di Piero Vassallo
Concepito per distrarre il pubblico dalla curiosità sugli orrendi crimini consumati da Stalin e dal buon Kruscev,” la commedia Il Vicario” fu messa in scena dall’abile regista Erwin Piscator “un notorio comunista addestrato a Mosca, il quale … non ebbe alcun scrupolo a usare metodi non solo astorici ma palesemente antistorici e volutamente calunniosi” (Cfr. Pier Luigi Guiducci, “Il Terzo Reich contro Pio XII”, San Paolo Cinisello Balsamo, 2013, pag. 8).
Il rumore delle grancasse al servizio della disinformazione e della censura moscovita mise in dubbio le verità, fino ad allora pacificamente condivise, sul generoso soccorso prestato da Pio XII agli ebrei perseguitati dai nazisti.
L’astuzia e la bravura dei propagandisti sovietici e gli applausi scroscianti nella galleria degli utili idioti persuasero e ipnotizzarono le coscienze degli spettatori intelligenti e convinsero perfino numerosi storici di professione.
Finalmente la fragilità degli argomenti, dimostrata da Guiducci, interrompe il successo della mistificazione anticattolica e ristabilisce la verità storica.
Guiducci dimostra, ad esempio, che in America gli autori dei più forsennati attacchi alla memoria di Pio XII “hanno ammesso [a Guiducci] di non essere capaci di leggere pubblicazioni in lingua tedesca e italiana. Ciò significa che non hanno usato e non potevano usare le fonti che in questo campo sono di un’importanza essenziale e addirittura decisiva”.
Inoltre tali autori “non hanno mai capito ciò che in regimi di totale dittatura era fattibile o non lo era” e con ciò hanno ignorato o addirittura capovolto il fondamentale principio ad impossibilia nemo tenetur.
La diffusione delle calunnie contro Pio XII non fu arrestata neppure dall’intervento di ottocento rabbini statunitensi e canadesi “i quali disapprovarono radicalmente i passi compiuti da ebrei liberali. Al contrario loro, gli ebrei ortodossi erano grati a Pio XII che come essi ben sapevano aveva salvato la vita di numerosissimi di loro“.
La caduta del regime comunista offre la possibilità di consultare gli archivi segreti e le collezioni dei giornali nazisti, documenti sequestrati dai russi alla fine della II guerra mondiale e nascosti con poliziesca cura ai curiosi e ai sospettosi, dunque consente di completare il lavoro degli storici cattolici, da tempo faticosamente impegnati a smentire le leggende nere intorno alla complicità della Santa Sede con la Germania hitleriana.
Risultato di una paziente esplorazione dei documenti secretati dalla burocrazia sovietica, il magnifico saggio Guiducci conclude felicemente il lavoro avviato dagli storici nel 1962, quando sui palcoscenici progressisti era rappresentato “Il Vicario” di Rolf Hochhuth, un dramma che diffamava il pontificato di Pio XII.
Merito di Guiducci è la dimostrazione della consapevolezza di Pio XII sull’incompatibilità di cattolicesimo e nazismo.
Formato intellettualmente dai pregiudizi diffusi dal giornalismo d’indirizzo laicista e/o neopagano, Hitler, infatti, non nascondeva la perfetta (ancorché inconscia) sintonia con le filosofie di Spinoza e di Hegel, affermando che per il popolo tedesco “è decisivo professare la fede cristiano-ebraica con la sua rammollita morale di pietà o professare una fede forte, eroica in un Dio nella natura, un Dio nel proprio popolo, un Dio nel proprio destino, nel proprio sangue. … Non vogliamo gente che volga lo sguardo all’Aldilà. Vogliamo gente libera che sappia e senta di avere Dio in sé”.
Gli intellettuali nazisti professavano una contorta e ipocrita fedeltà nei miti del Cristianesimo positivo, i cui punti chiave erano “l’appartenenza di Gesù alla razza ariana, l’eliminazione dell’Antico Testamento, il rifiuto di atteggiamenti passivi e di debolezza, la formazione di una Chiesa nazionale“. Punti salienti, che costituiscono le ragioni del paradossale incontro dell’avversione nazista all’Antico Testamento con la capovolta teologia degli scolarchi militanti nella sinistra francofortese-sessantottina.
Ora l’ostilità alla teologia ebraica era il paravento dietro cui agiva la mentalità ultramoderna & ultradecadente, che agitava la Germania asiatica, narrata da Henri Massis nei primi anni Trenta. Di qui l’avversione teologica del cardinale Eugenio Pacelli e la sua azione esercitata a difesa dei perseguitati dal nazismo, quando fu eletto Sommo Pontefice. Azione ricostruita fedelmente da Guiducci.
Il panteismo asiatico, che eccitava la fantasia degli intellettuali e dei viaggiatori nazisti, preparava il terreno a un ateismo di stampo nirvanico: “il Fuhrer promosse un orientamento fortemente ateo, nichilista e materialista nella sostanza. La dottrina nazista ambiva a sostituire qualsiasi fede religiosa in quanto intendeva proporsi quale surrogato della religione“.
L’opera di Guiducci, a ben vedere, rivela il successo del decadentismo germanico, in azione dietro le quinte del palcoscenico su cui è rappresentata l’avversione degli ultimi illuminati all’esito antivitale (abortista, eutanasista, pederastico) della loro “filosofia”.