La voglia, la pazzia di Ornella Vanoni
“Io mi guardo dentro e mi domando ma non sento niente; sono solo un resto di speranza perduta tra la gente”.
Una delle più famose canzoni di Ornella Vanoni, L’appuntamento, scritta da Bruno Lauzi ed interpretata dalla cantante milanese nel 1970, non fa che rimarcare il senso di vuoto dovuto ad una passione incontrollata, che rende schiavi: “Ho sbagliato tante volte ormai che lo so già…accettare questo strano appuntamento è stata una pazzia! Amore fai presto, io non resisto”. Anche nel celebre brano: “Domani è un altro giorno”, cantato in duetto con Claudio Baglioni nel 1971, Ornella Vanoni riprende i temi tristi, seppur appassionati, che hanno contraddistinto la sua giovinezza: “E’ uno di quei giorni che ti prende la malinconia che fino a sera non ti lascia più…Io, di tutta un’esistenza senza dare, non ho salvato niente. Domani è un altro giorno, si vedrà!”. Resa celebre con le interpretazioni delle “canzoni della mala” dalla fine degli anni ’50, la Vanoni ha legato l’ascesa della sua carriera, oltre che alla bravura, alle avventure sentimentali, diventando compagna di Giorgio Strehler durante la frequentazione, come attrice, dell’Accademia di arte drammatica del Piccolo Teatro di Milano e debuttando, nel 1956, in una commedia di Luigi Pirandello. In quel periodo, che già preludeva alla contestazione del ’68, oltre che alle canzoni partigiane di sinistra come: “Ma mi” ed alle recite teatrali, ella cantava le ballate della Rivoluzione francese. Sarà agli inizi degli anni ’60 che modificherà il suo repertorio, passando ad un genere più romantico e meno impegnato politicamente, soprattutto dopo la love story con Gino Paoli, che le dedicherà la celeberrima Senza fine. Nello stesso 1960 si sposerà con il cantante ed imprenditore romano Lucio Ardenzi, dal cui rapporto nascerà un figlio e da cui immediatamente si separerà. Oltre alla canzone d’autore, a cui dedicherà un emblematico album nel 1968: “Ai miei amici cantautori” ed a cui, anche nel 2009, li omaggerà con un LP: “Più di te”, la Vanoni ha affrontato altri generi musicali, come ad esempio il jazz, cantando con prestigiosi strumentisti come Gerry Mulligan, Gil Evans e Herbie Hancock. Proprio in un album con influenze jazzistiche come Argilla del 1997, la Vanoni ha ribadito quella venatura mesta e disperata che l’ha accompagnata nella sua folgorante carriera: “Sembra fatta di argilla questa malinconia che si asciuga in fondo al cuore e che non vuole andare via”. Il naufragio esistenziale dovuto ad un desiderio sfrenato e ad un incompreso amore è sottolineato dallo stesso brano: “Il naufrago” del 1997: “Naufragando nel tuo corpo in una pace infinita, il tuo ritmo mi trascina…”. Nel pezzo omonimo che dà il titolo all’album: “La voglia, la pazzia” del 1976, Ornella Vanoni non fa che riconfermare la passione di una voglia accecante, ben distante dall’amore vero naturale e cristiano: “Sento crescere la voglia, la pazzia, l’incoscienza e l’allegria di morir d’amore insieme a te”. A suggello di questa sfrenata passione che ha segnato tante sue canzoni, come il Marinaio del 1983: “Portava tutto addosso, carne e futuro, il sangue caldo del suo desiderio, il fuoco sacro di un’altra avventura…” o come Lunamante del 1997: “Luna dei grandi desideri, luna di sbagli, sogni e risvegli…luna mia, lunamante dove vai?”si potrebbe citare una più recente ed eloquente: “Che barba amore mio” del 2001: “Saremmo stati bene sposati io e te, dividere la noia che prende sempre più…che barba averti sempre qui”. Con Ornella Vanoni si evince quanto le esperienze e le avventure senza responsabilità possano imprimere un marchio indelebile di malinconia e tristezza. In un mondo senza un orizzonte cristiano può apparire tutto infatti insensato e violento, nonostante il legittimo desiderio di infinito che rimane dentro il cuore, come nel testo di Eternità, cantata con i Camaleonti al Festival di Sanremo del 1970: “Stare qui ha il sapore dell’eternità, dopo aver amato te…”.
