PADOVA, UNIVERSITA’ FONDATA SUI DIRITTI SESSUALI – di Elisabetta Frezza e Patrizia Fermani

di Elisabetta Frezza e Patrizia Fermani

fonte: Corrispondenza Romana

 

 

pgmCaro Direttore,

nell’Aula Magna del glorioso ateneo patavino, il primo marzo scorso, è stato solennemente inaugurato il settecentonovantunesimo anno accademico. Alla relazione del magnifico rettore Giuseppe Zaccaria sono seguite, come previsto, quelle del direttore amministrativo e del rappresentante degli studenti, signorina Chiara de Notaris, che ha fieramente ripreso il tradizionale motto accademico “Universa Universis Patavina Libertas”. Com’è noto, all’ombra di questa bandiera si consumò, l’otto febbraio del 1848, l’eroica resistenza degli studenti soffocata nel sangue dall’oppressore straniero.

Erede di questo spirito indomito, la nostra rappresentante, nonché membro del Senato Accademico, ha formulato forti proposte, di profondo contenuto morale e culturale. Anzitutto ha rivendicato una parità di diritti e di trattamento nei confronti delle donne (che notoriamente, all’interno dell’università di Padova, sia come studentesse sia come dipendenti, soffrono pesanti discriminazioni e gravi soprusi, nell’indifferenza del corpo accademico). Ma ha formulato poi un’istanza ancora più significativa: sull’esempio avanguardista dell’università di Torino, è improrogabile ammettere anche a Padova il rilascio di un doppio libretto universitario per tutti coloro che, in corso di anno accademico, avvertano l’urgenza di passare ad altro sesso (del tipo: mi immatricolo Salvatore, ma devo laurearmi Serenella).

Consapevoli dell’oggettiva rilevanza del problema e della profondità del pensiero su cui si fonda, le autorità e il pubblico presenti hanno calorosamente applaudito; il che fa ben sperare per un pieno e rapido accoglimento della “modesta proposta”. Ora, è chiaro che se questa avesse come obiettivo la soluzione di un problema marginale quale quello dell’adeguamento burocratico a una condizione limite socialmente irrilevante – problema certamente risolubile attraverso un provvedimento rettoriale ad hoc (applicativo della legge che disciplina gli adeguamenti anagrafici in caso di transessualità) – la sua proposizione in un contesto tanto solenne avrebbe esaurito ogni interesse, anche da parte nostra, nella propria evidente e un po’ ridicola sproporzione.

Ma, al contrario, non si può sottovalutare il fatto che le lobbies omosessualiste e i movimenti che promuovono l’indifferentismo sessuale abbiano assunto a proprio cavallo di battaglia quella teoria del “gender” che esprime l’esaltazione dell’arbitrio individuale a dispetto di ogni limite naturale e di ogni ragionevolezza, nella possibilità di modificare ad nutum la propria identità sessuale secondo il contingente sentimento di sé. Attraverso l’apparente irrilevanza della storia del doppio libretto, cioè, è presumibile che passi ben altra realtà, quella della immissione a marce forzate e della imposizione dall’alto di una ideologia destinata a scardinare la società dalle sue basi antropologiche.

Infatti, delle due l’una: o la richiesta si esaurisce nella enfatizzazione po’ ridicola di un falso problema, e allora non se ne capisce nè l’ammissione nè il plauso generalizzato; oppure è già stato fatto proprio dalle stesse autorità accademiche, non immemori dei propri trascorsi giovanili, un ben altro obiettivo, quello dell’imposizione di un nuovo assetto ideologico, perché il male oscuro di un pensiero autodistruttivo è già penetrato in profondità nelle stanze accademiche e dintorni.

Purtroppo questo surreale episodio si inserisce infatti perfettamente nel quadro desolante del progressivo cedimento culturale delle istituzioni di fronte a una inaudita pressione ideologica, che agisce indisturbata su molti fronti, mediaticamente assistita, mirando allo sfiancamento progressivo dei principi fondanti di un’intera società, sostituiti a forza da un’etica contro natura.

Del resto, basti ricordare, tra l’altro, come già all’inizio di questo stesso anno accademico sulla cattedra di diritto costituzionale, in orario curricolare e in assenza del titolare, sia stata chiamata l’allora onorevole Anna Paola Concia a tenere un comizio pre-elettorale sul “diritto alla felicità”, che legittimerebbe dal suo punto di vista il famoso “matrimonio omosessuale” e la conseguente “omogenitorialità”.
E d’altra parte, forse, non è un caso che un recente convegno ospitato nel palazzo del Bo abbia avuto come protagonista Joan Wallach Scott, paladina della teoria del gender, che in quella sede afferma: “si è stabilito che la biologia e la natura non determinano che cosa significhi essere uomo e donna: i loro comportamenti, il loro lavoro e modo di vivere possono cambiare nel tempo” Così, nella connivenza delle autorità accademiche, l’aberrante progetto di sovversione antropologica in atto trova uno straordinario terreno di coltura e usurpa una pericolosissima legittimazione.

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