Nuove pagine di libertà dalla Francia. Una storia dalle radici profonde

Strano paese, la Francia. Ha generato l’Illuminismo, Oscura Grande Madre di tutte le successive malefiche ideologie moderne: il liberalismo, il giacobinismo, l’anticlericalismo, il socialismo, il comunismo, il mondialismo. In Francia si è consumata la Rivoluzione Francese, fonte maledetta di un fiume di sangue. Eppure dalla Francia, sono emerse le figure più significative del pensiero contro-rivoluzionario: Joseph de Maistre (savoiardo, ma di cultura francese), Luis de Bonald, Donoso Cortes.

Qui si è manifestato l’anticlericalismo massonico più violento e l’odio anarco-socialista più antinazionale. Eppure è in questo paese che tra il XIX e il XX secolo ha visto una fioritura di pensatori e letterati cattolici, spesso convertiti, e di nazionalisti antidreyfusardi come Jules Amédée Barbey d’Aurevilly, Joris-Karl Huysmans, Leon Bloy, Charles Péguy, Georges Bernanos, Georges Valois, Édouard Drumont, Maurice Barrès. Poi l’Action française di Charles Maurras e la sua schiera intellettuali come Léon Daudet, Gustave Thibon e Pierre Gaxotte.

La Francia negli Anni ‘30 è stata quella del Fronte Popolare, ma anche di quella stagione letteraria e politica che Paul Sérant definì del Romanticismo Fascista, contro i cui protagonisti, collaboratori del legittimo regime di Vichy e dei tedeschi in funzione antibolscevica, la persecuzione dei vincitori gaullisti-comunisti fu feroce: Robert Brasillach fucilato, Drieu La Rochelle costretto al suicidio, Louis Ferdinand Celine esule e incarcerato, Alphonse de Châteaubriant, condannato a morte e morto esule, Henry de Montherland, Sacha Guitry, Charles Maurras, Lucien Rebatet e molti altri processati e condannati.

Nel cupo dopoguerra, la Destra politica e intellettuale non si arrese, rifiorì con intellettuali come Maurice Bardéche e Henri Massis, sopravvissuti alla persecuzione dei “liberatori”.La guerra di Algeria catalizzò una nuova schiera di intellettuali nazionalisti “militanti”: come Jean Mabire, ufficiale nella guerra d’Algeria, Saint-Loup (nome de plume di Marc Augier), Jean Madiran, nazionalista e cattolico tradizionalista, Dominique Venner, storico e polemista che si fece quasi due anni di galera per aver sostenuto lOAS, l’organizzazione clandestina che si battè per l’Algérie française e contro il suo abbandono voluto da de Gaulle. Dominique Venner, una delle più eminenti figure della Destra intellettuale d’oltralpe per la sua combattività (“il samurai d’Occidente”) e la sua difesa dell’Europa bianca, si suicidò nel 2013 nella cattedrale di Notre Dame per protesta contro il la colpevole decadenza della patria europea.

In Francia è nata, negli Anni ’70, la Nouvelle Droite di Alain de Benoist, tutt’ora viva e vegeta, con il suo think tank GRECE (Groupement de recherche et d’études pour la civilisation européenne) che ha annoverato intellettuali come Pierre Vial, Jean-Claude Valla, Giorgio Locchi.

Oggi, la cultura “non conforme” (il termine “cultura di destra” va talvolta un po’ stretto per un fenomeno intellettuale più complesso) è in Francia assai viva e combattiva. Il mondialismo, la distruzione delle sovranità, l’immigrazione, la “Grande Sostituzione dei popoli” innegabilmente in corso, la dittatura della grande finanza sono stati gli elementi che hanno fatto emergere nuove sensibilità intellettuali, talvolta in autori provenienti dalla sinistra.

Certo, questi autori non hanno vita facile. Come in Italia, anche in Francia il mondo liberal e di sinistra ha attuato una sistematica, feroce occupazione delle agenzie culturali: scuole, università, media, case editrici e così via. Un’attivissima conventio ad excludendum viene applicata contro chi non aderisce ai dogmi liberal. Leggi “antirazziste” analoghe alle nostre liberticide leggi Scelba-Mancino sono usate come una clava contro ogni opinione anticonformista o revisionista. Direttori di riviste come Rivarol e persino della moderatissima Valeurs actuelles, scrittori come Éric Zemmour e Michel Houellebecq (tra l’altro quest’ultimo lontanissimo dal mondo della Destra) sono stati trascinati in tribunale con le solite accuse di razzismo e “incitamento all’odio”, con l’inevitabile strascico di boicottaggio di editori e media.

