Andare a sentire dalla viva voce dei protagonisti – anzi, delle protagoniste (è interessante notare come l’ambiente si caratterizzi per una totale omogeneità “di genere”) – cosa può essere detto a un “incontro di restituzione” di un progetto scolastico su identità, differenze, stereotipi, emozioni, affettività, eccetera eccetera realizzato per le scuole dell’infanzia (parliamo cioè di bambini di quattro/cinque anni) è un’esperienza che richiede una buona dose di abnegazione, ma che talvolta bisogna autoinfliggersi per vedere in faccia il mostro con cui abbiamo a che fare.  Eccoci dunque all’incontro conclusivo del progetto Principi e Principesse, Re e Regine. Padova, maggio 2019.

Tutte schierate, per l’occasione, le compagne della Commissione Pari Opportunità del Comune più equosolidale e cosmopolita d’Italia, votato all’ecologia del pianeta-terra così come del pianeta-bambino (c’è un macrocosmo e c’è un microcosmo, e bisogna appropriarsi di entrambi): l’obiettivo municipale è ambizioso e tale da richiedere un’opera capillare di rieducazione della cittadinanza attraverso interventi sempre più precoci.

Al fianco delle compagne della Politica si sono esibite le compagne dell’Accademia, impegnate, dall’alto della propria auctoritas socio-psico-pedagogica, a elaborare i programmi e i materiali utili per instillare nei piccoli il “semino” (sic!) di un nuovo modo di concepire la realtà, funzionale a “contrastare la violenza tra persone e tra generi” (e si sa che, per lorsignore, il modo per prevenire la violenza non è altro che cancellare la differenza tra i sessi per confezionare lo schiavo perfetto, omologato e pacificato).

Duplice veste istituzionale, dunque, per accreditare l’operazione di indottrinamento collettivo e renderla inattaccabile agli occhi dell’amministrato modello, evoluto e obbediente: da un lato l’Università, dove si produce la “scienza”, dall’altro l’Amministrazione, dove risiede la legalità. Nella tenaglia viene acchiappata la scuola, vivaio della “generazione alfa”, che abbiamo appreso essere quella oggetto (o meglio, vittima) dell’ultimo ciclo di sperimentazioni.

“I primi anni di vita sono fondamentali”, esordiscono di concerto le compagne&compagne, confortate in ciò “dalle neuroscienze”, che non c’era bisogno di scomodare per una simile ovvietà, ma che fanno sempre la loro matta figura. “La letteratura ci dice che è possibile intervenire molto presto” e ora, finalmente, “la ‘buona scuola’ lo consente espressamente”, ci informa la “dottoressa” in socio-pedagogia applicata. Ed è il momento giusto per farlo, continua la signora, perché “abbiamo superato quel momento storico particolare in cui parlare di genere era pericoloso”.

Eh già, questo lo sappiamo; e sappiamo pure che un grande merito nell’importante superamento va riconosciuto alle parrocchie, alle diocesi, all’episcopato e alla neochiesa tutta, che tanto si sono prodigati a sdoganare religiosamente il concetto di “genere”, esortando anche i genitori più riottosi a sottomettersi con fiducia alla legge dello Stato, a prescindere. Chierici e prelati assortiti si sono dimostrati tutti ligi al giuramento di fedeltà al Potere costituito – su modello del clero costituzionale al tempo della Rivoluzione – così da dare un contributo decisivo all’ammaestramento delle masse già opportunamente stordite dalla propaganda di regime.

In ogni caso, l’esperienza “dimostra come un Comune possa fare cose meravigliose” – si autoincensano le operatrici ecologiche comunali e accademiche – fiere, manco a dirlo, di essersi “messe in gioco” con tutto l’entusiasmo necessario. Tanto in gioco si sono messe, e con tale entusiasmo, da lasciarsi forse un po’ prendere la mano: come l’esperta che “non pensavo che i bambini avessero così grande sensibilità e capacità di affetto e fossero capaci di simile contatto anche fisico”. O come la sua collega che “i bambini hanno dimostrato una flessibilità straordinaria e hanno raccontato tantissimo di se stessi e delle loro famiglie”. Dove trapela il micidiale potere di penetrazione che queste figure estranee ed occhiute esercitano sulla sfera più intima di piccoli totalmente esposti e indifesi. Le maestre intanto, percependosi subordinate in grado, pendono dalle labbra delle “esperte” e si prestano a fare da tramite per carpire, a beneficio di terzi, la confidenza degli scolari. L’obiettivo è disinibirli, abbattere la soglia del loro naturale pudore.

