di Giampaolo Rossi
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UNA MEDAGLIA PARADOSSALE
Due settimane fa il neo-direttore della Cia Mike Pompeo, è volato a Riyad per consegnare al principe ereditario saudita Mohammed bin Naif, la medaglia “George Tenet” per il suo impegno (e quello del paese) nella lotta al terrorismo internazionale. L’ambita medaglia che la Cia ha donato ai sauditi, è dedicata al Direttore dell’intelligence americana (tuttora vivente) che ha diretto l’Agenzia durante il secondo mandato di Clinton e la Presidenza Bush.
Tenet non fu solo colui sotto la cui direzione nel 1999 la Cia bombardò “per errore” l’ambasciata cinese a Belgrado, ma fu anche colui che gestì l’attentato dell’11 Settembre (quello in cui 15 dei 19 attentatori erano appunto sauditi) e convinse Bush che in Iraq c’erano le armi chimiche e che la guerra sarebbe stata facile come una “slam dunk” una “schiacciata sotto canestro”.
Ma a prescindere da questo, la notizia di un riconoscimento per la lotta al terrorismo ai sauditi assurge a paradosso se si considera che l’Arabia Saudita è considerata da sempre una delle nazioni sponsor del radicalismo islamista.
Furono i sauditi a creare Al Qaeda (che oggi combattono in casa propria e finanziano a casa degli altri) ed è stata l’Arabia Saudita il principale sponsor dell’Isis, come hanno ammesso gli amici più stretti della casa reale del Golfo; da Joe Biden ad Hillary Clinton che in una clamorosa mail rivelata da Wikileaks scrisse: “I governi di Qatar e Arabia Saudita stanno fornendo supporto finanziario e logistico clandestino all’Isis e ad altri gruppi sunniti radicali nella regione”. Consapevolezza che non le impedì di ricevere milioni di dollari di finanziamento per la Fondazione di famiglia proprio da quei governi senza che la cosa abbia mai turbato i sonni delle legioni di protestatari radical-chic.
Quanto il legame tra Arabia Saudita e terrorismo sia percepito dall’opinione pubblica americana lo dimostra anche un’altro episodio: nel settembre scorso il Congresso Usa ha approvato, nonostante il veto posto da Obama, il JASTA, (the Justice Against Sponsor of Terrorism Act), la legge che, restringendo la dottrina dell’Immunità Sovrana, consente ai cittadini Usa di intraprendere cause contro Stati stranieri coinvolti in attentati terroristici. Il JASTA è stato voluto proprio dai parenti delle vittime dell’11 Settembre in relazione alle informazioni sempre più credibili di un coinvolgimento dell’Arabia Saudita (o almeno di alcuni settori dell’intelligence) negli attentati che hanno cambiato la storia.
Non solo ma è il wahabismo fondamento dottrinario della Casa reale saudita e delle altre monarchie del Golfo, è una delle correnti più oscurantiste e follemente integraliste dell’Islam; è esso a legittimare ideologicamente sia i tagliagole del Califfato che l’estremismo islamico che prende forma in Europa nelle moschee costruite e finanziate proprio da Ryad; i quartieri della sharia ad Amsterdam, i foreign fighters europei che vanno a combattere in Medio Oriente o quelli che ci uccidono per le strade di Nizza o Berlino, sono il prodotto della radicalizzazione messa in atto, secondo una precisa strategia proprio dai sauditi e dal fiume di denaro con cui inondano le comunità islamiche europee.
LA NATO ARABO-SUNNITA
Eppure negli Usa la potente lobby saudita che occupa Dipartimento di Stato, il settore petrolifero, quello militare (che, sopratutto con Obama ha fatto affari d’oro con Riyad) e sopratutto la Cia, spingono per riconoscere ai sauditi un ruolo di paese guida nella lotta al terrorismo.
Qualche giorno fa il Wall Street Journal ha rilanciato l’ipotesi di una “Nato araba” in chiave anti-iraniana, promossa da Washington e realizzata anche con il supporto di Israele.
La Nato arabo-sunnita sarebbe composta da Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi, Giordania ed Egitto per costituire un’alleanza militare di mutuo soccorso con lo scopo di combattere il terrorismo finanziato da Teheran.
Per carità l’Iran è uno Stato teocratico in cui le violazione dei diritti umani sono pratica diffusa (anche se non ai livelli dell’Arabia Saudita); gli Hezbollah filoiraniani sono uno degli eserciti non statali più potenti del mondo ed una minaccia costante per Israele. Le milizie sciite in Iraq, come Hashd al Sha’abi, si sono spesso macchiate di crimini orrendi contro civili sunniti (spesso anche bambini) che non sono secondi a quelli dell’Isis.
Ciò non toglie che però l’Iran combatte Al Qaeda e Isis laddove l’Arabia Saudita e le altre monarchie del Golfo li appoggiano.
TRA SUNNITI E SCIITI…
In realtà la retorica della lotta al terrorismo nasconde una strategia più complessa che l’America di Trump sembra voler perseguire: porsi come regista all’interno del conflitto secolare tra sunniti e sciiti. Se così fosse, la politica estera di Trump porterebbe effetti disastrosi pari a quella di Obama.
In questo senso il tentativo di distruggere la Siria di Assad (in buona parte riuscito anche senza il regime change) ha raggiunto comunque l’obiettivo di rendere più debole l’alleanza sciita in Medio Oriente e più isolato l’Iran.
Se Washington pensa di alimentare una guerra per procura contro l’Iran (più o meno come sta facendo nello Yemen) sfruttando il secolare odio religioso interno all’Islam, l’impatto potrebbe essere devastante per tutto il Medio Oriente.
E sopratutto se Trump vuole veramente indirizzare la politica estera fuori dai disastri operati da Obama e dalla Clinton, dovrebbe smettere di considerare l’Arabia Saudita un paese credibile nelle strategie mediorientali o addirittura nella lotta al terrorismo (che esso stesso alimenta).
La medaglia della Cia ai sauditi è un controsenso; è come se a qualcuno venisse in mente di dare il Nobel per la Pace ad Obama, facendo finta di non sapere che è stato uno dei Presidenti più guerrafondai della storia americana. Come dite? Il Nobel per la Pace ad Obama l’hanno dato????
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3 commenti su “Ma sui sauditi state scherzando, vero? – di Giampaolo Rossi”
Trump sta entrando in confusione
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/f/f4/The_Scream.jpg/804px-The_Scream.jpg
E’ probabile che Trump segua la tradizionale linea diplomatica statunitense (che è tutta incentrata sulla gestione delle riserve petrolifere della penisola araba): trattare l’Arabia saudita come il migliore alleato geopolitico dell’area. Ma così facendo si ricreano le condizioni per 1) permettere ai sauditi di finanziare (con il denaro dei paesi importatori di greggio) il terrorismo islamico, 2) non fermare ne’ impedire l’avanzata immigratoria musulmana in Europa (anche essa foraggiata dai sauditi), 3) isolare ancora l’Iran, bastione sciita. Temo che Trump ricada in quest’errore, invece di porsi come arbitro (e non regista) nel complesso scacchiere asiatico.