… le diagnosi prenatali servono sempre più per selezionare i figli, non per curarli. Viviamo in una società che non sa assumere la disabilità, per cui viene meno ogni forma di pietà verso un essere umano, per giunta inerme. Una sorta di indifferenza pigra si è come instaurata nelle coscienze. Figlia di questa indifferenza è l’ordinaria crudeltà che si consuma su degli innocenti, su cui nessuno verserà lacrime. Essa, a sua volta, ingenera l’assuefazione e l’incapacità a provare stupore di fronte ad un bambino che non avrebbe dovuto sopravvivere e che invece si tiene ostinatamente attaccato alla vita.
di Clemente Sparaco
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Quando nel 1978 fu approvata la legge 194, che disciplina l’interruzione volontaria della gravidanza, la probabilità che un feto nascesse vivo dopo la ventesima settimana di gestazione era considerata scarsa. Si era convinti che un bambino sotto le 25 settimane non avesse possibilità di sopravvivere. Il progresso scientifico e tecnico negli ultimi 30 anni ha radicalmente mutato lo scenario della medicina perinatale e oggi quella possibilità è considerata alta.
Secondo uno studio pubblicato nel British Journal of Obstetrics and Gynaecology, alla ventitreesima settimana di gravidanza la percentuale di bambini sopravvissuti all’aborto è del 10%. Secondo dati, che si incrociano con la testimonianza di ostetriche, in Europa circa cento bambini l’anno nascono a seguito di procedura abortiva dopo la ventesima settimana. Nel Regno Unito sarebbero decine i feti che ogni anno sopravvivono per diversi minuti e, a volte, per diverse ore. Una situazione simile è stata segnalata per la Svezia e la Norvegia.
Che cosa si fa in queste evenienze?
E’ agghiacciante, ma pare che nella maggior parte dei casi questi bambini siano “lasciati morire senza assistenza, faticando a respirare, a volte per diverse ore, o sono uccisi con un’iniezione letale o soffocamento, per poi essere gettati tra i rifiuti organici” (Gregor Puppinck, Aborto tardivo ed infanticidio – Il Consiglio d’Europa se ne lava le mani, Notizie Pro Vita, 28 novembre)
E in Italia?
Anche in Italia si sono verificati casi di sopravvivenza dopo aborto tardivo. Due di essi hanno fatto notizia.
Nel 2007 all’ospedale di Careggi (Firenze) un bimbo è rimasto in vita tre giorni dopo l’interruzione della gravidanza, decisa per sospetta atresia dell’esofago, malformazione diagnosticata in base ad esami ecografici. Ma i rilievi si sono dimostrati sbagliati e il bimbo (di 500 grammi) è nato sano. Ricoverato nella terapia intensiva neonatale del pediatrico Meyer, non ce l’ha fatta per un’emorragia cerebrale intervenuta successivamente.
Un altro caso si è verificato nel 2010, stavolta all’ospedale di Rossano Calabro (Cosenza). Un bambino (di 300 grammi) è stato trovato vivo 20 ore dopo un aborto praticato alla ventiduesima settimana. Deposto in un contenitore su un tavolo e avvolto dentro un lenzuolo, ha continuato a respirare al freddo dell’aria condizionata della sala operatoria, nonostante il cordone ombelicale reciso. Sottoposto a cure, il piccolo è morto il giorno successivo.
Come possano accadere casi simili lo si capisce, se solo si guarda a quella che ormai pare la consolidata prassi per gli aborti che si eseguono in Italia e nel mondo. “In sala operatoria – ebbe a scrivere su Il Giornale del 27 aprile 2010 Melania Rizzoli, medico e allora deputato Pdl – il medico abortista consegna il feto abortito, a cui non viene legato il cordone ombelicale per accelerarne la morte, né viene riservata alcun tipo di assistenza, ad un’infermiera che lo avvolge in un fagotto di garze e lo pone su un tavolino lì vicino; mentre le attenzioni di tutti i presenti si concentrano sulla donna adulta e viva, che ha appena partorito, spesso in anestesia, il feto appena nato viene abbandonato in solitudine al suo destino (…). Nessuno dell’équipe medica e infermieristica operativa in nessun modo ha l’autorizzazione, il compito, e la facoltà di sopprimere il feto nato vivo, né di accelerare la sua fine, per cui si attende, lasciandolo senza assistenza medica né assistenza terapeutica, che la vita, o la morte, faccia il suo naturale decorso”.
