Il 17 gennaio 1945 il rappresentante diplomatico del Sol Levante presso la Santa Sede, Masahide Kanayama, si vide con il Segretario di Stato vaticano Giovanni Montini, che 18 anni dopo sarebbe divenuto Papa Paolo VI. L’incontro avvenne sotto gli occhi di Pio Rossignani, segretario personale di Pio XII.
Kanayama lavorava sotto l’ambasciatore Ken Harada. Il suo compito, in sostanza, era di fare da canale nascosto per un appello diretto al Papa.
I Giapponesi volevano che il Pontefice fosse il mediatore tra loro e gli Alleati.
«I pacifisti in Giappone hanno grande fede nella Santa Sede. Un tentativo della Santa sede di iniziare la mediazione incoraggerebbe di molto i nostri pacifisti, anche se non vi fossero risultati concreti nell’immediato» disse Kanayama.
Montini rispose: «è a noi chiaro che la distanza tra i punti di vista fra i due belligeranti è troppo ampia per permettere la mediazione Papale»
Montini, cioè, chiuse la porta.
A pochi mesi di distanza, ci furono Hiroshima e Nagasaki. Quest’ultima, lo ricordiamo, era la città pià cattolica del Giappone, quella dove i cattolici erano la maggioranza, l’unica regione in cui la Vera Religione si salvò dalle tremende persecuzioni dello Shogunato nel XVII secolo.
Non è più discutibile il fatto che il Montini fosse un asset (cioè una fonte, un confidente, financo un «agente») dell’OSS, l’organizzazione che poi si trasformò in CIA.
Il futuro Paolo VI parlava direttamente con colui che è considerato «padre» della CIA, William Donovan.
Donavan, peraltro, era cattolico. Nel denso film dedicato all’OSS e alla CIA, The Good Shepherd, la figura di Donavan è interpretata da Robert De Niro, qui anche eccellente regista. Egli si lamenta, in una scena, del fatto di essere l’unico cattolico nell’ente che lui stesso stava creando; tale creazione, che diventerà la Central Intelligence Agency (CIA), reclutava il suo personale dai figli della élite WASP, per lo più affiliati alla lugubre confraternità universitaria Skull and Bones. Donovan era già stato ospite del Vaticano nel 1944 per essere insignito da Pio XII della Gran Croce dell’ordine di San Silvestro.
Montini aveva tuttavia ancora maggiori rapporti con con la «madre» della CIA James Jesus Angleton. Personaggio interessante, l’Angleton crebbe in Italia, dove il padre vendeva macchine da scrivere, e si laureò in poesia: nel dopoguerra corrispondeva con Ezra Pound che egli ammirava enormemente, mentre però lo teneva dietro le sbarre. Ad Angleton viene fatto risalire tanto della storia Repubblicana, al punto che meriterebbe un posto tra i padri fondatori dell’Italia democratica, certamente più di De Gasperi e dei Costituenti: c’è il sospetto che Angleton avesse trattato con Lucky Luciano lo sbarco degli alleati in Sicilia (e quindi il ritorno della mafia), avesse trattato il referendum che seppellì la Monarchia, fosse stato fulcro delle manovre che crearono la DC. Infine, egli impazzì mentre dirigeva per la CIA il controspionaggio antisovietico, inghiottito da quello che egli stesso, memore della sua formazione poetica, chiamava «Il deserto degli specchi».
Ma è del deserto atomico di Hiroshima e Nagasaki che stiamo parlando.
Sembrerebbe proprio che anche in quel colloquio in cui il Giappone gli chiedeva aiuto, Montini facesse il gioco angloamericano.
È difficile non pensare che una risposta differente avrebbe potuto salvare decine di migliaia di esseri umani a Hiroshima e centinaia di migliaia di cattolici a Nagasaki.
La cosa va inquadrata secondo la mentalità del Montini e della Democrazia Cristiana. Democrazia Cristiana che egli benedì, facendola prosperare al punto che, per colpirla, dovettero colpire un amico personale del papa bresciano, Aldo Moro.
Montini, il papa del post-concilio, il papa della messa nuova plasmata dal massone Bugnini, il papa che incoraggiò quella Democrazia Cristiana che ha siglato tutti gli enormi compromessi con la Morte – compromessi che sono costati al Paese circa 53 volte i morti di Hiroshima e Nagasaki – preferì il male minore della continuazione della guerra, vedendone chissà quale vantaggio futuro: forse quello americano, che con la detonazione delle bombe spaventò la Russia impedendole di invadere l’Hokkaido. La Russia aveva dichiarato guerra al Giappone poche settimane prima, e un’invasione sovietica da Nord avrebbe reso il Giappone un Paese diviso dai blocchi come la Germania, o, più tardi, la Corea.
Ecco, insomma, il male minore atomico.
