Memorie di un’epoca – rubrica mensile a cura di Luciano Garibaldi
biografie, eventi, grandi fatti, di quel periodo in cui storia e cronaca si toccano
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28 – giovedì 30 giugno 2016
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I CADUTI DIMENTICATI DEL SOMMERGIBILE “VELELLA”
“Taciti ed invisibili partono i sommergibili”. Con i versi del celebre “Inno del sommergibilista” ricordiamo la tragedia del “Velella”, un nostro sottomarino colato a picco davanti a Salerno il giorno prima dell’8 settembre, con i suoi 50 uomini a bordo. Nostri Caduti che attendono si renda loro il dovuto onore recuperandone i resti.
di Luciano Garibaldi
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Sul fondo del mare, ad appena 9 miglia dalla costa salernitana, e ad una profondità di soli 60 metri, giacciono, dal 7 settembre 1943, i resti del sommergibile “Velella” con, al loro interno, 50 nostri eroici marinai che diedero la vita per la patria e che nessuno, fino ad oggi, ha ancora pensato di onorare come meritano. Per fortuna, da qualche tempo l’ANMI, L’Associazione Nazionale Marinai d’Italia si sta muovendo per attivare la doverosa attenzione di chi ha i mezzi e gli strumenti di potere.
Ogni giorno organizziamo squadre di marinai con l’impegno di trarre in salvo diecine, centinaia, migliaia di migranti che dall’Africa in rovina si riversano sulle nostre coste. Una attività assolutamente nobile, umana e lodevole, che solo chi è freddo come il ghiaccio può criticare. Ma ciò non impedisce che si possa, anzi si debba incaricare un reparto di sommozzatori della nostra Marina di intraprendere il recupero di ciò che del sommergibile “Velella” è ancora possibile recuperare.
Per il raggiungimento di questo obiettivo si è a lungo battuta l’Associazione culturale “Salerno Capitale” il cui appello è stato accolto e fatto proprio dalla senatrice Eva Longo, che ha portato la vicenda in Parlamento.
Ha scritto Vincenzo Pellegrino sul quotidiano on line “Qelsi”: «Se un giorno il “Velella” verrà recuperato, l’Associazione Marinai d’Italia lascerà eventuali croci di merito ad altri, perché il suo obiettivo prescinde da tutto. Ed è, in piccola parte, già stato raggiunto, portando alla nostra conoscenza un episodio dimenticato da più di 70 anni, facendo riemergere il sommergibile nella mente e nel cuore di tanti salernitani ed italiani che, prima di oggi, non conoscevano questa triste storia».
Il “Velella” fu silurato e affondato dal sottomarino inglese “Shakespeare” il 7 settembre, ad armistizio già firmato ma non ancora reso pubblico (lo sarà il giorno seguente). Sarebbe bastato che le autorità britanniche, le quali ormai avevano vinto la guerra contro l’Italia, suggerissero ai comandi militari di evitare scontro frontali con le truppe italiane, o agguati come quello del siluro inglese scagliato contro il “Velella”. Tanto, ormai, la guerra l’avevano vinta. Ma tant’è. Nessuno, a quanto risulta, decorò il comandante del “Shakespeare”, ma nessuno, almeno fino ad oggi, ha reso omaggio a quei cinquanta Caduti per niente. E pensare che, il giorno dopo, le truppe angloamericane sarebbero sbarcare a Salerno (l’Operazione “Avalanche”) senza colpo ferire.
