seconda e ultima parte (per leggere la prima parte, clicca qui)
Obama straniero
… Gli oppositori – ribattezzati dai media birthers, i «nascitisti» – montarono una grande campagna per dimostrare che l’elezione di Obama costituiva una frode, in quanto egli sarebbe nato fuori dagli Stati Uniti. Per alcuni, il luogo di nascita sarebbe il Kenya (come asserito dalla matrigna del padre, Sara Obama, che ha dichiarato di essere stata presente alla nascita), per altri Obama avrebbe avuto la cittadinanza dell’Indonesia, il luogo dove ha trascorso l’infanzia a seguito della strana madre. Per altri ancora sarebbe inglese… L’azione dei birthers spinse nel 2008 la Casa Bianca a mostrare una copia del Dipartimento della Salute delle Hawaii del certificato di nascita di Obama. Ciononostante, un sondaggio del 2010 rilevò che un quarto degli americani riteneva la voce di una non-americanità di Obama come plausibile. I sostenitori di Obama cercarono di convincere il pubblico che questa teoria cospirazionista altro non era che il parto della mente malata di qualche razzista. Nel 2011, venne pubblicato il certificato di nascita hawaiana nelle sua forma estesa. Un sondaggio Gallup rilevò che solo l’11% della popolazione ora credeva ai birthers, anche se quasi un quarto dei Repubblicani era rimasto dell’idea che Obama non fosse nato su suolo statunitense. L’inarrestabile Wayne Madsen sostiene che molte agenzie di intelligence mondiali (viene fatto il nome di Cina, Russia, Gran Bretagna) ritengano il certificato esibito da Obama come «un falso, al livello della Yellow Cake del Niger»[1], ossia di uno dei documenti fatti ad arte usati come giustificazione per attaccare l’Iraq saddamita nel 2003. L’errore sarebbe nella denominazione razziale di papà Obama, definito «african» nel certificato, quando invece nel 1961, cioè prima dell’era del “politicamente corretto”, tutti i paesi anglofoni usavano anche nei documenti il termine «negro» o «black».
Obama spia
Ma non è la presunta omosessualità o la nascita all’estero la notizia più interessante che proviene dal vituperato Wayne Madsen. Quando tutti i giornali hanno messo alla berlina Madsen dopo lo scivolone del Guardian che gli aveva dato retta, tra i canzonamenti delle tante idee strampalate provenienti del personaggio, ne mancava clamorosamente la più importante, oltre che la più documentata e più plausibile: l’affiliazione diretta di Obama, e di tutta la sua famiglia, alla CIA. Madsen, alla questione, dedicò prima un saggio di 30 pagine – ovviamente, molto documentato – poi addirittura un libro che, come possiamo immaginare, è di non facile reperimento.
Partiamo dalla nonna di Obama, quella che viveva con lui alle Hawaii , la bianchissima Madelyn Lee Payne Dunham, che – giuoco del destino – morì due giorni prima della trionfale elezione del nipote nel 2008. Personaggio interessante, la nonnina: con ogni probabilità lavorava per la CIA. Nonna Madelyn fu la prima donna a ricoprire la carica di vice-president alla Bank of Hawaii, che non si occupa di mutui ai surfisti o alle signorine che porgono le corone di fiori ai turisti: la banca, di fatto, agiva da front (cioè, da attività di facciata) per la CIA, riciclando danaro per conto di uno studio legale completamente teleguidato dall’Intelligence. Dalla Bank of Hawaii si bonificavano i pagamenti per il dittatore filippino Marcos, per Suharto in Indonesia, per Nguyen Van Thieu in Vietnam e si provvedeva anche allo spionaggio economico contro il Giappone. Si sospetta che tramite la banca hawaiiana si finanziasse anche Chiang Kai-Shek. Il contenimento della Cina Popolare, per mezzo del Kuomintang, e in generale la totalità del Risiko anticomunista dalla Kamchatka a Jakarta, passava anche attraverso Nonna Obama. In breve, i conti di ogni operazione nel teatro del pacifico finivano sulla scrivania di nonna Obama.
