Di Alberto Rosselli
NIETZSCHE A GENOVA
Tra l’Ottocento e il Novecento, Genova e la Liguria sono state visitate ed hanno ispirato un gran numero di poeti e narratori stranieri tra cui Heinrich Heine, Anton Cechov, Hermann Hesse, Franz Werfel, un certo numero di pittori, ma un solo grande filosofo, Friédrich Nietzsche, che nel Levante e nella stesso capoluogo – già a quel tempo nobilmente decaduto – soggiornò a lungo e a più riprese, intessendo con il suo ambiente e la sua particolare e, per certi versi, spregiudicata architettura (“Mi piace Genova perché è la città meno romantica d’Europa”) un rapporto a tal punto osmotico ed armonioso da trarne un assoluto giovamento, sia sotto il profilo fisico che morale e creativo. Non a caso, questo autentico habitué di Genova e dintorni seppe trarre da questa città – capace di racchiudere e suscitare, grazie alle sue armonie e disarmonie strutturali, sentimenti ed impressioni decisamente complessi, contraddittori e comunque intensi – lo spunto per abbozzare alcune delle sue principali opere. Cosa assai rara, anche perché il filosofo tedesco non era certo tipo da ricorrere alla semplice suggestione per mettere nero su bianco le sue geniali intuizioni. Dopo Torino – “la più amata delle città italiane”, luogo ove però, il 3 gennaio 1889, lo coglierà la follia – Nietzsche lasciò della Riviera e di Genova pagine acute, prive di piaggeria, ma intrise di ammirazione ed autentica riconoscenza, arrivando, nell’aprile del 1888, in una lettera indirizzata all’amico Peter Gast, a definire la regione “una porzione di Sud che ha perso i suoi colori”. E, riferendosi al fatto di essere giunto per caso sotto la Lanterna, complice un errore di coincidenze ferroviarie, il filosofo confessava di avere reso grazie alla sorte “che mi ha fatto capitare in quella dura, austera città durante gli anni della décadence”. Terra dunque nobile e coraggiosa la Liguria. “Quando uno va a Genova – annotò a questo proposito il filosofo – è come se si fosse riusciti ad evadere da sé stessi: la volontà si dilata, non si ha più coraggio di essere vili. Mai ho sentito l’animo traboccante di gratitudine, come durante questo mio pellegrinaggio attraverso Genova”. Ma per Nietzsche quella del 1888 non fu certo la prima esperienza, il primo impatto emotivo, la prima sensazione. A Genova egli c’era stato già stato, verso la fine del 1880, durante la sua prima calata in Italia (“terra di luce”), allorquando toccò anche Riva del Garda, Stresa e Venezia. In una lettera del novembre dello stesso anno, il filosofo, reduce da malesseri fisici (soffriva, probabilmente a causa della lue, di violenti e persistenti emicranie) e psicologici (la depressione lo tormentò per tutta l’esistenza) rendeva già grazie ai benefici, quasi miracolosi effetti terapeutici della Liguria: ambiente naturale apparentemente angusto, ristretto, quasi schiacciato tra mari e monti, ma nel contempo aperto e luminoso. “Spesso mi reco sulle scogliere, mi sdraio sotto un ombrellone, immobile come una lucertola; e da ciò la mia testa trae più volte profondo giovamento. Qui sono superbo e felice”. A Genova, Nietzsche affittò un piccolo appartamento all’ultimo piano di uno stabile di Salita delle Battistine, a pochi passi da Villetta Di Negro: tana nella quale spesso si rifugiava per desinare (si cucinava spaghetti al pomodoro e basilico), per cercare di dormire e per lavorare, sempre perseguitato da un atroce e persistente “dolore alla testa che mi tormenta e mi costringe al buio”, un buio illuminato dalle candele a lui offerte da una caritatevole vicina che intravede in quel baffuto e solitario studioso tedesco, povero al punto da risparmiare sulla luce, aggirandosi a tentoni nel suo appartamento. Ma, come si è detto, nelle sue missive e nei suoi appunti, il filosofo ricordò sempre d’aver tratto da Genova e dalla Riviera un grande giovamento ai suoi mali sia organici che mentali e di avere tratto dalla Liguria illuminanti ispirazioni. Nel febbraio 1883, durante un suo soggiorno a Rapallo, arriva infatti a concepire, complice un ambiente naturale ed umano “straordinariamente confacente”, Così parlò Zarathustra. Non solo. Taluni biografi hanno intravisto nel senso di eternità e di molteplicità che emana la struttura urbanistica e architettonica genovese e nell’indole bizzarra, scorbutica e talvolta antipatica della sua gente – “così simile al suo dionisiaco Zarathustra” – lo spunto principe di tale capolavoro del pensiero scientifico contemporaneo. Come d’altra parte sostiene il filosofo Giacomo Marramao. “Il passaggio di Nietzsche in Liguria, a cavallo tra il 1882 il 1883, coincide con un momento topico della sua riflessione; coincide cioè con quella che viene chiamata la ‘terza fase’ del suo pensiero: la transizione dalla critica della metafisica, della morale, della storia ad una visione della realtà non più soltanto negativa”. A partire dal 1882, Nietzsche cessa dunque di essere un ‘pensatore distruttivo’ e riacquista, seppur temporaneamente il sorriso e nuove forze, grazie “agli influssi benefici e tiepidi dell’Italia e della Liguria”. Non a caso, egli ha voluto abbandonare la sua brumosa e fredda Germania per scendere verso il sud, verso il sole, per liberarsi di fardelli e personaggi ingombranti e dolorosi. E’ la Riviera Ligure a fargli dimenticare le sue dimissioni da professore presso l’Università di Basilea (maggio 1879) e la famiglia Wagner (Richard ch’egli aveva considerato alla stregua di una sostitutiva figura paterna e la moglie, Cosima, di cui fu silente e disperato innamorato). Sono Genova e il suo mare a lenire le sue ansie e io suoi dubbi e, forse, a farlo maturare filosoficamente e umanamente. “L’unica cosa certa – scrisse il 13 ottobre 1883 alla sorella Elisabeth – è che devo vivere in riva al mare. Quanto lo trovo benefico per il cervello e per gli occhi. Il nord e tutto quanto è nordico mi ha terribilmente provato”.
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