Parte seconda: le fiabe regionali del Piemonte
Fino ad ora, nei miei cappelli introduttivi, mi sono sempre rivolta ai bambini. Ma questa volta, la domanda la porgo a qualcun altro.
Care mamme, lasciare i propri piccoli da soli, senza protezione materna, venendo meno ai propri doveri e alle proprie responsabilità è salutare per loro? La risposta è assolutamente no! Non si può mai sapere, su queste piccole e innocenti creature, quali forze malvagie possano abbattersi. Possono arrivare dal nulla, come se fossero streghe… Un bambino ha sempre, sempre bisogno della sua mamma. E, se la mamma è davvero cristiana, allora proteggere il proprio figlio dalle insidie del mondo, quindi del male, è un principio basilare, di cui deve rispondere a Nostro Signore in prima persona.
Quella sera aveva fatto tardi, Sandro della Val Varaita, e ritornava dalla montagna verso casa che la notte era alta.
A un tratto, mentre svoltava l’angolo della strada, sopra un piano circondato da grossi macigni vide un gran fuoco acceso, le cui fiamme luminose lingueggiavano nell’aria alte come abeti.
Intorno a quel fuoco numerose ombre si muovevano correndo qua e là e lanciando dei gridi lugubri e ritmici, come quelli dei contadini quando giocano a palla.
Spaventato, ma un po’ anche incuriosito, il vecchio Sandro, strisciando dietro i macigni, si accostò a quel fuoco e vide una cosa orribile.
Le ombre che saltavano e gridavano intorno al fuoco erano donne, ma che donne, santo cielo! Brutte, scheletriche, con delle mani adunche da arpie, e con lunghe barbe al mento, così sudicie che era un vero orrore a vederle.
Ma ciò che era ancora più orribile era questo: che quelle donne, che poi erano streghe, si lanciavano l’una all’altra, attraverso il fuoco, un bambino vivo, il quale ad ogni balzo mandava alti strilli di spavento da spaccare il cuore in due.
«Misericordia!» disse tra sé Sandro «È mio dovere cristiano salvare quel bambino, se posso, altrimenti quelle maledette, dopo aver finito il giuoco diabolico, lo scannano e ne bevono il sangue.»
Si avvolse stretto nel suo mantello e, sgusciando da dietro il macigno, si imbracò in mezzo alle streghe. Saltando qua e là, anche lui prese parte del gioco.
«Ah! Oplà!…»
Le streghe si lanciavano e rilanciavano il piccino da una parte all’altra e ridevano di un riso aspro, aspro e acuto, acuto, da far venire la pelle d’oca.
Sandro aspettava che gli venisse il destro di afferrare lui il bambino, e dopo un certo tempo vi riuscì. Appena lo ebbe in braccio, fece finta di lanciarlo anche lui attraverso le fiamme, ma invece se lo cacciò sotto il mantello e prese la fuga.
Le streghe, frenetiche e ubriache, continuavano a danzare intorno al fuoco e a gridare, senza accorgersi che il bimbo non c’era più. Ognuna di esse credeva che fosse un’altra a prenderlo e a rilanciarlo e continuarono così il loro gioco a vuoto per un bel pezzo.
Quando se ne accorsero, era già tardi. Sandro era già in vista in paese, e le streghe, che gli si erano alle calcagna, quando videro la croce in cima al campanile, dileguarono abbaiando come cagne.
Giunto a casa più morto che vivo, il contadino trasse fuori da sotto il mantello il piccino e lo esaminò. Cielo benedetto! Quel bimbo era un suo nipotino, un tesoro di appena un anno, che egli amava teneramente.
Immediatamente, ricacciandolo sotto il mantello, si recò da sua cognata, la madre del piccolo, e la trovò nella stalla a fare la calza.
«Ebbene» chiese Sandro alla donna «dove è il tuo figlioletto?»
«È in culla» rispose la cognata «l’ho messo io stessa a dormire verso l’imbrunire e riposa ancora.»
«Brava!» disse Sandro «Eccolo qui il tuo bambino. L’ho portato via alle streghe che se lo rilanciavano come una palla attraverso un mare di fiamme.»
Era vero. La culla infatti era vuota. Ma né la madre né lo zio riuscivano a comprendere come avevano fatto le streghe a penetrare in casa e a rubare il bambino. Oh, le streghe devono avere alti poteri magici e bisogna che le mamme sorveglino attentamente i bambini!