MA CHE MUSICA MAESTRO – rubrica quindicinale di Fabio Trevisan

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Il pessimismo cupo e sinistro di Claudio Lolli

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“Vivere costa fatica, quando la vita è tutti i giorni uguali. Vivere costa fatica, quando dai giorni non nasce nient’altro che male”.

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Claudio Lolli, cantautore emiliano nato nel 1950, è stato uno dei più “impegnati” e pessimisti autori che il panorama della canzone di protesta italiana abbia mai conosciuto. Non a caso il suo primo album, datato 1972, si intitolava “Aspettando Godot”, in riferimento all’omonimo dramma di Samuel Beckett, considerato uno degli esponenti maggiori del cosiddetto “teatro dell’assurdo”. Lo stesso brano “Aspettando Godot” non è che un drammatico manifesto della solitudine di un uomo in cerca di un senso per vivere ma che lo troverà compiuto solo nella morte (“Vivo tutti i miei giorni aspettando Godot, dormo tutte le notti aspettando Godot … ma ho incominciato a vivere forte proprio andando incontro alla morte”). Dai suoi testi, improntati ad un pessimismo cupo, non si poteva che trarne le debite conseguenze e le derive ideologiche di sinistra (dalla protesta anti-borghese all’antimilitarismo, dalle rivendicazioni sociali e politiche agli attacchi contro le istituzioni e l’autorità).

Diventavano quindi logicamente consequenziali la tristezza, la rabbia, la disperazione quando dai giorni non poteva nascere nient’altro che male e tutto risultava estremamente assurdo, così come lo scorrere del tempo vano e illusorio. Claudio Lolli, proveniente da una famiglia cosiddetta “piccolo-borghese” di Bologna, si è scagliato, sin dall’inizio della sua carriera artistica, contro la vituperata classe socio-politica alla quale aveva appartenuto, come nella famosa canzone dal titolo eloquente (“Borghesia”): “Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia, non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia”. Ai temi dichiaratamente e politicamente di sinistra , Lolli affiancava la denuncia del malessere e dell’inquietudine esistenziale, come nel brano “Angoscia metropolitana”: “In un cielo nato grigio si infilzano le gru …è l’angoscia metropolitana” ed ancora uno spirito anti religioso irriducibile:“Quelli come noi … calpesteranno il dio per cui ogni libertà si fa peccato”. Con tutte queste poco rosee premesse risultava inevitabile che le sue canzoni facessero un po’ come il pendolo (parafrasando Schopenhauer) tra la noia e il dolore, tra la rabbia e la morte. Non a caso il suo secondo album, sin dal titolo, manifestava questa desolazione: “Un uomo in crisi: canzoni di vita, canzoni di morte”.

Tra le canzoni di vita, Lolli  omaggiava colui (Antonio Gramsci) che aveva chiaramente enunciato l’egemonia culturale della sinistra contro il senso comune naturale e cristiano degli italiani. Il brano era dichiaratamente militante: “Quello lì (Compagno Gramsci)”. Nel 1975 Claudio Lolli intitolerà un altro album “Canzoni di rabbia”, dove distinguerà tra una rabbia “lucida” (razionale, rivendicativa e militante) ed una “solitaria” (esistenziale, sociale). Da Lolli si può dedurre che la coerenza logica alla mancanza di fede, speranza e carità è il dolore in cui l’anelito alla morte è il naturale sbocco di una vita senza Dio, senza Logos, come nel pezzo “Quando la morte avrà”.Per sfuggire dal morso diabolico e sinistro della disperazione, il professore di lettere e cantautore bolognese non disdegnava miraggi utopistici impregnati di ideologia marxista, come nel LP “Ho visto anche degli zingari felici” del 1976, dove, anche per l’influenza delle radio “libere” del tempo e degli eventi mediatici del tempo (strage dell’Italicus, manifestazioni di piazza post-sessantottine) il suo verbo divenne famoso: “Ho visto anche degli zingari felici in piazza Maggiore ubriacarsi di luna, di vendetta, di guerra”.

Alla soppressione dei valori religiosi e alla derisione dei Sacramenti (un altro suo brano dileggiava sin dal titolo: “Prima comunione”) Claudio Lolli anteponeva un apparato mitico tipico dell’ideologia comunista e anarchica in cui la “piazza” (Piazza, bella piazza) si contrapponeva alla “chiesa”, “l’individuo” alla “persona”, “l’isola verde dei sogni” alla “famiglia”. La rabbia del presente, l’avversione al passato, il futuro senza sbocco non potevano che condurre Claudio Lolli alla resa senza condizioni, come attestato dal titolo di un altro album,“Disoccupate le strade dai sogni”, del 1977, in cui brani come “Autobiografia industriale” mostravano tutto il livore e assecondavano le ribellioni di piazza e gli scontri tra studenti e forze extraparlamentari di sinistra e le forze dell’ordine che in quegli anni drammatici imperversavano. Del resto lui stesso, ritornando alle note autobiografiche, si descriveva infelicemente così: “La mia voce da festival del sottosuolo…così piena di granchi, di ragni, di rane e di altre cose un po’ strane”.

4 commenti su “MA CHE MUSICA MAESTRO – rubrica quindicinale di Fabio Trevisan”

  1. Di Claudio Lolli che non conosco per niente, avversa come sono da sempre a gente di questo tipo, mi domando: -Cosa ne sarà stato di uno come lui così impegnato a dissacrare la bellezza della vita tanto da cullarsi (come mi pare di capire) nel pensiero della morte là dove tutto finisce ? Sarà per lui “turpe la vecchiezza” o gli avrà donato il ravvedimento? Mi piacerebbe saperlo.Certi vizi, tuttavia, sono così radicati che non si cancellano mai.

  2. A testimonianza dell’egemonia culturale di sinistra (anche nella musica leggera) Claudio Lolli è stato uno dei tanti cantautori di protesta che hanno riscosso successo di vendite, presenze affollate alle Feste dell’Unità, partecipazioni nei media. In quegli anni si poteva ascoltare alla radio di Stato un programma che si chiamava: “Per voi giovani” condotto inizialmente da Renzo Arbore e poi da Carlo Massarini, in cui nella sezione “canzoni di protesta” si potevano ascoltare i vari Lolli, Guccini, De Gregori, De Andrè e molti altri di cui parleremo. Agli inizi degli anni ’70, con il moltiplicarsi delle cosiddette “radio libere” questi cantautori hanno avuto ancor più visibilità. Grazie per i commenti. Fabio

  3. Onestamente non lo conosco. Non ho mai sentito nessuna sua canzone.
    Forse, perché, appena la radio trasmetteva certi pezzi io giravo subito la manopola della sintonizzazione. Non credo di essermi persa nulla.

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