Nonostante questa repressione culturale, e non solo, il fronte identitario, sovranista e anti-immigrazionista è affollato di nomi di intellettuali, spesso assai diversi tra loro, che non hanno rinunciato alla battaglia culturale in difesa della civiltà bianca ed europea contro l’invasione, la cancel culture, la dissoluzione dei valori di diritto naturale e della famiglia, la dittatura del relativismo. Qualche nome: il già citato Éric Zemmour, Michel Onfray, Robert Ménard, Richard Millet, il disegnatore umoristico Marsault.

L’editore Passaggio al Bosco ha recentemente pubblicato due autori riconducibili a questa “resistenza culturale” francese. Eccoli: Julien Langella, Cattolici e identitari – Da La Manif pour tous alla riconquista, prefazione di Don Curzio Nitoglia; François Bousquet, Coraggio! Manuale di guerriglia culturale con prefazione di Roberto Pecchioli.

Julien Langella è un intellettuale “militante”: nato nel 1987, è uno dei cofondatori di Génération identitaire, una combattiva associazione autrice di numerose manifestazioni e azioni dirette contro l’immigrazione clandestina e per la difesa dell’identità francese e europea. Dopo numerose persecuzioni giudiziarie, il regime immigrazionista di Macron ha deciso lo scioglimento dell’organizzazione per i soliti “reati” di razzismo. Langella continua la sua battaglia con articoli su diverse riviste e siti e collaborando a Academia Christiana, un’associazione cattolica tradizionalista per la formazione dei giovani e “per la difesa del Vero, del Bello e del Bene”.

Il libro è una vera, piacevolissima sorpresa: in tempi di dittatura mondialista e antirazzista, è un’appassionata e coraggiosa rivendicazione del diritto e del dovere di difendere la nostra identità religiosa, culturale, storica e anche etnico-razziale: in questo Langella è assai efficace nel ricorrere a insegnamenti e a testi cattolici: la spesso mal citata enciclica di Pio XI Mit brennender Sorge, il beato Charles de Foucaud, Georges Bernanos. E cita anche una sorprendente frase del generale de Gaulle (di cui peraltro l’Autore condanna “l’infame tradimento” nei confronti dei francesi d’Algeria): “Siamo comunque innanzitutto un popolo europeo di razza bianca, di cultura greca e latina e di religione cristiana.”

Potremmo tranquillamente definire questo libro un “manuale per la militanza”, una miniera di argomenti, di dati, di testi per la difesa delle nostre radici, per essere efficaci nelle nostre polemiche contro i sostenitori del caos, del disordine morale e del meticciato; al contempo, è un libro assai preciso nell’identificazione dei “nemici principali” che ci vogliono condurre all’omologazione e allo sradicamento: “La società dei consumi contro la fede e la famiglia”; “L’immigrazione di massa è il frutto di un ménage a tre: l’ideologia mondialista conseguenza dell’illuminismo e del giacobinismo, il bisogno di una manodopera servile incoraggiata dal desiderio liberale di abolire le frontiere e l’assistenzialismo promosso dallo Stato sociale”. Langella cita anche monsignor Schneider, vescovo ben noto negli ambienti tradizionalisti: “L’attuale afflusso di non europei” corrisponde a un “progetto ideologico volto a far scomparire, col tempo, i cristiani dall’Europa.”

Le parole di Langella sull’immigrazione sono di una chiarezza e di una radicalità che ci confortano sul fatto che ancora sussistono resistenti alla “Grande Sostituzione dei popoli” e alla distruzione della nostra civiltà: “L’immigrazione di massa è un cancro. E’ una profonda ingiustizia: il volto del nostro paese è mutilato e il nostro popolo disprezzato. L’immigrazione come la conosciamo equivale a rinchiudere un uomo in una stanza buia con un branco di lupi affamati. E’ un omicidio. Ci stanno uccidendo.”

Con immaginabile scandalo dei benpensanti e anche a costo dell’inattualità e di apparire visionario, Langella difende la passata colonizzazione europea: “L’Europa deve ritrovare il suo spirito conquistatore e civilizzatore […] non può sfuggire al suo ruolo di educatrice. […] La decolonizzazione è stata un processo di de-civilizzazione”.

Le pagine di questo libro esprimono un patriottismo sincero, autentico, non retorico. Un patriottismo che ci riconduce all’ordine naturale voluto da Dio, al Creato: “La patria è il nostro ecosistema. La patria è un ponte tra Dio e gli uomini, un ponte tra il Cielo e la terra.”

Così come troviamo il senso di una vera “ecologia integrale” cattolica, non quella proclamata negli sciagurati documenti “amazzonici” vaticani che rappresentano un’apologia del tribalismo, dell’idolatria di divinità stregoniche come Pachamama, dell’inciviltà e della barbarie. L’ecologia di Langella, cattolico e identitario, è quella ariosa e luminosa della Genesi, dove Dio affida all’uomo il Creato per “coltivare e custodire”. Ecologia integrale significa anche capire che l’inquinamento non è solo quello denunciato dagli ecologisti: “bisogna prendere in considerazione tutti gli inquinamenti, i McDonald, i reality show e le ondate di immigrati inassimilabili non sono forse inquinamenti culturali e mentali?”

