Il valore, il dolore, la pace, la solidarietà
di Giovanni Lugaresi
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Ogni anno, la rievocazione-commemorazione della battaglia di Nikolajewka (26 gennaio 1943, 74 anni fa) pone degli interrogativi e della considerazioni. Perché questo incontro… ripetitivo? E poi, a che pro?
La risposta è scontata, anche se bisognosa, poi, di qualche… aggiunta, appunto. Si tratta di non dimenticare la causa e l’effetto. La causa: la sconsiderata, sciagurata (come già la definimmo in altro momento), decisione di un dittatore di mandare allo sbaraglio centinaia di migliaia di uomini male armati, male equipaggiati, nella speranza di una brevissima vittoriosa guerra con conseguenti suddivisioni di bottino.
L’effetto: la distruzione (morti, feriti, congelati) di uomini, in primis gli Alpini, e senza negare meriti di altri soldati che compirono il loro dovere sino alla fine. I nomi li sappiamo, ma è bene (ecco l’opportunità di queste rievocazioni-commemorazioni) ripeterli, ogni anno, riscriverli nelle menti e nei cuori degli italiani, perché non se ne perda il ricordo, all’insegna, appunto, di una memoria storica che le Penne Nere coltivano, per così dire, tramandano, e non da oggi.
Ci sono rapporti, studi, ricerche, libri che narrano l’epopea degli Alpini in terra di Russia, e l’evento di Nikolajewka le completa e le riassume all’insegna di valori che si chiamano dovere, sacrificio, abnegazione, capacità di sofferenza, dolore, valore. Nomi, luoghi, azioni, testimonianze che troviamo soprattutto in un libro dall’emblematico titolo: “Nikolajewka: c’ero anch’io”, a cura di Giulio Bedeschi per l’editore Mursia.
Lì ci sono i protagonisti, maggior e minori, per così dire: dal mitico generale Reverberi, quello del “Tridentina, avanti! Tridentina, avanti!”, allo sventurato colonnello Signorini, morto per infarto poco dopo l’uscita dalla sacca, avendo al capezzale don Carlo Gnocchi, sacerdote esemplare, eroico cappellano della Tridentina, eroico apostolo dei mutilatini e degli orfani nel dopoguerra.
Ci sono nomi e cognomi che di quell’evento furono protagonisti: nei battaglioni Edolo, Tirano, Val Chiese, Vestone, e via elencando, e nomi e cognomi di chi, pur non essendo a Nikolajewka perché catturato dai sovietici in precedenza, incontrò e curò nei gulag altri commilitoni. Il riferimento è all’ufficiale medico Enrico Reginato, medaglia d’oro al valor militare (dodici anni di prigionia in Russia), consapevole della sua missione di soccorrere, curare, se possibile guarire: un medico che anche nel dopoguerra non avrebbe mai tradito il giuramento d’Ippocrate, così come non aveva tradito gli ideali di alpino vestendo l’uniforme.
Ma sappiamo anche che la memoria, il ricordo di quelli che non tornarono portò, nel 1993, 50. anniversario di quella battaglia, alla costruzione dell’Asilo Sorriso, donato alla popolazione di Rossosch, città nella quale, allora, aveva sede il comando del Corpo d’Armata Alpino.
E adesso è a buon punto un’altra iniziativa di pace, sempre nel ricordo di quei Caduti: la costruzione di un nuovo ponte sul Livenka nella vecchia Nikolajewka. In tempi brevi l’Associazione nazionale Alpini procederà alla redazione del progetto esecutivo dell’opera richiesta dall’amministrazione di quel comune. L’obiettivo è di eseguire i lavori nella prossima estate, con inaugurazione per il 75esimo anniversario della battaglia nel 2018, e fra i protagonisti di questa nuova operazione di pace – giusto notarlo, ancorché per inciso – ce ne saranno tre già impegnati nella progettazione e costruzione dell’asilo: Sebastiano Favero di Possagno, attuale presidente nazionale dell’Ana, Lino Chies di Conegliano, Cesare Poncato di Ponte nelle Alpi.
E’ anche per e con opere come questa (il “Ponte dell’amicizia degli Alpini”, appunto), di solidarietà autentica, nei confronti di una nazione un tempo nemica, che la memoria di Nikolajewka e la memoria delle Penne Nere non si perderanno, anzi, si tramanderanno di generazione in generazione, a onore dell’Italia e della nostra Storia.
10 commenti su “Nikolajewka 1943 – 2017 – di Giovanni Lugaresi”
Grazie per l’articolo! Onore alle penne nere!
Signore, che hai lasciato l’impronta sulla Sindone, fa entrare in Casa Tua tutti i valorosi caduti in Russia!
Emblematica questa Italia, oggi quasi irriconoscibile, eppure ancor viva nella memoria generosa degli alpini e della popolazione russa, che ne sperimenta,a distanza di ormai tre quarti secolo, l’intatto senso dell’onore e della fraternità cristiana.
L’italiana Campagna di Russia cominciò nel luglio 1941 e restò vittoriosa sulla linea del Don sino alla ritirata del dicembre 1942 e gennaio 1943 (Corpo degli Alpini). Per oltre un anno e mezzo il CSIR e poi l’ARMIR condussero validamente e assai autonomamente il sostegno all’ala sinistra dello schieramento germanico e l’avanzata fino al Don. Il cedimento del dic.’42 avvenne in concomitanza con l’accerchiamento dell’Armata tedesca da parte dei russi. Per cui venne meno la difesa sulla nostra ala destra. La ritirata del regio esercito si volse onorevolmente e i reparti del regime si fecero onore. – Questi i fatti. Perciò sarebbe ora di lasciar perdere con l’impreparazione e l’incoscienza del dittatore. Se i tedeschi non riuscirono a spuntarla, se Napoleone non la spuntò, avremmo dovuto spuntarla noi? Infine l’appoggio dato alla Germania nella sua offensiva fu debito sia nella generale conduzione della guerra, sia moralmente per ripagare l’aiuto ricevuto dal Regno d’Italia nei Balcani e in Libia.
“Perciò sarebbe ora di lasciar perdere con l’impreparazione e l’incoscienza del dittatore.”
L’articolo non parla di incoscienza e impreparazione in senso assoluto, ma relativamente all’inadeguato equipaggiamento dell’ARMIR e alle speranze infondate di una rapida risoluzione del conflitto. Questi sono fatti.
Mio padre era presente e spesso ricordava e raccontava commosso. Era nel battaglione Tirano
rispetto e onore per i caduti, tutti i caduti. Ma non dimentichiamo – se no i morti saranno veramente morti invano – che se i russi sono paranoici in merito ai loro confini, hanno delle ottime ragioni.
Grazie per averci rinfrescato la memoria di una tragedia trasformata in atto eroico che dimostra – se fosse ancora necessario – di che tempra fossero i nostri uomini – compresi i veri preti – e quanto potrebbero essere da esempio per i nostri giovani. Oggi ne basterebbe un manipolo in ambito civico e religioso per ridarci fiducia che con l’aiuto di Dio potremmo “muovere le montagne” della apostasia dilagante. Sia lodato Gesù Cristo!
se lo spirito alpino governasse,almeno una briciola, questa “povera” nostra Nazione…..!
Ricordiamo anche e soprattutto i nostri prigionieri dimenticati lasciati nei gulag e liberati dopo anni dalla fine della guerra.
Silver