Tale madre, tale figlia. Anche la giovane Ann Dunham, madre di Barack «Barry» Obama, è un personaggio di interesse. La signorina Dunham, probabile figlia di un agente CIA, conobbe l’aitante studente kenyota Barack Obama Senior, padre del presidente, all’università dell’Hawaii, dove l’africano aveva vinto una borsa di studio, divenendo il primo africano ad accedervi – pare proprio che la famiglia Obama vanti molti primati per gli africani in America. I due si incontrano in classe ad un corso di lingua russa. A cosa possa servire studiare il russo ad una persona che vive sotto il sole delle Hawaii – sole, mare, e tanti militari – è difficile da comprendere. E poi, perché mai uno studente africano che ha vinto una borsa di studio ad Honululu deve investire le sue energie per introdursi nella lingua di Dostoevskij? Il motivo è forse il desiderio degli USA di rispondere ad una spregiudicata strategia di influenza che stavano adottando i sovietici: la Rossiskij Universitet Družby Narodov Lumumba, cioè l’Università Lumumba Per l’Amicizia dei Popoli. Uno dei grandi stratagemmi con cui l’Unione Sovietica costruiva la base della sovversione mondiale: una università per stranieri creata nel cuore di Mosca, dove erano invitati a “studiare” tutti i giovani promettenti del terzo mondo che in teoria volavano in URSS per studiare medicina o ingegneria, ma quando volavano a casa invece erano in tutto e per tutto spie, capi rivoluzionari o guerriglieri tout court, pronti a mettere igni ferroque il loro paese per espellerne l’influenza occidentale. Negli stessi anni gli USA risposero con un programma analogo, borse di studio e indottrinamento spionistico militare. È quindi accettabile l’idea che il padre di Obama potrebbe essere tornato in Africa con qualche compito da fare per conto di Langley. Ecco perché conoscere qualche parola di russo potrebbe essergli servito: per intercettare le reti di spie sovietiche, in un periodo in cui in Africa le ambasciate russe avevano più dipendenti che cittadini sovietici ufficialmente residenti nel continente nero.
Mamma Obama invece il russo lo può avere usato per origliare in Indonesia, dove si è recata dopo la nascita del piccolo Barack e dove il futuro presidente è in parte cresciuto, con pure qualche periodo trascorso nell’altrettanto turbolento Pakistan: va ricordato che l’Indonesia dove è cresciuto Barack era un paese in cui imperversava una sanguinaria guerra civile che fece un quarto di milioni di morti – non il luogo più sano dove crescere un bambino. Sposato un uomo legato all’esercito indonesiano da cui ebbe la sorellastra di Obama, Maya Soetoro Ng, ufficialmente Ann Dunham lavorava per vari enti di cooperazione e sviluppo. Sappiamo bene come questo significhi, in molti casi, la classica copertura per lo spionaggio. Non è un caso che Vladimir Putin, che di peli sulla lingua non ne ha e che qualcosa del mondo delle spie ne capisce essendo stato nel KGB, ciclicamente torni a premere per espungere le ONG straniere dal suolo russo.
Più che alle ONG, qui c’è da pensare ad un acronimo simile, OGM. Perché, se buon sangue non mente, Obama pare stato concepito in provetta dalla CIA. Come dice Madsen, «made all in the Company»: tutto fatto in casa dalla Compagnia, il nome con cui gli addetti ai lavori chiamano l’ente di Langley.