Il libro è un coraggioso, nel linguaggio e nel contenuto, invito a tutti noi a lottare, a non arrendersi, ognuno secondo le proprie possibilità e nel proprio ambito: “Ovunque ci siano spazi da occupare, anche una minima possibilità di vincere e un minimo margine di manovra, dobbiamo essere lì.”

Un libro sorprendente per la sua franchezza, e freschezza, di linguaggio e di idee, un piacere per la lettura per la sua radicale capacità di liberarci di ambiguità, timori, tiepidezze (“perché sei tiepido io ti vomiterò dalla mia bocca” dice l’Apocalisse), moderatismi, desiderio di compiacere i benpensanti che allignano in parte della Destra, cattolica e no.

Se parliamo di cultura militante cosa c’è di più militante, per un intellettuale di Destra, che non aprire una libreria? È quello che ha fatto François Bousquet, giornalista (Éléments, Le Figaro Magazine, Valeurs Actuelles e altre riviste) saggista, editore, che nel 2018 ha inaugurato La Nouvelle Librairie, a Parigi, nel cuore del Quartiere Latino, diventata punto di riferimento per la cultura non conforme francese. Bousquet è l’autore di questo bel libro: Coraggio! dove il sottotitolo, Manuale di guerriglia culturale, è forse persino più importante del titolo. Lo chiarisce bene Roberto Pecchioli nella sua prefazione: questo libro è un’arma da impugnare nella battaglia civile, è un libro “da combattimento”. Scrive Pecchioli: “C’è bisogno di esempi, di modelli, di eroi”. Bousquet ce ne propone due: Aleksandr Solženicyn e Dominique Venner, di cui abbiamo già parlato.

L’analisi dell’Autore dello stato della cultura identitaria, di Destra, in Francia come in Europa, è realistica, spietata: “noi siamo ideologicamente dominati, noi siamo culturalmente “subalterni”. […] Alla luce del trattamento mediatico che ci è riservato, noi siamo, noi identitari, noi francesi, noi Europei, un gruppo sociale di rango inferiore.” E chiarisce: “I quattro mezzi ai quali il Sistema ricorre per squalificarci sono: 1) l’invisibilizzazione, … 2) l’inferiorizzazione, … 3) la demonizzazione, … 4) la patologicizzazione”.

È vero, c’è un tiranno (possiamo dire: anche in Italia) che incombe: “Questo tiranno per noi è il sinistrismo culturale, i liberal-libertari, il pensiero unico. Ha i suoi informatori e i suoi inquisitori: rettori delle Università, i direttori dei teatri, i giornalisti, i magistrati, i professori, i direttori delle risorse umane, i baroni, i vescovi”. Tuttavia, non c’è vittimismo nell’analisi di Bousquet, non c’è alcun compiacimento piagnucoloso nell’autocommiserazione. Non c’è scoramento, non c’è rassegnazione.

Tutto il libro è un deciso, urlato appello alla reazione, alla riscossa, alla riconquista. Non è il lamento di pii conservatori, di moderati collitorti. Non aspettiamoci una sorridente e compiaciuta moderazione, nel libro di Bousquet e nepppure in quello di Langella. Le loro parole sono estreme, radicali nella loro chiarezza. Le loro idee pure, non contaminate, senza compromessi. Più che un titolo, quello del libro di Bousquet è un invito perentorio: Coraggio! C’è un richiamo alla lezione di Solženicyn: non vivere nella menzogna, l’appello forte a essere una minoranza intransigente. “Noi militanti, noi soldati politici, noi intellettuali organici, dobbiamo essere l’avanguardia intelligente della maggioranza silenziosa, derubata del proprio voto, alienata, […] prigioniera di una falsa coscienza che le fa balbettare parole che non sono le sue”.

E il terreno della battaglia è la cultura, l’informazione. Dobbiamo occupare tutti gli interstizi che il regime ci lascia, conquistare gli scafali delle librerie. “Noi dobbiamo essere dei guerriglieri intellettuali, dei “partigiani intellettuali”, per riprendere una formula di Carl Schimitt.” Cita l’America di Trump, che ha vinto grazie a migliaia di “troll di Trump” su internet, nonostante la totale e falsificante ostilità di tutti i grandi media. “Non odiare i media, diventa i media”.