Davanti al diniego di Montini, i Giapponesi in Vaticano non si persero d’animo. Nel febbraio 1945, l’ambasciatore Ken Harada volle vedere l’inviato personale di Roosevelt presso Pio XII Myron Taylor, e gli passò un messaggio chiarissimo: «gli elementi giapponesi che desiderano la pace non sono responsabili della guerra nel pacifico, e potrebbero essere in grado di far sentire la propria volontà se gli angloamericani offrissero termini accettabili».
Il Giappone, in Vaticano, offriva il ramoscello d’olivo.
Taylor promise di passare il messaggio, ma volle ricordare Pearl Harbor: come dire, abbiamo qualche ragione per invadervi.
A leggere la storia dai documenti non pare proprio che il Giappone fosse graniticamente opposto all’idea di un armistizio; il mito dell’ultimo giapponese che continua a combattere nell’isola per anni è probabilmente un’operazione psicologica per giustificare le bombe atomiche.
È eclatante il caso del telegramma al Papa mandato il 6 aprile 1945 dal delegato apostolico a Yokohama Lorenzo Tatewaki Toda: «Il presente è il momento più favorevole per conquistare l’intransigenza dei militaristi estremisti nell’interesse di una pacifica soluzione della guerra» scrisse Toda, il quale era peraltro imparentato nientemeno che con l’imperatore Hirohito. Nel messaggio, si prometteva che al più presto possibile si sarebbero proposte alla Santa Sede alcune condizioni da sottoporre al vaglio degli angloamericani. Gli americani sapevano: il messaggio fu intercettato dall’OSS e girato a Roosevelt l’11 aprile, un giorno dinanzi della sua improvvisa morte.
Il successore, il massone Truman, poche settimane dopo sganciò le bombe.
Si trattò dell’unico utilizzo su esseri umani dell’ordigno a fissione dell’atomo.
Ho pellegrinato per ambo le città martiri dell’atomo americano. Voglio confessare Nagasaki, soprattutto, una delle città che amo di più al mondo.
La storia del bombardamento atomico di Nagasaki è una storia cattolica sin dal suo epicentro: il bombardiere “Bockscar” pilotato dal maggiore Charles Sweeney, all’anagrafe un irish-catholic, prese come bersaglio la cattedrale della Immacolata Concezione, chiamata anche cattedrale di Urakami, il quartiere a Nord della città.
Quando l’atomo colpì, era l’ora delle confessioni. Tanti erano là sotto in fila per liberarsi dei proprio peccati; una di questi era la moglie di un medico cattolico riconosciuto poi eroe internazionale, Paolo Takeshi Nagai.
Nagai studiò la malattia da radiazione da menomato, incapace persino di stare seduto: sdraiato perennemente, tra microscopi e carte, su di uno strato paglia steso sul pavimento.
I fedeli di Urakami quel giorno trovarono d’improvviso una morte mai vista prima. Disintegrati, disciolti, fusi nell’intimo della materia con ciò che era nelle circostanze.
Nel museo a fianco della Cattedrale di Urakami, ho guardato e rimirato per ore un cimelio in particolare. Un rosario «sciolto» dalla bomba.
Vi ho visto questo segno pazzesco, struggente: era la Fede violata nella sua intimità, e al contempo era la Fede che resiste anche alla potenza nucleare.
Quel rosario diceva, soprattutto, che qualcuno era morto stringendolo fra le mani.
Ricordo come accanto a me, davanti al rosario atomico, vi erano dei ragazzi americani venuti, come tanti loro connazionali, a fare quello che il loro governo non riesce a fare da 73 anni: affacciarsi all’orrore e chiedere scusa. La prima a scoppiare a piangere fu la ragazza; il ragazzo seguì. Lacrime americane, lacrime umane.
Avevano compreso ciò che i vertici del loro Paese, e probabilmente anche Montini, non avevano compreso.
Vite sacrificate, a milioni, per il «male minore» di qualche uomo di potere.
Il «male minore» è il Male. E il Male vuole lo sterminio infinito, e lo scioglimento dell’Unica Vera Fede.
11 commenti su “Montini complice di Hiroshima e Nagasaki? – di Roberto Dal Bosco”
Oppenheimer, Einstein, Fermi e sicuramente Montini. L’autore ha superato se stesso. Se potesse fornire anche un po’ di bibliografia…
Che commento triste. L’ennesimo debunker. Pagato o utile…?
Grande e’ la sua anima, Dal Bosco, nonche di tanti di Riscossa C. e collaboratori, raggiungendo i confini del Vero Cattolicesimo. Che l’Immacolata attinga dai vostri preggiati cuori, gemme di Vera fede, per rifare l’Amato e Genuino Cattolicesimo Romano! Grazie, grazie, grazie!
In Cordibus Jesus et Mariae,
don +germoglio dell’Imm.Euc. Cuore di Maria S.ssima Regina
Stando ai diarii di Andreotti, fu lo stesso Paolo VI a consigliare la DC ad approvare la criminale legge sull’aborto allo scopo di evitare una crisi di governo che avrebbe comportato la perdita di palazzo Chigi. Come dire che Roma valeva una strage di Stato di cui noti sono i responsabili.
