È difficile conoscere le persone e capire quali sono i loro pensieri. Tuttavia lo si può comprendere osservando le parole che dicono e le azioni che fanno.
Cari bambini, secondo voi una persona silenziosa, che si porta un’aura di mistero, è necessariamente pericolosa? Forse sì o forse no. Non sempre possiamo rispondere a questa domanda, ma una cosa è chiara: mai giudicare l’anima di qualcuno, è un compito che spetta solo a Dio Onnipotente.
La scorse per primo un pastore che s’era spinto sulle rive del lago alpino: ella sedeva su di un masso, mestissima in volto, con vesti logore e straniere, nobile di portamento. Nessuno sapeva di dove fosse venuta fin lassù. Non chiedeva nulla a nessuno, neanche da mangiare. Come viveva quella creatura che il dolore aveva segnato così profondamente? La curiosità esasperata della gente si sbizzarriva; poi si prese a mormorare, a sussurrare, pascolando le greggi sui prati, vegliando a notte d’inverno: quella donna doveva essere una strega maligna, di quelle che traviano i cristiani, che mangiano i bambini… Tutti sfuggivano, ed ella non cercava nessuno.
Un giorno, una povera donna abbandonò in preda al dolore furente la sua misera capanna, dove moriva un suo bambino d’un male sconosciuto, senza rimedio; andò per i monti, singhiozzando, disperata, fuori di sé. Ad un tratto, sulle rive del lago, s’imbatté nella creatura misteriosa: aveva un nimbo di capelli bianchi intorno al capo, come una santa, e il sole l’irraggiava tutta. La povera madre le si prostrò ai piedi pregando: «Fa’ tu il miracolo che gli uomini non sono capaci di fare! Salva mio figlio.»
E la sconosciuta seguì la donna, entrò con lei nella misera capanna, s’assise al capezzale del morente, gli accarezzò i morbidi capelli; poi, come destandosi da un sogno, chiese alcune cose, bende, acqua, erbe…
Dopo qualche ora, il giovanotto aveva riaperto gli occhi, era salvo.
«Che cosa posso io darti?», chiese piangendo la madre. «Che cosa? Tu hai diritto a tutto ciò che è mio.»
«Non ho bisogno di nulla. Soltanto convinciti che io non sono una strega, che io non sono cattiva… Credi questo e fa’ che gli altri lo credano. Non sono che una povera donna sventurata.»
E scomparve.
Quando i montanari appresero questo prodigio, l’odio e la paura che avevano circondato fino allora la donna solitaria si mutarono in amore. La curiosità dei pastori tessé sui pascoli e nelle veglie un’altra leggenda più buona, seppur tormentata sempre dal dolore. La misteriosa creatura era regina di una lontana nazione: viveva beata fra le sue genti, con una felice famiglia, quando un’invasione nemica aveva distrutto tutto il suo paese. Ella era fuggita col Re suo sposo e con un figlio; li accompagnava un fido servo che recava un sacco d’oro, avanzo del tesoro reale. Poi il Re era scomparso, difendendo i suoi da una banda di malviventi. Ella aveva imboccato la valle alpina, con la sua creatura, cercando scampo, senza sapere ove fosse. Mentre fuggiva, non s’accorgeva la misera che il suo figlioletto, le moriva sul petto.
Con l’oro superstite, ella aveva fatto fare una bella bara alla sua creatura e l’aveva gettata in quel lago, dove ormai la sua fuga doveva finire, perché non c’era più nulla da salvare: e la bara in fondo alle acque brillava, quando il sole era alto nel cielo. Ella guardava immobile, entro le acque. Così morì un giorno: ed i pastori la seppellirono entro il lago, perché fosse sempre vicina al suo bambino.
1 commento su “Nello scrigno segreto del C’era una volta… – rubrica quindicinale di fiabe, curata e illustrata da Elena Manetti”
Come è bello morire quando si può convintamente tornare accanto alla persona che si è amato,perche l’amore è il paradiso.