Problematiche giuridiche e morali
Quello dei bambini sopravvissuti dopo un aborto tardivo è un tema delicato. Si potrebbe dire “politicamente scorretto”.
Sollevarlo rischia non solo di mettere in discussione le leggi di molti Paesi in materia di aborto tardivo, ma anche di inficiare il principio abortista che la vita inizia solo al momento della nascita. Perché un “feto” sopravvissuto è persona, capace di vita autonoma, depositario di una dignità sua che nessuno ha il diritto di violare.
Le istituzioni europee più volte hanno evitato di pronunciarsi in merito. E’ del 19 novembre la notizia che il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, cui era stata sottoposta una petizione sui diritti dei feti sopravvissuti ad aborto tardivo, ha opposto un rifiuto finanche ad incontrare le ONG interessate, adducendo che la pratica dell’infanticidio non rientrava nelle sue competenze (fonte Zenit.org 25 novembre).
Quanto all’Italia, la Legge 194 consente l’interruzione volontaria di gravidanza dopo 90 giorni solo in caso di grave pericolo per la vita della donna o di accertati processi patologici, “tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”. Ma dice anche che “quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l’interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell’articolo 6 (grave pericolo per la donna) e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto“. Non è necessaria, quindi, la certezza e neppure la probabilità, ma è sufficiente la sola possibilità di vita autonoma del feto (= che il feto nasca vivo), perché l’interruzione di gravidanza sia ristretta al solo caso di grave pericolo per la madre.
Bisogna, inoltre, considerare l’aspetto specifico dell’aborto praticato sui feti malformati.
In relazione a quella possibilità, prevista dalla legge, si sta consolidando una prassi che è, di fatto, eugenetica (cosa che non è consentita dalla Legge 194). Si procede, pertanto, con sempre maggiore sistematicità all’eliminazione dei feti che presentino all’ecografia malformazioni (nel caso di Firenze, un’ atresia dell’esofago rivelatasi infondata, nel caso di Rossano Calabro, labbro leporino e palatoschisi). La pressione sociale sulle donne è grande e le diagnosi prenatali servono sempre più per selezionare i figli, non per curarli.
Viviamo in una società che non sa assumere la disabilità, per cui viene meno ogni forma di pietà verso un essere umano, per giunta, inerme. Una sorta di indifferenza pigra si è come instaurata nelle coscienze. Figlia di questa indifferenza è l’ordinaria crudeltà che si consuma su degli innocenti, su cui nessuno verserà lacrime. Essa, a sua volta, ingenera l’assuefazione e l’incapacità a provare stupore di fronte ad un bambino che non avrebbe dovuto sopravvivere e che invece si tiene ostinatamente attaccato alla vita.
Pur tuttavia, questa ostinazione rischia di smascherare le contraddizioni di un potere che si regge e vive di compromessi, la miseria di una burocrazia irretita nella difesa dei suoi apparati, le false certezze di un’ideologia chiusa nei suoi filosofemi. Un urlo silenzioso si leva dalle sale operatorie dove la medicina si fa complice della morte, invece di difendere la vita. Viene a turbare il nostro acquietamento egoistico, il nostro autocompiacimento ed autoassolvimento, e ci costringe a guardare dentro la miseria della nostra presunta civiltà, che garantisce i forti e i sani, ma non sa preservare i diritti dei più indifesi.