8 commenti su “MA CHE MUSICA MAESTRO – rubrica quindicinale di Fabio Trevisan”
Ornella Vanoni, uno dei tanti miserevoli strumenti della satanica volontà distruttiva del vero senso della vita, da che l’umanità ha deciso di voltare completamente le spalle al suo Creatore, gettandosi bellamente anima e corpo fra le braccia del suo nemico. Non è che qui stiamo a dare giudizi sulle persone, come giustamente sottolineato dal nostro Fabio Trevisan qualche tempo fa, ma che posso dirvi? Dalle canzoni della “mala ” a tutto il resto del suo repertorio (per quanto alcuni possano dirla brava), questa donna mi ha sempre suscitato un senso di ribrezzo e di rigetto, confermato e anzi accresciuto nel corso del tempo, fino al disgusto attuale, negli anni della sua “alcolica e superbotulinica” senilità.
Brrr……………
… Fermo restando che di depressione psichica sono spesso i cattolici a soffrirne di più (in percentuale); la certezza della presenza di Dio non è sempre (e spesso non lo è stata) un elemento di tranquillità e di base esistenziale a cui affidare la propria vita (terrena). Gli anni che passano velocemente, invecchiarsi, non riuscire a fare ciò che prima si poteva e così via sono (tristi) fattori che accomunano tutti noi a prescindere da una fede religiosa. È facile affermare che avremo una vita eterna (inferno permettendo), se per adesso o in futuro certe sofferenze ci potrebbero far fronte e debellarci (non solo il fisico). Il cattolico “giulivo” e “a prescindere” è ormai quasi una rarità, e spesso non è una loro prerogativa umorale.
Mi permetta, Signor Luigi: perché, secondo lei sono i cattolici a soffrire più di depressione, soprattutto col passare degli anni quando gli acciacchi avanzano e le forze diminuiscono? È invece proprio la presenza di Dio a farci comprendere che siamo di passaggio su questa terra, un passaggio veloce come una folata di vento, che però prelude a una eternità di vita reale, sia nella felicità, che, Dio ce ne scampi, nella sofferenza. Nella fede in Lui, nel Suo continuo soccorso, anche imperscrutabile a volte, che deve consistere la nostra serenità interiore e nell’aiuto della Madonna, consolatrice degli afflitti. Essere “giulivi” mi sembra una parola grossa e non paragonabile alla Santa allegrezza dei santi. A noi uomini comuni basta la tranquillità interiore e l’accettazione paziente di quanto ci viene dato da sopportare. Non è facile, ma sempre con lo sguardo rivolto al Cielo, è sicuramente possibile. Lo sa il Signore, che è nostro Padre, di quali e quanti pesi ci può caricare.
Dissento, lei parla di toria cattolica e non di realtà esistenziale. Mia mamma, un mese prima di morire, dopo la visita domiciliare di uno specialista cardiologo,disse a quest’ultimo che ( sapendo che non avrebbe avuto molto da vivere perché si sentiva molto male), che il suo unico desiderio era di non soffrire. Due giorni prima di morire sul suo letto la vedemmo con le lacrime agli occhi perché sentiva che la sua esistenza era alla fine. Mia mamma è stata per più di 60 un'”attivista” cattolica come terziaria domenicana e non solo. Una persona che ha sempre cercato di applicare la sua fede nella vita reale e si è sempre comportata in maniera esemplare. Ma alla fine della vita e quando nei sei cosciente nessuno è felice perché incontreremo la vita eterna. Questo mio esempio è un “fatto”, la sua risposta è “teoria”. Fin quando stiamo in questa realtà purtroppo valgono i fatti. E tenga conto che il movimento di pensiero esistenzialista e pessimista (tipo quello iniziale a cui approdavano i testi della Vanoni), non mi è stato mai simpatico.
Caro Luigi R., lei all’inizio del suo primo commento teorizza con un’affermazione di carattere generale che sarebbe fondata su un dato percentuale, ma poi la suffraga citando come “fatto” l’esempio di sua madre. Ma la gente che ricavava giudizi dai fatti una volta diceva che “una rondine non fa primavera”. Fra le molte persone che ho conosciuto, invece, a un buon numero di loro si sono attagliate le parole della signora Tonietta: “… a noi uomini comuni basta la tranquillità interiore e l’accettazione paziente di quanto ci viene dato di sopportare”. Né “giulivi” né “felici”, quindi, anche se ai Santi con la “esse” maiuscola “lieti” potrebbe andar bene.
Il caso di mia madre può essere rappresentativo di uno dei milioni di casi di cattolici di fronte alla morte prossima e certa. Lei, forse, non vuole accettare che di fronte alla morte nessuno “accetta” con rassegnazione e tanto meno con felicità. Affermare il contrario significa travisare la realtà esistenziale del nostro corpo. E quindi la paura ovvia di morire.
Chi? la vanoni quella diventata di plastica!
Chi è veramente con Dio….NON soffre di tristezza nè tanto meno di depressione! perchè sà di non essere solo, Cristo è con lui,e ci credo…con un compagno così….
Mi piacevano molto le canzoni della Vanoni ed il suo modo di cantare. Ed anche quelle di Paoli
Capisco che ciò che affascina può essere negativo. Prego per loro