Anime innocenti sacrificate sull’altare del potere. Praticamente nessuna differenza con i Maya di 1000 anni fa.
Roberto Dal Bosco: “Montini complice di Hiroshina e Nagasaki?”.
Porre il punto interrogativo al nome di ‘Montini’ – alias, papa Paolo VI – a me sembra essere un esercizio un po’ retorico, il nostro personaggio essendo, per sua natura, un genio della contraddizione. Forse sarebbe il caso, piuttosto, di chiamare l’attenzione sul fatto che la genialità in questione fu propria – NON a caso – di tutti i papi conciliari, Roncalli incluso: furono tutti papi fantocci che dovevano – o consapevolmente o per idiozia congenita – rispondere alle stringenti ‘desiderata’ della Sinagoga: essere vicari di satana senza trasmettere il pur minimo sospetto che erano, di fatto, traditori di Cristo.
Doveva essere, infatti, un inganno che dolcemente trasbordasse l’intero Popolo di Dio ad una sola, nuova religione mondiale anticristica, lasciando tutti i trasbordati nella più piena convinzione di essere sempre nella e con la Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana di Cristo.
Successo quasi totale! Sarà supremo quando Montini, Ratzinger e Bergoglio saranno, anch’essi, canonizzati!
papa montini era sostituto e non segretario di stato.quindi poteva solo esprimere le opinioni dei suoi superiori.credo che la confusione in cui vive la chiesa odierna, che ella testimonia con il suo scritto, sia tale da lasciare poche speranze per la sua rinascita.quando parla del male, ella dimentica che gesù cita sempre il maligno e mai il generico male.nel padre nostro egli dice:sed libera nos a malo e non malus.malo significa maligno. ed è il maligno, belzebù o il principe della terra che si è impadronito della chiesa.cordialmente
Questo è quanto scrive don Villa (Chiesa Viva), il quale pubblicò tre libri estremamente critici su Paolo VI e finchè lui visse non si azzardarono a beatificare papa Montini:
“Per tutta la durata della Seconda Guerra mondiale, don Battista Montini, prete-diplomatico di giorno e intrigante di notte, lavorò con i Servizi di intelligence militari dell’Office of Strategic Services, (il precursore della CIA) come pure col personale di Intelligence Britannico e Sovietico. Montini trasmise all’OSS informazioni di intelligence che servirono agli alleati per individuare gli obiettivi strategici da bombardare in Giappone. Montini teneva oscuri rapporti clandestini, di propria iniziativa, con la Russia e altre potenze dell’Est (fu il motivo per cui fu allontanato da Pio XII).
Questo risulta dagli Archivi francesi e dall’Archivio del card. Eugéne Tisserant, contenente lettere di Montini che segnalavano al KGB nomi di sacerdoti, gesuiti e vescovi, inviati da Pio XII, per esercitare clandestinamente il ministero sacerdotale tra le genti oppresse e perseguitate dei paesi comunisti. Questi “documenti segreti” erano fotografati dal gesuita Alighiero Tondi, un agente del KGB e amico di Montini, che li inviava ai suoi superiori a Mosca.
I sacerdoti inviati da Pio XII venivano arrestati, uccisi o fatti morire nei lager sovietici!”
Trovo riscontro in quanto affermato da Dal Bosco sul forte malcontento dei giapponesi circa l’andazzo della guerra. Voglio citare alcune pagine delle memorie di Saburo Sakai asso dell’aeronautica giapponese con 66 vittorie. Divenuto noto in patria ed Intervistato da un giornalista fastidioso, sbottò dicendo che non si potevano affrontare i caccia americani con la manutenzione degli “Zero” ridotta al minimo per le carenze di parti di ricambio. Giornalista ed editore del quotidiano di grande tiratura pubblicarono sfidando la censura. Sakai ebbe parecchi guai disciplinari, ma il pubblico giapponese capiva già da questo e altro la malpartita. Sakai descrive lo sgomento quando durante una breve licenza, raggiungendo casa in treno, vide che tutte le linee ferroviarie erano duramente colpite dai bombardieri USA. Descrive. durante la licenza, anche il suo imbarazzo di fronte ai familiari che lo interrogano ansiosamente sull’andamento della guerra, dovendo nascondere loro le reali dimensioni delle perdite subite e la vergogna a sentire bollettini di guerra fasulli
finalmente una bella lezione di storia, obiettiva e ampiamente documentata. Sappiamo dunque che Montini si chiamava Giovanni (e non Gianbattista), che era segretario di Stato ( e non sostituto segretario di Stato), che ha provocato il bombardamento atomico sul Giappone, e come dice uno dei commentatori teneva oscuri rapporti clandestini con la Russia, ma forse è meglio chiamarla URSS