Il canto anarchico di Fabrizio De Andrè
“Ho licenziato Dio, gettato via un amore per costruirmi il vuoto nell’anima e nel cuore”.
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Le parole riportate sopra in corsivo si trovano all’inizio della canzone: “Cantico dei drogati” di Fabrizio De André (1940-1999), contenuta nell’album: “Tutti morimmo a stento” che il famoso cantautore genovese incise nel 1968. Molti però non sanno che il testo di quella canzone era tratta da una poesia, dal titolo drammaticamente emblematico: “Eroina” del poeta anarchico e libertario Riccardo Mannerini, amico ed ispiratore di De André, morto suicida dopo una lunga e grave depressione. Interessanti le parole del cantautore genovese in ricordo di Mannerini (1927-1980): “Abbiamo scritto insieme il Cantico dei drogati, che per me, che ero totalmente dipendente dall’alcool, ebbe un valore liberatorio, catartico … Io mi compiacevo di bere, anche perché grazie all’alcool la fantasia viaggiava sbrigliatissima”.
Proveniente da una famiglia dell’alta borghesia (il padre Giuseppe era stato presidente dell’Eridania), condusse una vita sregolata e già nel 1957 si iscrisse alla Federazione Anarchica Italiana. Fondamentale per le sue idee anarco-individualiste, come egli stesso ammise, fu la lettura del libro: “L’Unico e la sua proprietà” del filosofo Max Stirner (1806-1856) e l’incontro artistico con Georges Brassens (1921-1981), chiamato “il mio Maestro”, al quale musicalmente si ispirò.
Alcuni testi delle canzoni di De André (“La guerra di Piero”, “La canzone di Marinella”, “Il pescatore” ed altri) sono stati benevolmente considerati dalla critica letteraria e musicale italiana tanto da essere stati posti nei manuali di letteratura italiana.
Tornando alla canzone iniziale è interessante, nell’analisi del Cantico dei drogati, rilevare quell’articolo indeterminativo “un” che sottolinea la desolazione del brano. Se De Andrè fosse stato credente avrebbe dovuto scrivere, al posto della voluta indeterminatezza dell’articolo, “l’Amore” (Dio) senza il quale non si può costruire nulla, ma per il celebre cantautore, sempre secondo le sue testuali parole:“Dio è un’invenzione dell’uomo, qualcosa di utilitaristico, una toppa sulla nostra fragilità … Ho sempre pensato che se Dio non esistesse bisognerebbe inventarselo, il che è esattamente quello che ha fatto l’uomo da quando ha messo piede sulla terra”. Dio pertanto, per De André, è “un” amore o un’illusione come ce ne possono essere tante altre. La canzone prosegue coerentemente infatti senza alcuna speranza, dove il drogato, come l’alcolizzato, non sa porre e non sa darsi una ragione della propria esistenza: “Perché non hanno fatto delle grandi pattumiere per i giorni già usati per queste ed altre sere” e prosegue con un interrogativo incalzante senza risposta: “E chi, chi sarà mai il buttafuori del sole, chi lo spinge ogni giorno sulla scena alle prime ore?”.
Alcuni potrebbero obiettare che De André, quando incise il successivo disco: “La buona novella” manifestasse un bisogno religioso, seppur molto polemico e critico verso la Chiesa e le autorità religiose. Credo che al massimo, sempre secondo le sue testuali parole, si possa parlare in lui di un panteismo o, tutt’al più, di un ambiguo sincretismo, come egli stesso affermò: “Io mi ritengo religioso e la mia religiosità consiste nel sentirmi parte di un tutto, anello di una catena … La mia religiosità non arriva a ricercare il principio, che tu voglia chiamarlo creatore, regolatore o caos non fa differenza”.
Tutto evidentemente sta, secondo il pensiero di Fabrizio De Andrè, in quell’ indeterminato e indistinto “un”, attraverso il quale criticare i soprusi di ogni autorità, di ogni potere, rivelandone così il suo sostanziale substrato anarchico. Il vuoto dell’anima e del cuore nella persona, non potendo riconoscere l’Amore-Creatore, annichilisce anche il dono del corpo e la sua accettazione responsabile, come attesta ed accentua ancora lo stesso brano: “Quando scadrà l’affitto di questo corpo idiota allora avrò il mio premio come una buona nota”.
Cantando De André, come molti ancora fanno, accompagnandosi anche dalla chitarra, si “impara” a non corrispondere a quel disegno provvidenziale di Dio che ha tanto amato il mondo e le Sue creature da sacrificare il Suo unico Figlio Unigenito, Gesù Cristo. Il canto anarchico di De Andrè contrasta infatti ostinatamente il messaggio cristiano di autentico Amore divino e di speranza. La sua ripetuta monotonia nell’accento grave della sua voce e la sua profonda desolazione pessimistica si pongono contro un sereno e gioioso cantico degli uomini che cercano di vivere in Cristo, ovvero di tutti coloro che, pur nella consapevolezza della condizione di peccatori, si oppongono ad un Cantico dei disperati, al Cantico dei drogati.
10 commenti su “MA CHE MUSICA MAESTRO – rubrica quindicinale di Fabio Trevisan”
Concordo su tutta la linea.
È angosciante constatare come siano ancora tanti quelli che sono ancora affascinati da De Andrè per il suo carattere “religioso” inconsapevoli del sottofondo così tenebroso!
Di De André mi ha sempre disturbato quella certa atmosfera di cupa negazione della bellezza della vita, quel senso di morte dove tutto trova fine, insomma una specie di nichilismo espresso da un’anima tetra e priva di speranza. Clima terribile.
Concordo anch’io su tutto. Anche a proposito di quell atmosfera cupa stantiamalatama sosoprattuttoo espressa e con dovizia ed arroganza. Contrista veramente lo Spiritoe ddisturba la sana ragiome. Pessimo artista davvero.
Un uomo certamente dotato, ma purtroppo ispirato non già da Dio, bensì dal Suo eterno nemico.
Non Conoscevo nulla,o quasi , di De Andrè, da ciò che leggo, un solo rimpianto: non aver conosciuto la sua follia e non aver potuto pregare il Signorer per la sua salvezza.
Secondo me bisogna essere paronoici o comunque fortemente bisturbati mentali per “gradire” il passaggio sul Pianeta Terra di quel parlatore sboccacciato ed avvilente.
Per apprezzare le sue “opere artistiche” invece bisogna assolutamente essere inclini al suicidio.
Cara Sheshehh, non vi è alcun bisogno di chiamare in causa la paranoia ne’ alcun disturbo mentale. Basta andare al nocciolo della questione: negando Dio, l’uomo si illude di conseguire la libertà assoluta, e piomba a capofitto nella più orrenda delle schiavitù, ossia satana. Rileggendo le pagine sul peccato originale vediamo che ne’ Adamo ne’ Eva erano folli. Erano lucidi e perfettamente capaci di intendere e volere. Con il notissimo risultato da essi conseguito.
Ho già spesso segnalato questo libro, a mio avviso un’ottima introduzione politicamente scorretta val personaggio. Lo ripeto: IL RIBELLE DI REGIME di Michele Antonelli, Il Cerchio Editore. Buona lettura.
Date retta a questo modesto ex musicista che ha percorso tutte le rotte considerate anticonformiste ma che erano solo le vie aperte dai dissolutori finanziati, magari, da Soros.