Il suddetto “percorso ludico-formativo”– ci spiegano – è articolato in una serie di laboratori imperniati su attività di lettura, gioco e disegno e affronta una serie di tematiche, tra cui “Mi vedo così”, “Siamo uguali e diversi perché”, “Mi prendo cura di te”, “Oggi come mi sento”, “Raccontiamoci una storia”. Titoli carini, in apparenza innocui, in realtà palese strumento di interferenza subdola e strisciante nel processo di costruzione della personalità individuale, sol che si gratti appena appena la crosta. Giusto per non scordarcene, ribadiamo che si tratta di soggetti di quattro e cinque anni. Ed ecco a cosa sono stati sottoposti, secondo quanto “restituito” all’incontro finale.

Per esempio, attraverso Il grande libro dei mestieri i bambini hanno capito che tutti i mestieri possono essere praticati sia dai maschi sia dalle femmine, superando le categorizzazioni che possano ancora derivare dai modelli radicati nelle famiglie di origine.

Attraverso la protagonista della fiaba A me piace Spiderman sono venuti a contatto con il fenomeno del bullismo di cui può essere vittima una bambina che ama i supereroi; ma che, grazie ai social sui quali ottiene il consenso degli adulti amici della mamma, è in grado di superare il proprio disagio.

Poi c’è la fiaba di Ettore, l’uomo straordinariamente forte, che racconta di un signore nerboruto che lavora in un circo, ma che nel tempo libero fa la maglia e per questo suo hobby viene preso in giro fino a quando, distrutto il circo da un fortunale, può insegnare a tutti il lavoro a maglia per ricostruire un futuro sulle macerie.

Con il gioco Il mondo e la monda i bambinihanno potuto sperimentare una visione alternativa della realtà e imparare la mediazione esercitandosi a sistemare le cose di qua o di là, a seconda che siano tipicamente maschili o femminili: ma – sorpresa! – la maggior parte di esse alla fine viene sistemata al centro, quindi è considerata unisex.

O nel gioco Mi prendo cura è stato loro proposto di identificarsi in due cagnolini «non connotabili rispetto al genere», a significare che chiunque può prendersi cura del proprio simile.

E ancora con La scatola dei sentimenti sono stati chiamati a superare le difficoltà di espressione dei propri sentimenti. Amore e non-amore (che identifica il suo contrario, per non invocare l’odio), come si manifestano e cosa significano: per esempio il signor orizzontale e la signora verticale, che sono molto diversi, si piacciono e fanno famiglia e dalla loro unione nasce un bambino a quadretti; o per esempio Ernesto, che tratta sempre male Salomé, si comporta così perché è innamorato di lei.

Un altro sentimento fondamentale è la vergogna. I bambini – ci dicono le esperte dei cervelli altrui – provano questo sentimento (in effetti ci volevano le esperte per apprenderlo), che riguarda la sfera della accettazione sociale. L’importante – sempre secondo le esperte – è che essi ne colgano l’elemento relazionale e raccontino la loro vergogna a qualcuno, tipo (uno a caso) lo psicologo. Perché altrimenti in agguato c’è ancora il bullismo che, se non arginato, si converte in violenza. È infatti uno psicologo che in Cosa ti succede Bea? risolve il problema di una bambina a cui piace tanto ballare, ma che balla sempre da sola chiusa in camera sua: lo psicologo (un vero genio) la aiuta a scoprire che la danza è la sua passione, che ci è portata e che può praticarla con altri. E la aiuta a uscire dal suo guscio.

Insomma, ognuno deve capire che è diverso e speciale, come ci insegna l’imperdibile storia de I cinque malfatti, tutti riusciti con qualche eclatante difetto ma che, venendo a contatto con il perfetto, si accorgono di riuscire a fare cose che il perfetto non riesce a fare.