Si potrebbe così capire la tanto chiacchierata disistima di Obama per Berlusconi, uomo notoriamente inviso al Dipartimento di Stato USA e alla CIA; Obama in un video visibile anche in rete dimostrava già prima di diventare presidente segni di antipatia per l’ex premier italiano: quando Berlusconi parlò al congresso americano nel 2006 tutti applaudivano festanti tranne il Senatore dell’Illinois Barack Hussein Obama. Se fosse davvero stato concepito ed allevato dalle spie, i rapporti tesissimi tra Washington e Roma – Berlusconi arrivò a denunciare sui giornali un possibile zampino americano nel caso della escort Patrizia D’Addario – diverrebbero spiegabili sotto una nuova lente, così come le numerose peripezie dell’ambasciatore David Thorne, il quale, in barba ai buoni rapporti con il paese che ospita la Santa Sede, pensò bene di invitare personalmente la cantante Lady Gaga durante il gay pride romano.
Pensare a Obama come creatura del laboratorio di Langley avrebbe anche un suo senso grandioso: la CIA, come i grandi ordini cavallereschi di un tempo, avrebbe un pensiero transgenerazionale, pianificherebbe infiltrazioni nel potere della politica-politica con gittate a lungo termine: sarebbe, a suo modo, bellissimo, e sarebbe l’unica che la CIA avrebbe indovinato, dopo aver mostrato le miopie inenarrabili – tipiche dell’universo fluttuante delle democrazie – che hanno caratterizzato la sua storia.
In questa prospettiva il mondo del dopo-guerra fredda mostra come a capo delle due superpotenze atomiche vi siano due spie: Putin viene dal KGB, Obama dalla CIA. Nelle relazioni internazionali di Obama, e i suoi rapporti in particolare con la Russia, si dovrebbe tenere presente questa possibilità: Obama, cresciuto in un mondo di spie, è abituato alle maschere. Non dice quello che pensa, agisce con metodi manipolatori, e non disdegna gli assassinii, come rivela il caso dei droni.
Obama assassino
Nel tardo 2011, il reporter della prestigiosa rivista New Yorker Seymour Hersh raccontò una scena che gli avevano spifferato dal Pentagono: Donald Rumsfeld, ministro della difesa (cioè, un tempo, ministro della guerra, espressione più azzeccata) spaccò un tavolino di vetro e sbatté diverse porte in preda ad un attacco di furia: le forze americane per un momento avevano avuto la possibilità di uccidere il Mullah Omar, il gran capo dei Talebani, ma una legge americana che proibisce di uccidere i leader stranieri frenò l’assassinio, e il Mullah fuggì, scatenando l’ira funesta di Rumsfeld. Ad avere inquadrato il capo talebano fu quello che all’epoca si chiamava UAV, Unmanned Aerial Vehicle, e che ora tutto il mondo chiama comunemente «drone»: un aereo senza pilota, telecomandato da una località remota, spesso un container nello stato del Nevada.
I droni sono oramai un argomento piuttosto scottante, molto dibattuto anche in America: molti temono che questi robot killer volanti possano essere impiegati anche sul suolo patrio; di fatto, i confini con il Messico sono ora pattugliati da droni del Department of Homeland security. Certa America si prepara davvero a vivere un film di fantascienza.
Sa di fantascienza anche il programma segreto istituito da Obama, il Disposition Matrix, cioè «Matrice di Smaltimento»: è la creazione di una policy di target killing, di assassinii mirati di nemici degli USA («terroristi») in tutto il mondo. IlWashington Post, il quotidiano USA che ha parlato per primo della cosa, scrive che «Obama ha istituzionalizzato la segretissima pratica dell’assassinio, trasformando azioni occasionali in una infrastruttura di antiterrorismo capace di sostenere una guerra permanente (…). Tali operazioni si prolungheranno per almeno un altro decennio. Dato il modo in cui Al-Qaeda continua a produrre metastasi, i funzionari dicono che non c’è un chiaro termine in vista (…) è la prima Amministrazione ad adottare l’omicidio mirato su larga scala, ma i suoi funzionari sono fiduciosi di aver escogitato un meccanismo così solido dal punto di vista burocratico, legale e morale, che anche le future Amministrazioni lo manterranno»[2]. Un’inchiesta della rivista americana Rolling Stones ha scoperto come l’assassinio a distanza di un obbiettivo viene definito dai piloti di droni bug splat, «spiaccicare un insetto»[3]: il senso di onnipotenza dato da questi assassini aerei si spinge sino ad una oscena tracotanza; si tratta infatti di una nuova forma di guerra, ancora più disumanizzata, che rende le operazioni militari sempre più simili ad un videogame: il pilota di droni, al sicuro nella sua cabina di pilotaggio dall’altra parte del pianeta decide le stragi di persone su suolo afghano e pakistano.