La storia del “Velella” è minuziosamente ricostruita nel sito www.sommergibili.com. Leggiamo. Prescelto per essere dislocato in Atlantico nonostante sia un battello “costiero”, dopo un breve periodo di lavori di adattamento al nuovo ambiente operativo il “Velella” lascia La Spezia il 25 novembre 1940, diretto a Betasom, la nuova base per i nostri sommergibili aperta a Bordeaux. Il 1° dicembre affronta l’attraversamento dello Stretto di Gibilterra, sempre difficile sia per la stretta sorveglianza degli inglesi sia per le forti correnti sottomarine. E, infatti, dapprima il battello, costretto ad immergersi, finisce sotto le bombe di due cacciatorpediniere inglesi, che gli procurano qualche danno; poi, per le difficoltà della navigazione subacquea, sprofonda a 130 metri, ben oltre la quota massima consentitagli (100 m); trascinato dalla corrente, va anche ad urtare contro il fondo presso la costa africana. Nella notte prova ad emergere per caricare le batterie, ma è subito ricacciato sotto ancora da due cacciatorpediniere, che lo sottopongono a dura caccia. Poi, come Dio vuole, rasentando le coste spagnole, riesce ad uscire in Atlantico. Dal 4 al 20 dicembre resta in agguato al largo di Lisbona e, finalmente, il giorno di Natale entra a Bordeaux. In Atlantico il “Velella” effettuerà quattro missioni offensive. La più importante sarà quella del giugno ’41, durante la quale, stando in agguato a ponente di Gibilterra, silura una petroliera di circa 7.000 tonnellate e un piroscafo di 3.200. Il “Velella” ritiene di averle affondate, ma di ciò non si trova riscontro nella documentazione inglese. Nell’agosto successivo fa parte del gruppo di battelli che devono rientrare in Mediterraneo, dove la situazione richiede altri sommergibili. Dopo qualche giorno di agguato a ponente di Gibilterra, nella notte fra il 24 e il 25 agosto il battello attraversa lo Stretto in superficie e il giorno 29 raggiunge Cagliari, dove sosta per un lungo turno di lavori. Poi ricomincia anche per il “Velella” la logorante guerra in Mediterraneo. Passato sotto il comando del Tenente di Vascello Giovanni Febbraro, dal 3 febbraio al 17 marzo ’42 è a Pola, per effettuare attività di addestramento a favore della Scuola Sommergibili. Quindi svolge una serie di missioni di agguato: a sud di Capo Palos, Spagna (aprile ’42), a sud delle Baleari (giugno).
Passato al comando del Tenente di Vascello Mario Patané, continua l’attività di pattugliamento: a sud delle Baleari (settembre ’42), nel golfo di Philippeville e nella rada di Bona, Algeria (novembre), a nord di Cap de Fer, Algeria (aprile ’43).
Quando, il 10 luglio del ’43, inizia lo sbarco degli Alleati in Sicilia, è uno dei sommergibili che, già pre-allertati, muovono immediatamente per portarsi in acque sicule. Poco dopo la partenza dalla Maddalena, il battello subisce l’attacco di un aereo che, tuttavia, viene respinto (forse danneggiato) con le mitragliere di bordo. Giunto nelle acque della Sicilia orientale, il sommergibile deve desistere dalla missione a causa di avarie e il giorno 12 dirige per Taranto. Strada facendo, all’altezza di Capo Colonne, recupera cinque naufraghi di un nostro aerosilurante abbattuto. Ma il 23 luglio è di nuovo in agguato al largo di Siracusa e di Augusta.
Nel tentativo di opporsi allo sbarco degli Alleati, nel luglio ’43 si perdono cinque nostri sommergibili. L’ultima, fatale missione del “Velella” comincia il 7 settembre, quando, insieme ad altri dieci battelli, si avvia a costituire uno sbarramento di sommergibili nel Basso Tirreno, per contrastare l’imminente sbarco alleato a Salerno. Ma dopo la partenza da Napoli non si hanno più sue notizie. Dalla documentazione inglese, nel dopoguerra si è potuto stabilire che il “Velella” è stato silurato dal sommergibile inglese “Shakespeare” verso le 20 dello stesso giorno 7, al largo di Punta Licosa, a sud di Salerno, nel punto di latitudine 40°15’ nord e longitudine 14°30’est.
Nessun superstite.