8 commenti su “Natale senza amore. La sorte dei feti sopravvissuti dopo aborto tardivo – di Clemente Sparaco”
nel 1968 fu pubblicato in Italia un libro in cui erano raccolte le dichiarazione dei medici responsabili dei crimini orrendi consumati nei campi di concentramento nazisti – ebbene: l’argomento – principe di quei medici era l’aspetto ripugnante (a loro dire) della vita nascente – quando si parla di aborto si dovrebbero ricordare i concetti “a monte” della medicina concentrazionaria ovvero il disprezzo per la vita in quanto tale – in attesa che la bonino sia eletta presidente della repubblica un pensiero sulle fonti dell’ideologia abortista non sarebbe inutile
Quanti errori, preghiamo dio che tocchi le coscienze a apra i cuori, solo in Italia avremmo un terzo di bambini in più!
Questi abominevoli delitti, che avvengono fra l’indifferenza o l’approvazione della maggior parte delle persone, dovrebbero essere combattuti senza sosta dagli uomini di Chiesa, ma alcuni di essi preferiscono combattere contro chi cerca di sensibilizzare le persone contro tali atrocità: come fa Scola a non vergognarsi? Lui potrebbe interrompere gli ingiusti provvedimenti contro quel professore di religione in qualsiasi momento, ma quando si inizia a rotolare verso il basso…
I vari “don” ciotti, “don” gallo, “don” vitaliano, favorevoli a tutto ciò, restano al loro posto con il permesso delle gerarchie e chi prega fuori dalle cliniche-mattatoi viene deriso da chi dovrebbe appoggiarlo: come si fa a non dire che siamo in una fase di apostasia generalizzata?
Oltre a tutto ciò, moltissimi abortisti sono addirittura animalisti, dimostrando il massimo dell’incoerenza e dell’inconsistenza morale: ci aspetta (giustamente) ben altro rispetto a ciò che è successo a Genova!
rammento a Diego che la triste città di Genova è la capitale mondiale della denatalità e dell’abortismo – 1965: circa 900.000 abitanti 2014: 595.000 abitanti – saldo: -.300.000 – il calo è impressionante perché le statistiche tengono conto dell’immigrazione regolare di sudamericani, rumeni, asiatici e africani – insomma: Genova è una città decadente e morente – grazie pannella, grazie bonino!
La ringrazio per l’informazione: sapevo che Genova era moralmente molto malridotta ma non immaginavo che lo fosse fino a tal punto!
Mi sembra che proprio voi, carissimi di Riscossa Cristiana, abbiate scritto tempo fa che i feti abortiti
in Inghilterra usano bruciarli per il riscaldamento….
E la scelta della “qualità” non vi fa venire in mente l’eugentica hitleriana???
Diego ha ragione,i nostri pastori dovrebbero far sentire la loro voce.
E noi? E’ anche nostro inderogabile compito, nostro preciso dovere di credenti gridare al mondo, pubblicamente, la nostra contrarietà, denunciare questo abominio, questa abiezione … questo scandalo, iniziamo dalle nostre comunità cristiane, teniamo desta l’attenzione, invochiamo l’aiuto di Dio. Anche noi saremo giudicati da Dio per il nostro silenzio, per la nostra tolleranza, per la nostra indifferenza… nella difesa della vita dal primo istante fino alla morte. Se non di concorso esterno, si configura per lo meno il peccato di omissione di soccorso…. verso le creature che Gesù aveva più care: i bambini innocenti, gli indifesi: uno dei peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio! Perdonaci, o Dio misericordioso, perché tentati o posseduti dal demonio, non sappiamo quello che facciamo ..
Tutti questi omicidi, contro esseri indifesi e innocenti (sei milioni dal 1978, anno di introduzione dell’aborto in Italia) gridano vendetta al cospetto di Dio.
Pagheremo caro tutto questo, pagheremo tutto.
Anzi, stiamo già pagando e siamo solo all’inizio…