La quota di morti ammazzati per droni toccherebbe secondo alcuni la quota di 5 mila, un numero che alcuni politici americani hanno perfino rivendicato orgogliosamente. La Reuters analizzò 500 morti tra il 2008 e il 2010 e stabilì che le persone di qualche valore strategico erano solo l’8% del totale.
Uno studio dell’Università di Stanford ha prodotto un sito – livingunderdrone.orgche dichiara che il numero di civili coinvolti negli assassini dronici è molto superiore a quanto lascia trasparire la versione ufficiale venduta ai media statunitensi.
Obama si è sempre difeso dichiarando che quella dei droni è la forma più chirurgica per colpire i terroristi. L’immancabile britannico Guardian la scorsa settimana lo ha clamorosamente smentito, pubblicando uno studio secondo cui «i droni USA uccidono più civili afghani degli aerei con pilota»[4]. Il sitodrones.pitchinteractive.com offre una interessante visualizzazione degli attacchi di droni USA in Pakistan, paese con il quale gli USA non sono nemmeno in conflitto. Il sito rileva 3129 morti per attacco di droni in terra pakistana, dei quali 175 bambini (5,6%). 535 civili (17,1%) 2371 combattenti di basso profilo (75,8%) e infine solo 48 capi di alto profilo (1,5%).
È chiaro che la strategia dei droni, che non mette a repentaglio vite di soldati americani e che quindi elimina la possibilità di contraccolpi sulla opinione pubblica domestica, sta dando segni inquietanti di squilibrio, rivelandosi più intollerabile della guerra convenzionale combattuta con uomini a terra e con aereimanned.
Va ora ricordato come i droni, la cui quantità è cresciuta a dismisura, siano la dotazione che il governo USA ha dato alla CIA, dotandola di fatto di un nuovo braccio armato con il quale commettere assassinii mirati senza passare per l’esercito e le forze speciali. Scrive Sergio Romano in un editoriale in prima pagina sul Corriere: « il presidente trasformò la Cia in un corpo combattente e le affidò un’arma, il drone, che ha un pilota in camice bianco a diecimila miglia dal campo di battaglia e il vizio di distinguere male il nemico dall’amico. Il risultato è un servizio d’intelligence che ha un numero di segreti incomparabilmente superiore»[5].
I droni possono quindi esseri visti un potenziamento bellico dell’Intelligence americana che – stando alla storia sulla famiglia Obama sopradescritta – proverrebbe proprio dalla generosità di una creatura della CIA. La CIA, tramite Obama, diviene più forte: in questa ottica possono essere viste anche evenienze come l’espulsione dell’influenza militare dagli uffici dell’Agenzia – è il caso del generale Petraeus, popolarissimo militare messo al comando della CIA e costretto a dare le dimissioni dopo una non chiara storia di infedeltà coniugale.
Obama ladro di privacy
Il caso Datagate, con la fuga in Russia dell’ex impiegato della NSA Edward Snowden, è ancora in corso, quindi ogni analisi sul caso è al momento prematura. Quello che emerge è che lo spionaggio totale sui cittadini americani e non solo non è un pensiero che infastidisce l’animo supposto liberal di Obama. Egli di fatto lo ha ammesso.
Colpisce certo la piena collaborazione dei colossi informatici Silicon Valley che hanno in mano i nostri dati – cioè google, facebook, etc. – con gli apparati nazionali americani. Ai primordi di internet, negli anni Novanta, ci si ricorda di casi di provider che andavano in galera pur di non dare ai magistrati americani i dati dei loro clienti – la Privacy, nell’era in cui in rete si usavano quasi esclusivamente nickname e l’anonimato regnava sovrano, era uno degli aspetti più sacri di Internet. Con l’11 settembre tutto è cambiato. Il Patriot Act, la legge emanata da Bush sull’onda dell’emozione del dopo-Torri Gemelle.