La impeccabile e precisa ricostruzione fatta dagli appassionati cultori della tradizione sommergibilista italiana si conclude con l’elenco nominativo degli ufficiali, sottufficiali e marinai i cui resti attendono da ormai 73 anni di essere recuperati e onorati come meritano. Non dimentichiamo mai i bellissimi versi dell’Inno del Sommergibilista, che chi era bambino durante la guerra ed è ancora tra noi non può non ricordare, anche per la sua straordinaria musicalità:
«Andar / pel vasto mar / ridendo in faccia a monna Morte ed al Destino!/ Colpir / e seppellir / ogni nemico che s’incontra sul cammino! / È così che vive il marinar / nel profondo cuor / del sonante mar! / Del nemico e dell’avversità / se ne frega perché sa / che vincerà».
Non meno esaltanti di quelli che seguono:
«Sfiorano l’onde nere nella fitta oscurità, / dalle torrette fiere ogni sguardo attento sta./ Taciti ed invisibili / partono i sommergibili! / Cuori e motori / d’assaltatori / contro l’immensità!»
6 commenti su “Memorie di un’epoca – I caduti dimenticati del sommergibile “Velella” – di Luciano Garibaldi”
congratulazioni all’amico Luciano per aver rievocato con maestria le imprese di uno dei tanti equipaggi italiani che combatterono eroicamente nella seconda guerra mondiale
Mi unisco alle congratulazioni del Prof. Vassallo per la bella rievocazione storica. Troppo giovane per aver vissuto quei tempi, rendo però anch’io gli onori a quegli indomiti marinai. Un solo appunto: pur riconoscendo il valore anche degli attuali marinai d’Italia, i quali vanno a soccorrere i migranti praticamente già sulle coste libiche, non posso non pensare che purtroppo anch’essi sono parte di un meccanismo perverso che sta portando all’invasione dello straniero e di conseguenza alla rovina per il loro Paese (che dovrebbero invece difendere).
Certo Alessandro2, la marina (oggi con la minuscola) dovrebbe difendere le nostre coste e invece le viola continuamente. Cosa dire di questi ufficali, che sono traditori come i loro colleghi ammiragli (italiani) che mandarono a sicura morte migliaia di marinai italiani svelando le rotte e i piani della nostra Marina? No, questi ufficiali e sottufficiali sono solo povera gente animata da interessi vili, la missione e lo straordinario, le indennità, che permettono loro di comprarsi l’agognato Suv, lo smartphone ultimo modello o il gommone. Poveri italiani.
Si, va bene, non siamo freddi come il ghiaccio, ma cerchiamo di essere almeno lucidi. La tragedia del Velella è una delle tantissime storie di crudeltà che il suolo italiano ebbe a patire dal cielo con i bombardamenti liberatori, dal mare e sulla terra, con l’aggravante che le crudeltà angloamericane si consumavano contro la popolazione civile e inerme. Dissento, caro Garibaldi, dalla necessità dell’invasione di quelli che i bugiardi di ogni tipo definiscono profughi da guerre ecc. Le loro morti pesano come macigni sugli organizzatori di questa invasione, ma non gli scafisti, bensì i grandi finanzieri che …finanziano le migrazioni con scopi orribili. Bene, lasciamo i poveri morti del Vella alla pace degli abissi, questo mondo di esternazioni misericordiose false e bugiarde non li merita. E con spese che gravano sulle nostre tasse ogni giorno di più, tiriamo su il barcone con i presunti 700 morti a soli fini propagandistici.
Concordo pienamente con Teseo. Ho fatto esattamente la stessa riflessione ieri, quando ho appreso la notizia che hanno fatto costruire un’apposto e costosissimo marchingegno per recuperare il barcone con le relative salme. Se i nostri marinai hanno potuto rimanere sul fondo del loro e nostro mare per 73 anni, potevano starci anche i morti ammazzati dalla “misericordia”.
È vergognoso confondere la memoria di valorosi soldati, che potevano dare una mano al nemico affondato, con pseudo-considerazioni sputando su altre persone in difficoltà.
Non è la nobiltà d’animo che soffoca alcuni.