aveva affermato con esemplare chiaroveggenza : <Roma è una parola di mistero, come mistero è il destino di Roma, città eterna, non tanto per i secoli che vanta del passato, come per quelli che vanta dell’avvenire>.
Nel 1943, dopo lo sbarco degli angloamericani in Sicilia, il Pontefice romano aveva inviato un messaggio al presidente americano Roosevelt, per scongiurarlo d’evitare bombardamenti arei sulla capitale italiana, riconoscendola e rispettandola “come una Citta`, in cui ogni quartiere e in alcuni quartieri ogni via, ha i suoi insostituibili monumenti di fede, di arte e di cristiana cultura” ragione per cui non poteva essere attaccata “senza infliggere una perdita incomparabile al patrimonio della Religione e della Civiltà”.
Con la stessa fermezza dimostrata nella lettera a Roosevelt, il 5 febbraio del 1944, rispondeva all’invito dell’Ambasciatore germanico di rifugiarsi in Germania (invito che mal celeva la volontà nazista di allontanare da Roma il suo suo strenuo difensore) con queste dignitose e nobili parole: <Signor Ambasciatore, vogliate riferire e chi di dovere che il Papa non solo rifiuta di lasciare Roma qualunque cosa avvenga, ma protesta fin d’ora per la violenza inqualificabile progettata, non tanto contro la nostra modesta persona, ma contro il Vicario di Cristo>.
Il 9 febbraio, riferendo ai cardinali presenti in Roma il colloquio con l’Ambasciatore tedesco, ribadiva quel che aveva detta anche in altre occasioni a chi cercava d’intimorirlo: <Siamo disposti a morire in un campo di concentramento>, confermando che mai avrebbe abbandonato la sede apostolica in Roma di sua volontà.
Questo coraggioso atteggiamento del principe romano elevato al supremo soglio di Pietro, lo trasformava da Defensor Civitatis nello strenuo Defensor Civilitatis di cui Roma – la Roma cristiana , il cui spazio di città sul monte, coincideva con lo spazio del mondo – era simbolo e testimonianza universale.
Con il Giubileo del 1950, culminato con la proclamazione del dogma di Maria Assunta in Cielo e – concludendosi, nel 1954, l’Anno Mariano – con la assunzione agli altari del solare e piisimo Pio X (il Pontefice che aveva coraggiosamente bloccato i pericoli teologici insiti nel movimento modernista), Pio XII si confermava Pontefice della Tradizione, successivamente tutelata dalla sua ferma critica a certo archeologismo liturgico che si sarebbe poi purtroppo imposto dopo il Concilio Vaticano II con la pretesa d’aggiornare la Chiesa cattolica regredendo a formule e pratiche liturgiche rettificate o superate dalle disposizioni del Concilio di Trento e del Vaticano I.
Consapevole di vivere in tempi di una modernità posta in crisi da un luciferino orgoglio tecnico-scientifico, non esitò a denunciarne le deviazioni con queste parole: <Il mondo moderno, nello stesso modo che ha tentato di scuotere il soave giogo di Dio, ha insieme rigettat l’ordine da Lui stabilito, e con la medesima superbia dell’angelo ribelle all’inizio della creazione, ha preteso di istituirne un altro a suo arbitrio. Dopo quasi due secoli di tristi esperienze e di travisamenti, quanti hanno ancora mente e cuori retti confessano che simili disposizioni e imposizioni, le quali hanno nome ma non la sostanza di ordine, non han dato i risultati promessi, né rispondono alle naturali aspirazioni dell’uomo>.
Occupandosi del potere e della sua incidenza nell’ordine civile, indirizzando un documento al presidente della quarantunesima Settimana Sociale dei Cattolici di Francia. Pio XII, dopo aver ricordato quanto aveva detto all’inizio del suo Pontificato sulla missione dello Stato (“controllare, aiutare e ordinare le attività private e individuali della vita nazionale, per farle convergere armonicamente al bene comune”), ricordava che “la veras nozione di Stato è quella di un organismo fondato sull’ordine morale del mondo” per ribadire quindi che – come aveva ricordato nel suo ultimo messaggio natalizio – su quell’ordine morale, la persona, lo Stato, l’autorità pubblica, coi loro rispettivi doveri erano indissolubilmente legati, per cui affermava di seguito: <La dignità dell’uomo è la dignità dell’immagine di Dio, la dignità dello Stato è la dignità della persona morale voluta da Dio, la dignità dell’autorità politica è la dignità della sua partecipazione alla autorità di Dio>.
E concludendo la sua lettera alla settimana sociale dei cattolici francesi ammoniva a non dimenticare mai le origini morali di ogni crisi di civismo, avvertendo: <Troppo a lungo il senso giuridico è stato alterato dalla pratica di un utilitarismo di parte al servizio di classi, di gruppi o di movimenti: Bisogna che l’ordine giuridico se senta di nuovo legato all’ordine morale. E piaccia a Dio, che colui che comanda , come colui che ubbidisce, altro non abbiano mai davanti ai loro occhi se non l’obbedienza alle leggi eterne della verità e della giustizia>.
In un’altra occasione aveva osato chiosare uno dei principi fondanti della cultura illuminista, il dogma laico dell’eguaglianza, con queste parole:<In un popolo degno di tal nome, tutte le ineguaglianze, derivanti non dall’arbitrio, ma dalla natura stessa delle cose, ineguaglianza di cultura, di averi, di posizione sociale – senza pregiudizio, ben inteso, della giustizia e della mutua carità – non sono affatto un ostacolo all’esistenza ed al predominio di un autentico spirito di comunità e di fratellanza>.
Nel corso del suo lungo pontificato prolungatosi quasi un ventennio (1939-1958), Pio XII in molteplici occasioni (basterebbe ricordare la sequenza annuale dei suoi radiomessaggi natalizi) fu il Papa della Parola sapiente in cui si riflette il Logos giovanneo che è raggio della Parola di Dio.
Giustamente l’attuale Pontefice, Benedetto XVI che ben conosce e pratica il ricorso al verbum, – parola sacra che è opus d’evangelizzazione per redimere le parole profane alla Parola di Dio – ha riaperto il processo del riconoscimento canonico della santità del Pastor Angelicus (una santità, vissuta con profonda dignità pontificale, ma con altrettanta umiltà personale corroborata dal coraggio della Verità), per cui tutti i cattolici fedeli alla Santa Chiesa ed alla sua tradizione, restano in fervida attesa di poterlo venerare presto sugli altari

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