I colossi di Silicon Valley, e non solo quelli – si pensi al caso con cui è partito tutto, Verizon, fornitore di telecomunicazioni tra i più importanti in America – hanno passato senza protesta alcuna i (nostri) dati personali alle autorità USA , dandoli in pasto ai potenti algoritmi di analisi del Big Data in forza alla NSA. C’è chi ha visto in questo una chiara spiegazione alle origini misteriose di Google o Facebook, che a suo tempo erano startup che ricevettero ingenti danari da fondi di investimento legati alla CIA, come la famosa In-Q-Tel. Insomma, una grande operazione di censimento che la CIA avrebbe lanciato, con smodato successo, sulla popolazione mondiale, ottenendo quanto non avrebbe potuto fare con milioni di uomini: anche in questo ambito, il figlio della CIA Obama, si sente a suo agio.
I recenti sviluppi, con l’allucinante, inedito, gravissimo diniego dello spazio aero europeo al jet del presidente boliviano Evo Morales sospettato di avere a bordo la talpa Snowden, lasciano immaginare che la partita sia appena iniziata, e che vi possa emergere materia così scottante da poter implicare – chissà – unimpeachment. Per un affare di spionaggio di poche persone, il celeberrimo Watergate, Nixon dovette dimettersi. Obama spia il mondo intero, eppure nessuno sta immaginando la possibilità di detronizzarlo dalla Casa Bianca. Il più grande ladrocinio della privacy mai avvenuto a memoria d’uomo, ora smascherato apertamente, è ancora tristemente impunito.
Obama e il demonio
Infine, per quanti apprezzano le storie di diavoli e possessioni, raccontiamo quest’ultimo dettaglio sulla figura del Presidente Americano. L’affiliazione della famiglia del Presidente non passa solo per il piano invisibile, ma umano, della CIA. Secondo alcune voci vi sarebbe la possibilità di un risvolto mostruosamente pagano – sino al sacrificio umano – nella storia degli Obama.
La famiglia paterna di Obama viene da una zona piuttosto turbolenta dell’Africa, il kenya. La decolonizzazione in Kenya ha assunto le tinte foschissime della ribellione dei cosiddetti Mau Mau, un gruppo eversivo che si era prefisso di cacciare gli inglesi non senza terrorizzarli sterminando le loro famiglie: i Mau Mau penetravano nelle fattorie dei bianchi e compivano orrori atroci e gratuiti: mutilavano il padrone di casa, costringendolo magari ad assistere allo stupro di mogli e figli, cui seguiva l’uccisione per squartamento o decapitazione. Quanto stiamo scrivendo rispetto alla insurrezione dei Mau Mau nei dettagli più atroci degli attacchi ai coloni britannici, è puntualmente descritto nel controverso documentario “Africa Addio” di Franco Prosperi e Gualtieri Jacopetti.
I Mau Mau, in genere dipinti dalla vulgata storica come un gruppo politico che si rivoltava giustamente contro l’oppressione dell’uomo bianco, non erano solo un gruppo guerrigliero: erano una setta. Essi erano adoratori di una divinità locale, una sorta di dio della montagna, e avevano una mostruosa liturgia, fatta di orrendi sacrifici umani.
