Memorie di un’epoca – rubrica mensile a cura di Luciano Garibaldi
biografie, eventi, grandi fatti, di quel periodo in cui storia e cronaca si toccano
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29 – sabato 30 luglio 2016
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LA VERA STORIA DI IDA DALSER E DEL FIGLIO SEGRETO DI MUSSOLINI
… anche se è impossibile difendere un uomo che in fatto di donne, famiglie e figli naturali ne combinò più di Carlo in Francia, da qui a farlo passare per una belva umana che volontariamente fa morire in manicomio suo figlio e la madre di quel figlio, be’, ce ne passa.
di Luciano Garibaldi
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Ogni tanto, articoli giornalistici, documentari televisivi, social network rispolverano l’antica storia secondo la quale Benito Mussolini avrebbe fatto morire in manicomio una delle sue amanti, Ida Dalser, e il figlio avuto da lei, che pure aveva riconosciuto, Benito Albino. Non mancano i film, primo tra i quali «Vincere!» del regista Marco Bellocchio, uscito pochi anni fa. Non c’è dubbio che il Duce del fascismo fu un indefesso sciupafemmine: da Angelica Balabanoff a Margherita Sarfatti, entrambe ebree, da Leda Rafanelli a Giulia Carminati, da Angela Curti Cucciati (da cui ebbe una figlia, Elena, vivente) a Bianca Veneziana (da cui ebbe il figlio Glauco), per finire alle due Magda francesi (la Fontanges, giornalista, e la Brard, pianista) e, ovviamente, a Claretta Petacci, che per lui si fece uccidere.
Nessun dubbio che Ida Dalser fu tra il 1913 e il 1915 l’amante (meglio, una delle tante amanti) di Mussolini. Nessun dubbio che ebbe da Mussolini un figlio nato a Milano il 16 novembre 1915, cui fu posto il nome di Benito Albino e che fu da Mussolini riconosciuto come proprio figlio naturale con atto del notaio Buffoli di Monza in data 8 aprile 1916. Nessun dubbio che Mussolini fosse, nel frattempo, già «accasato» con la ragazza del paese, Rachele Guidi, dalla quale, nel 1910, aveva avuto la prima figlia, Edda. E infine, nessun dubbio che, soltanto un mese dopo la nascita del piccolo Benito Albino, Mussolini sposò con rito civile, a Treviglio, Rachele Guidi, che da quel momento si trasferì a vivere con lui e con la piccola Edda a Milano, in via Castelmorrone.
Certamente un pasticcione. Ma non un bigamo, come sostengono molte leggende cui un importante libro di Gustavo Bocchini Padiglione («L’harem del Duce», pubblicato da Mursia alcuni anni fa) pose decisamente fine. Se così fosse stato, se cioè le nozze tra il futuro Duce e la Dalser fossero state effettivamente celebrate in una chiesa di campagna dai cui registri l’annotazione sarebbe stata in seguito strappata, bisognerebbe dedurne che il Papa e la Chiesa intera si resero resi complici di un sacrilegio, poiché non esiste che un prete non informi i superiori di una simile iniziativa.
In realtà, querelato dalla Dalser con richiesta di risarcimento danni in quanto «sedotta e resa madre con promessa di matrimonio non mantenuta», durante il processo Mussolini ammise di avere avuto una relazione con lei, riconobbe di essere il padre del bambino e si offrì di provvedere al suo mantenimento versando alla madre la somma di lire 200 mensili (non poco, per quel tempo). Il Tribunale accolse la proposta.
Ma Ida Dalser voleva Mussolini tutto per sé e non gli perdonò mai di averla ingannata, nascondendole che aveva un’altra donna. Tra i documenti che arricchiscono il libro di Gustavo Bocchini c’è una lettera autografa di Mussolini in data 15 febbraio 1920, che è un’autentica confessione. Vi si legge: «La persona di cui mi parli è una pericolosa, squilibrata e criminale ricattatrice e falsaria. Ho avuto una relazione con lei, ho riconosciuto il figlio, ma non è mai stata, e non è e non diventerà mai mia moglie. Durante la guerra fu internata e vessò tutte le autorità». Ed era stata internata non certo per compiacere Mussolini, che allora non era nessuno.
È vero che sia Ida Dalser sia il figlio finiranno in manicomio e vi moriranno (la madre nel 1937, il figlio nel 1942). Ma è accettabile che tutte le decine di medici e psichiatri che vennero a contatto con queste due infelici creature si siano rese complici di un orrendo misfatto come quello di seppellire due persone sane di mente in un manicomio soltanto per compiacere il tiranno? Di questi medici si conoscono nomi, cognomi, vicende professionali, carriere. Esistono innumerevoli cartelle cliniche da essi firmate. Ci vorrebbe un libro dedicato soltanto a queste relazioni mediche, per capire se vi fu veramente un orribile complotto.
C’è poi una cosa che non può essere taciuta. La storia (o la leggenda) della moglie e del figlio fatti morire dal tiranno in un manicomio è – come si usa dire – una vecchia storia. Fu «sparata» per la prima volta in un servizio giornalistico di cinque puntate pubblicato, a partire dal 17 settembre 1945, su «L’Azione», settimanale del Partito d’Azione. Guarda caso, all’indomani della fine del fascismo e dell’uccisione di Mussolini e dei suoi ministri. Le puntate furono presentate con questo titolo: «La tragica fine di Benito Mussolini junior. Il calvario di una giovane madre trentina». Gli articoli recavano la firma di un cognato di Ida Dalser, precisamente quel cognato al quale Arnaldo Mussolini, su incarico del fratello nel frattempo divenuto presidente del Consiglio, aveva affidato la cura del piccolo Benito Albino, che in casa dello zio d’acquisto perderà a sua volta la ragione.
Non a caso, ecco una lettera che questo cognato aveva indirizzato, vent’anni prima, il 13 giugno 1925, «al commendator Arnaldo Mussolini». Vi si legge: «Egregio signor commendatore, la mia, purtroppo, signora cognata Ida Dalser, nei suoi eccessi da malata isterica e nevrastenica a forma continua, mi diventa ogni giorno più molesta e insopportabile. Sono perfino costretto ad astenermi di portare mia moglie e il piccolo Benito in campagna, a Sopramonte (Trento: n.d.r), nella mia proprietà, per non subire gli eccessi di quella disgraziata e per non giungere a gravi conflitti. Siccome non intendo più oltre tollerare questo stato di cose, ho dovuto prendere a malincuore la decisione di vendere la proprietà, unico mezzo per liberarmi da una terribile molestia». Eccetera, eccetera.
Per concludere, anche se è impossibile difendere un uomo che in fatto di donne, famiglie e figli naturali ne combinò più di Carlo in Francia, da qui a farlo passare per una belva umana che volontariamente fa morire in manicomio suo figlio e la madre di quel figlio, be’, ce ne passa.