L’incontro di restituzione si è concluso fra gli applausi sperticati e le manifestazioni di giubilo di esperte, maestre e genitrici, in estatica condivisione del succo del progetto, come riassunto dalle promotrici. In conclusione – ci comunicano – la “generazione alfa” appare più evoluta della “generazione zeta” che l’ha preceduta, perché si è rivelata abbastanza flessibile riguardo alla parità e all’uguaglianza di genere. Il che significa che le famiglie sono mediamente piuttosto mature. L’auspicio di tutte le presenti è quello di evolvere ulteriormente nella direzione segnata, estendendo iniziative analoghe ai diversi ordini e gradi di scuola e inserendo questi temi nella didattica trasversale con relativo potenziamento delle competenze delle maestre.

In base ai riscontri forniti dai bambini – i quali, appunto, “hanno raccontato tantissimo di sé e delle loro famiglie” – le residue incrostazioni stereotipanti discendono da null’altro che dalla particolare situazione della famiglia di origine, la quale resta comunque il riferimento principale… purtroppo, pensano le esperte; purtroppo, confermano le maestrine al traino delle esperte; purtroppo, si convincono le genitrici al traino delle maestrine al traino delle esperte.

E così l’allegra cordata blinda a tenuta stagna, e consacra dall’alto e dal basso, i campi di rieducazione mascherati dall’insegna ingannevole della “buona scuola”. Ma fornisce anche un servizio ulteriore: identifica e stana i dissidenti.

Nel tripudio starnazzante della sala monogenere, le sostenitrici della manipolazione seriale dei bambini propri o altrui, trascinate dall‘entusiasmo democratico, sottolineano a più riprese come intorno al progetto si sia coagulato un consenso praticamente unanime. Infatti – ripetono in sequenza esperte, maestrine, genitrici – in due annualità di carriera del progetto, una sola famiglia si è dichiarata davvero contraria. Il Comune ha generosamente offerto tutto il supporto professionale possibile per cercare di superare le difficoltà di comprensione manifestate da questi strani genitori (evidentemente anelastici e sclerotizzati su modelli comportamentali obsoleti), ma non c’è stato niente da fare. Insomma, un caso disperato.

Per noi invece la speranza riparte proprio da questi ignoti irriducibili, eroi inconsapevoli nella devastazione generalizzata del mondo degli uguali coatti, seguaci del monopensiero. Non vi conosciamo, cari genitori antagonisti, ma vorremmo farvi sapere che avete la nostra ammirazione e, soprattutto, che non siete soli.   

4 commenti su “Non lasciamo che i bambini vadano a loro”

  1. No, non esagera per partito preso la dott.ssa Frezza, come qualche storcinaso potrebbe obiettare.Tutto verissimo purtroppo, e soprattutto non confinato in quel di Padova, ché le grinfie del male hanno potere di allungarsi fino ai confini dell’inferno, là dove con giubilo verranno accolte schiere di boccaloni non pensanti, ma felicemente omologati, vedi mai che si potesse giudicarli quanto meno non al passo coi tempi; tempi i cui segni la neochiesa invita sempre più a tenere in considerazione onde adeguarvisi misericordiosamente e teneramente. Grazie a Dio ancora esiste qualche minima sacca di resistenza, minima come quella famiglia così rigida e riottosa, dura a piegarsi, un resto piccolissimo, ma pure un seme. Che Dio li conservi così e che i muri del loro recinto siano sempre più alti affinché il male non vi penetri, ma al momento opportuno ne possa uscire il bene e spandersi. Finirà infine il mondo capovolto, se fosse anche per una sola Ave Maria che alla Madre di Dio basta per elargire tutte le grazie di cui Ella è dispensatrice. E chissà che Ella apprezzi l’ “ipocrita”affidamento della Patria al Suo Cuore Immacolato fatto da un sovranista feticista qualsiasi, ridicolo baciatore di crocifissi e spregevole peccatore, comtrariamente ai candidi illuminati protettori degli infanti innocenti, pontificanti in ogni dove.
    Le vie del Signore sono infinite, infatti.

  2. L’educazione è stata ridotta a tecnocrazia. Ecco i risultati. Vivamente grazie a Riscossa Cristiana / Ricognizioni e all’autrice dell’articolo.

  3. Nell’istituto comprensivo dove ha i figli un’amica, dalla quarta elementare in poi, insegnano educazione sessuale, parlano di omosessualità, contraccezione etc. La mia amica è stata costretta a tenere a casa tutto l’anno i figli un giorno alla settimana con una scusa, perché se sanno che è dissidente finisce nei guai!

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