Passeggiate romane & interviste a Repubblica: il coronavirus secondo Bergoglio

Siamo arrivati al terzo mese di epidemia da Covid-19, anzi di pandemia, come ha formalmente dichiarato l’Organizzazione Mondiale della Salute. Forse proprio in virtù di questa dichiarazione negli ultimi giorni il Vescovo di Roma ha dedicato maggiore attenzione a questa emergenza. Nei primi due mesi gli interventi del pontefice sull’argomento erano stati pochissimi: il suo interesse restava focalizzato sui temi canonici dell’accoglienza dei migranti, sulla misericordia, sui mali del populismo.

Tuttavia, ormai è diventato impossibile ignorare l’esistenza del problema, anche a causa delle crescenti restrizioni alle libertà individuali. Ma anche per il fatto che prima le diocesi del Nord avevano deciso di sospendere la celebrazione delle Sante Messe e poi la stessa Conferenza Episcopale Italiana – che peraltro ha con il Vescovo di Roma un legame molto importante, evidentemente – aveva decretato la sospensione di ogni celebrazione liturgica in pubblico.

Così Jorge Mario Bergoglio ha cominciato a dedicare all’epidemia alcuni brevi interventi e negli scorsi giorni si è anche recato in pellegrinaggio presso Santa Maria Maggiore e la chiesa di san Marcello al Corso. Ma l’intervento magisteriale più importante è quello affidato al giornale del cuore, “La Repubblica”. Questa volta l’interlocutore non era il confidente di sempre, Eugenio Scalfari, ma il vaticanista Paolo Rodari.

Le considerazioni del pastore argentino sono estremamente interessanti. Esaminiamole punto per punto. La prima domanda dell’intervistatore verteva sul cosa avesse domandato quando è andato a pregare nelle due chiese romane. “Ho chiesto al Signore di fermare l’epidemia: Signore, fermala con la tua mano. Ho pregato per questo”. Una risposta laconica che esprime il sentimento e la speranza che ogni individuo nutre in questo momento. Nessuna invocazione speciale, nessuna consacrazione, nessun atto di affidamento.

La seconda domanda entrava nel vivo della situazione di incertezza, ansia, paura che milioni di persone stanno vivendo. Il successore di Pietro di fronte a questa tragedia afferma che “dobbiamo ritrovare la concretezza delle piccole cose, delle piccole attenzioni da avere verso chi ci sta vicino…”. Insomma, qualche parola buona, qualche carezza, qualche abbraccio. Cose che forse Sua Santità non sa che sono proibite dalle leggi draconiane in atto.

Il papa continua dicendo che spesso nelle nostre case c’è freddezza, non c’è comunicazione, ognuno si fa i fatti suoi e le persone “sembrano tanti monaci isolati l’uno dall’altro”. Come sempre, quando c’è da esprimere un concetto negativo, Begoglio ricorre alle metafore religiose. Non si capisce proprio perché le persone chine sui propri cellulari dovrebbero richiamare l’immagine di “monaci isolati l’uno dall’altro”. Ma si sa: il monachesimo, l’orazione, il silenzio non sono cose molto amate dalle parti di Santa Marta.

L’intervistatore passa quindi a toccare un argomento assai importante: il problema del lutto di chi ha perso qualcuno dei propri cari, il mistero del dolore, da sempre oggetto dell’attenzione della teologia e della spiritualità cristiana. Bergoglio evita di entrare nel merito e porta il suo discorso sul tema della consolazione. Bene, dice dentro di sé il lettore di buona volontà, finalmente si potrà leggere qualche richiamo a Dio e alla Fede, ma queste parole non compaiono. Bergoglio torna sul tema del comportamento con gli altri e fa esplicitamente riferimento ad un articolo (pubblicato sempre su “Repubblica”, naturalmente) di Fabio Fazio.

Il Bianco Vescovo non si attarda a citare il Vangelo, sant’Agostino o qualche Padre della Chiesa, ma punta tutto sul noto conduttore televisivo. Cosa ha scritto Fazio che tanto ha colpito il Santo Padre? “i nostri comportamenti influiscono sempre sulla vita degli altri”. E bravo Fazio che l’ha brillantemente colto. Ma c’è un ulteriore declinazione che ha molto colpito il papa che lo rilancia alla grande: “è evidente che chi non paga le tasse non commette solo un reato, ma un delitto: se mancano posti letto e respiratori è anche colpa sua”. Una affermazione che Bergoglio sottoscrive in pieno.

A questo punto dell’intervista lo sconforto è al massimo, specialmente se il lettore è un medico. Come sarebbe bello che il papa riuscisse a comprendere che l’evasione fiscale – che per lui è uno dei pochissimi peccati rimasti – non c’entra nulla con la mancanza di respiratori. Come sarebbe bello se riuscisse a capire che questa situazione di emergenza è stata determinata da scelte politiche fatte negli anni scorsi che hanno tagliato miliardi di euro di risorse per la Sanità: posti letto, medici, infermieri. Scelte politiche sciagurate, non l’evasione fiscale di qualche commerciante che non fa lo scontrino.

Sarebbe bello se Bergoglio potesse o volesse capire tutto questo, così come il fatto che il diffondersi dell’epidemia dalla sua amata Cina al resto del mondo è anche conseguenza delle mancanze di controlli verso chi viaggia, in nome della globalizzazione, in nome dell’ideologia dello spostamento illimitato e incontrollato.

Ma ne dubitiamo, anche perché questa intervista si chiude senza alcun giudizio su ciò che sta accadendo, senza nessuna lettura del dolore o della morte in una visione di fede, senza dare alcun significato al male che un piccolissimo microbo ha scatenato, mettendo in crisi il mondo e la sua presunzione ipertecnologica. Sarebbe bastato citare Giobbe. Ha preferito citare Fazio. E l’intervista si chiude con un generico appello all’amore universale. Per tanto, non sarebbe stato necessario intervistare il papa. Sarebbe bastato il Gran Mogol delle Giovani Marmotte.

10 commenti su “Passeggiate romane & interviste a Repubblica: il coronavirus secondo Bergoglio”

    1. Se leggere delle esortazioni a ben comportarci vicendevolmente in casa ci ha fatto fin da ieri cadere le braccia, la citazione di Fazio ci ha sdegnato e innervosito davvero. Ecco, è proprio questo che costui va cercando: provocarci per farci venire il nervoso. Proprio come fa quello che puzza di zolfo.

  1. Neanche davanti ai flagelli pare esserci un minimo cenno di redenzione o umiltà.
    Sono come i profeti di Baal e la cosa grave è che il popolo ancora li segue. Ciechi che guidano altri ciechi. Ma noi abbiamo Nostro Signore Gesù Cristo e nulla da temere.

    1. Umberto Bonvicini

      Purtroppo c’è ancora troppa gente che insiste con “papa”. Mi chiedo cosa dovrebbe fare ancora el Porteño (così chiamate le persone nate a Buenos Aires) per convicere che non è, e nemmeno vuole essere, Papa. Per non parlare delle “vedove di Ratzinger” !!!

  2. Abbiamo per pontefice un servitore della globalizzazione che ci ha portato questo bel regalo. E in mezzo a tanto disastro, invece di pronunciare finalmente parole di affidamento nella trascendenza e di fede in Cristo per ritrovare la strada perduta, non sa che dire banalità e riconfermarsi per quello che è. Non sa né parlare né stare zitto. E dimostra che questa prova non gli sta insegnando nulla.

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