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La tristezza di Sergio Endrigo
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“La festa appena cominciata è già finita, il cielo non è più con noi; chissà se finirà, se un nuovo sogno la mia mano prenderà ”.
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Con il brano: “Canzone per te”,che ha vinto il Festival di Sanremo del 1968, Sergio Endrigo (1933-2005) ha unito simbolicamente la fine di un amore raccontato nel testo (“La solitudine che tu mi hai regalato io la coltivo come un fiore”) con l’esito dell’utopia sessantottina imperversante in quel periodo (“La festa appena cominciata è già finita”). Nella “Canzone per la libertà” Endrigo cantava in quegli anni le istanze rivoluzionarie del mondo giovanile: “Quello che domandiamo è libertà, quello che rifiutate è libertà, quello che non sapete è che noi ad ogni costo ce la prenderemo la libertà”. Per chi avesse ancora la voglia e la pazienza di ascoltare questa canzone anacronistica di Endrigo, noterà che tra le strofe inneggianti alla lotta per la libertà egli aveva inserito le voci di Papa Giovanni XXIII, Martin Luther King e John Fitzgerald Kennedy, icone suggestive di allora (ed evocate anche ai nostri tempi).
Il desiderio di libertà proposto dal cantautore istriano era derivato anche dal fatto, storicamente avvenuto, del suo essere profugo dopo la perdita del padre avvenuta nel 1939. In quegli anni drammatici, condensati da Endrigo nella canzone “1947” o nella “Ballata dell’ex” del 1966, il cantautore originario di Pola descriveva così quei terribili momenti: “Andava per i boschi con due mitra e tre bombe a mano, la notte solo il vento gli faceva compagnia…”. Con quella tristezza negli occhi, tristezza che caratterizzava molte delle sue canzoni, Endrigo manifestava il suo amore per la saudade brasiliana, forse derivata anche inconsapevolmente dalla perdita della centralità dell’impero austro-ungarico da cui proveniva e dalla drammatica condizione di profugo vissuta interiormente. Questa passione dichiarata per il Paese sudamericano era attestata dalle collaborazioni con musicisti come Vinicius de Moraes, Toquinho e Roberto Carlos e persino dal nome del suo pappagallo, Paco, oltre che dalle numerose tournée in quel Paese. In Endrigo si trova mescolato un particolare e intrigante intreccio di interessi, che vanno dalla nostalgia e dalla velata allegria ispirata al Brasile (come nella canzone: “Samba delle benedizioni”) ai brani insieme mesti e dolci della cantante sarda Marisa Sannia, fino alle composizioni di poeti di sinistra come Pierpaolo Pasolini, a cui si era ispirato nella canzone: “Il soldato di Napoleone”, o di Gianni Rodari, militante dichiarato del PCI.
Proprio all’influenza di quest’ultimo si deve l’interesse di Sergio Endrigo per la natura, i fiori e gli animali e per le canzoni per i bambini che faranno diventare il cantante istriano popolare presso il pubblico infantile. Allontanandosi infatti dalle illusioni libertarie ideologiche, rinvenibili ancora in canzoni come “Canzone della libertà” o “L’Arca”, entrambe del 1968, Endrigo inizierà nei primi anni ’70 una ripresa dei temi “ecologici” divenuti un leitmotiv di grande successo: “Ho visto un prato” e la celeberrima: “Ci vuole un fiore”, entrambe composizioni del 1974 ispirate al già menzionato Gianni Rodari. Già nel 1970, con l’altrettanto famosa “L’arca di Noè”, Endrigo s’era piazzato terzo al Festival di Sanremo e le parole pessimistiche del testo confermavano uno stato d’animo pregno di disillusioni e amarezze: “Un volo di gabbiani telecomandati e una spiaggia di conchiglie morte … che fatica essere uomini”. Singolare è la notorietà dell’Arca di Noè, cantata in coro negli oratori e in tante famiglie cristiane, ad attestare ancora una volta l’egemonia culturale della sinistra tangibile anche nelle cosiddette canzoni di musica leggera. Incredibile il testo di questa canzone, che testimonia la precarietà e l’illusione dell’esistenza (“Strisce bianche nel cielo azzurro per incantare e far sognare i bambini”) nell’incertezza angosciosa del futuro (“La nave partirà, dove arriverà, questo non si sa”). Inevitabilmente non poteva che giungere la fatica di essere uomini quando la prospettiva rimane asfittica e chiusa in una dimensione esclusivamente privata: “Sarà come l’Arca di Noè, il cane, il gatto, io e te”.
Dalla sua prima canzone, “Bolle di sapone”, fino alle canzoni allegoriche sugli animali, da Il pappagallo a Le api, dal Pinguino alla Foca, Sergio Endrigo ha riproposto così il suo particolare stile dovuto all’esperienza del dolore vissuto senza l’approdo al cristianesimo, come confermato dalle parole della figlia Claudia: “Non siamo credenti”.
3 commenti su “MA CHE MUSICA MAESTRO – rubrica quindicinale di Fabio Trevisan”
Sono andata di corsa su you tube a riascoltarmi il brano (dimenticato) Canzone per la libertà. Oggi col senno di poi (allora ero una bambina) è palesemente evidente la loro utopia. Dove li ha portati il loro ideale di libertà? Siamo schiavi del peggiore totalitarismo, privi di valori, poveri paganizzati e abbrutiti.
REGREDITI! Queste icone, GRAZIE A DIO, sono tutte tramontate. Speriamo che dopo questa lunga notte dominata dalle loro sinistre ideologie sorga presto un’alba radiosa che spazzi via anche l’ultimo barlume del loro cupo e mesto pensiero……
Endrigo? uno dei tanti “sinistrosi” comunistoidi che si sta divertendo …al’Inferno!
Che tristezza Sergio Endrigo, e che lagna! Non mi è mai piaciuto.