Cita la sua esperienza di “guerriglia culturale”: aprire una libreria: “Parigi non è stata fatta in un giorno. Non la riprenderemo in un giorno, ma bisognava pur cominciare da un monumento in pericolo: la libreria.” Il suo invito è quello di occupare lo spazio pubblico, anche con gesti semplici, piccoli “come aprire ostentatamente il proprio giornale preferito sulla terrazza di un caffe o spingere la porta di una libreria dissidente”. Bousquet ci ricorda la lezione di Venner: “e tu, cosa sei capace di sacrificare? Sei capace di sacrificare, non la tua vita, ma una briciola d’essa, un mese, un anno della tua vita? Ecco la sfida che ci lancia.”

C’è un richiamo profondo, nel libro di Bousquet, così come in quello di Langella, che va molto al di là della polemica politica e all’attualità. È un richiamo metapolitico alla Civiltà, alla Bellezza: “la vera guerra non è la lotta di classe, bensì quella millenaria della poesia e della cavalleria contro la classe predominante della volgarità e della rozzezza, la lotta dei cavalieri, degli eroi e dei santi, che Leon Bloy chiamava i Domatori di bestie feroci, contro i guardiani dei porci, fra chi regge le colonne del tempio e chi le profana e le distrugge.”

Ci sono libri che non sono solo “istruttivi” e interessanti, ma che ci guidano nel buio dell’ora presente come lumi sul sentiero. Ci allargano l’anima. Comprarli, leggerli, pubblicizzarli, diffonderli, regalarli, sono gesti semplici, piccoli, di “guerriglia culturale”, di occupazione, o di liberazione, dello spazio pubblico. Quelli di Langella e di Bousquet sono tra questi libri.

7 commenti su “Nuove pagine di libertà dalla Francia. Una storia dalle radici profonde”

  1. Articolo illuminante… per il mio legame con la cultura francese, specie quella sviluppatasi nelle colonie del Maghreb, confermo che malgrado l’impronta indelebile di quella tragedia che é stata la rivoluzione francese e poi il positivismo, in Francia alberga, profonda, un’impronta tradizionalista che non cessa di riemergere. Concordo che sarebbe bene riscoprire il valore della spinta colonizzatrice tuttavia ritengo che tale spinta debba essere mondata dello spirito positivista che ha reso insopportabile l’atteggiamento di molti coloni (atteggiamento definito “muflé” dallo stesso Maresciallo Liautey, il Residente Francese in Marocco) che tanti malintesi ha suscitato tra coloni ed indigeni. Forse il modello italico potrebbe essere un’ottima soluzione.

  2. GRAZIANO LUCHETTI

    Bravi! Dovete continuare così. C’è bisogno di anticonformismo, di argine al pensiero unico che tutto appiattisce negando i valori di sempre. Valori che disturbano i disegni di chi ci vuole omologati: tutti sinistrorsi, benpensanti (del loro pensiero), rassegnati e annichiliti.
    Per fortuna o educazione non sono mai stato di sx. Sempre cristiano e anche affezionato a questa bistrattata Italia; bistrattata da chi dovrebbe difenderla: le istituzioni.
    Con profonda gratitudine, Graziano

  3. Soltanto per charire, Donoso Cortés era spagnolo.
    Consceva la cultura francese e quelle di altri paesi europei, ma è stato spagnolo tutta la sua vita, mai francese.

  4. Un detaglio: don Juan Lucas Donoso Cortés, marqués de Valdegamas, fu spagnolo. Intelletuale, politico, senatore del Regno e ambasciatore a Parigi, dove scrisse la sua celleberrima Carta al cardenal Fornari e anche la sua corrispondenza col conte Raczinsky.

    1. Antonio de Felip

      Avete perfettamente ragione. Abituato a citare meccanicamente la “triade” de Maistre, de Bonald, Donoso, mi sono accorto dell’errore solo quando ho visto il testo pubblicato. Capita sempre così. Grazie ad entrambi per la segnalazione.
      Antonio de Felip

  5. Questo articolo di Antonio de Felip è – come del resto tutti gli altri da lui scritti – una boccata di ossigeno. La Francia è davvero una nazione dove si manifestano in maniera molto forte le più evidenti contraddizioni, una terra dove c’è gran fermento carico di speranza per ogni autentico militante contro-sovversivo.

  6. Raccolgo il consiglio di de Felip e, con riferimento al pensiero cattolico e controrivoluzionario francese dell’ottocento, suggerirei la lettura di due testi, editi dallo storico editore Carabba di Lanciano, disponibili in copia anastatica dell’originale. Il primo è ” L’uomo” di Ernest Hello. Il secondo è ” Antologia di cattolici francesi del secolo xix” con testi dello stesso Hello, De Maistre, Bonald, Balzac, D’Aurevilly e altri. Non meno interessanti, fosse solo per motivi storico letterari, le presentazioni a ciascun testo dovute alla scintillante penna di Domenico Giuliotti

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