Oliver Lyttleton, il segretario coloniale britannico, usa queste parole per descrivere la cerimonia di giuramento dei Mau Mau: «Il giuramento dei Mau Mau è il più bestiale, sporco e nauseante incantesimo che le menti perverse abbiano mai tramato. Non ho mai sentito le forze del male essere così vicine e così forti come nei Mau Mau. E mentre scrivo questo memoriale, vedo un ombra cadere sulla pagine – l’ombra cornuta del Diavolo stesso». Il Maggiore dell’Esercito di sua Maestà Frank Kitson, che in seguito sarebbe divenuto generale, racconta: «la torma, galvanizzata al pensiero del sangue, sguainava le proprie simi (una spada Kikuyu) e sparava con i fucili. Un vecchio, più lento degli altri, fu preso e gli furono tagliati i legamenti. Il vecchio cadde ai piedi dei propri inseguitori, coprendosi il volto con le mani per proteggersi dalle spade taglienti, ma un topo in tritacarne avrebbe avuto più possibilità di salvarsi. Un terrorista tagliò via un piede, un altro tagliò i testicoli del vecchio, sarebbero stati usati più tardi durante la cerimonia di giuramento. Un terzo gli cavò gli occhi col fil di ferro e se li mise in tasca con lo stesso scopo della cerimonia di poi. Quando ebbero finito, il resto della torma tornò sul cadavere in convulsioni per pugnalarlo ancora. Leccarono il sangue dalle loro simi e poi si dispersero nella notte dando fuoco a quante più capanne possibile»[6].
È stata avanzata l’ipotesi che il nonno di Obama, Hussein Odyongo Obama, fu attivo nel Kikuyu Central Association, l’organizzazione che si trasformò nei Mau Mau. Il secondo nome di Barack, Hussein, è un omaggio a questo personaggio. Secondo alcune fonti, il nonno – che era della tribù dei Luo e lavorava come cuoco per l’esercito di Sua Maestà e parlava un inglese perfetto – prese parte al rito di giuramento dei Mau Mau, pur non essendo lui di etnia Kikuyu, ossia la tribù principale che costituiva i Mau Mau.
Secondo due strambi blogger americani, l’ex pilota dell’aeronautica americana Field McConell e il suo socio economista David Hawkins, questo satanico rito di sangue (che secondo loro, nel caso del nonno di Obama avrebbe implicato il sacrificio di bambini) legherebbe i partecipanti sino alla terza generazione. Cioè, nel caso di Hussein Obama, sino a suo figlio Barack Hussein Obama, il padrone di quello che un tempo si chiamava «mondo libero».
Sono solo storie, si dirà: ma quante persone sensate, magari tornate da un viaggio in certe zone, credono al Vudù? A Cuba si organizzano tour che permettono agli europei di assistere a riti della Santerìa, che della magia africana è la versione caraibica. In Brasile, con il cadomblé, l’umbanda e ogni altra esperienzamacumbera (altre derivazioni che gli schiavi penetrati nel nuovo mondo hanno tratto dall’originale ceppo nero di magia Vudù africana) si mettono in piedi eventi che i turisti più esigenti certo non si fanno mancare. Molti di essi, non tornano solo con delle foto interessanti: vi sono stati molti casi di persone tornate a casa con qualche disturbo, come sa ad esempio chi frequenta taluni ambienti vicini ai Cattolici Carismatici.
Siamo disposti a credere alla magia africana, ma non se riguarda direttamente il Presidente più popolare di tutti i tempi.
Eppure, pensateci: quale strategia migliore per il diavolo, che avere al suo servizio l’uomo più potente del mondo?
(fine)
Questo saggio è stato pubblicato anche su Libertà e Persona
[1] «Word Intel says Obama Birth Certificate a Forgery», rense,com 28 aprile 2011.
[2] «Plan for hunting terrorists signals U.S. intends to keep adding names to kill lists» Washington Post, 24 ottobre 2012.
[3] «The Rise of the Killer Drones: How America Goes to War in Secret», Rolling Stone Magazine 16 aprile 2012.
[4] «US Drones strike more deadly to Afghan Civilians than manned aircraft – adviser», The Guardian, 2 luglio 2013.
[5] «L’ossessione del controllo», Il Corriere della Sera 3 luglio 2013.
[6] Cfr. Frank Kitson, Gangs and Counter-gangs, Barrie and Rockliff, London, 1960.