Gino Paoli riduceva l’aspirazione alla vita eterna e l’amore ad una parodia meschina giocata sarcasticamente sul solo piano immanente.
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“Ogni suicidio è diverso, e privato. E’ l’unico modo per scegliere: perché le cose cruciali della vita, l’amore e la morte, non si scelgono; tu non scegli di nascere, né di amare, né di morire. Il suicidio è l’unico, arrogante modo dato all’uomo per decidere di sé”.
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L’autore di queste frasi, terribili non solo dal punto di vista cristiano, è il cantautore e musicista originario di Monfalcone Gino Paoli. Nel 1963 egli tentò infatti di suicidarsi sparandosi un colpo di pistola al cuore. Il cantautore goriziano (la madre, pianista, era giuliana), trasferitosi dopo la nascita con la famiglia a Genova, precedentemente al tentato suicidio aveva iniziato una cura disintossicante per abuso di super alcolici (un suo fratello era morto nello stesso periodo per gli stessi problemi). Un’esistenza vissuta, anche da sposato (con la prima moglie Anna Fabbri) come un bohemien; così testimonia la sua famosa canzone autobiografica La gatta del 1960, in cui descriveva il sottotetto al mare dove viveva con moglie e animali vari.
Il disordine esistenziale di Gino Paoli si ripercuoteva nelle relazioni sentimentali che lui ebbe: nel 1961 conobbe Ornella Vanoni ed intrecciò con lei una love story, che gli ispirò il brano celeberrimo Senza fine e nel 1962 si legò alla minorenne promessa attrice Stefania Sandrelli (lanciata da Pietro Germi nel film Divorzio all’italiana), dalla quale nacque Amanda. Fu da quest’ultimo intreccio sensuale che trasse l’ispirazione per la gettonatissima Sapore di sale, arrangiata da Ennio Morricone. Nello stesso anno (1964) in cui nacque Amanda Sandrelli nasceva l’altro suo figlio, Giovanni, dalla sua prima moglie.
A questo punto urge un chiarimento per non essere frainteso: non voglio fare con Gino Paoli del mero moralismo, ma piuttosto analizzare, anche attraverso le sue canzoni d’amore, il suo malessere, che lo portò pure all’assunzione e alla dipendenza dalle sostanze stupefacenti. Nel testo della canzone Senza fine (di cui esistono ben 300 versioni, data la vasta popolarità) Gino Paoli trasferisce alla sola sfera dell’umano quelli che dovrebbero essere stati gli elementi sostanziali attribuibili a Dio, manifestando in tal modo un evidente materialismo ateo, professato anche politicamente: “Tu sei un attimo senza fine, non hai ieri e non hai domani … tu per me sei luna e stelle, tu per me sei sole e cielo, tu per me sei tutto quanto, tutto quanto voglio avere”. In un’altra sua famosa canzone: “Albergo a ore”, cantata e resa famosa anche dall’amico Bruno Lauzi, Gino Paoli riduceva l’aspirazione alla vita eterna e l’amore ad una parodia meschina giocata sarcasticamente sul solo piano immanente: “E ho messo nel letto i lenzuoli più nuovi poi, come San Pietro, gli ho dato le chiavi di quel paradiso e ho chiuso la stanza sul loro sorriso!”. Anche la canzone “ Il cielo in una stanza”, resa celebre nell’interpretazione di Mina, fu ispirata da Paoli (secondo le sue stesse parole) da un bordello nel quale un giorno si trovava.
La sua chiusura ad una prospettiva trascendente si è riflessa ovviamente anche nelle scelte politiche, tanto che fu eletto deputato nel 1987 tra le fila del Partito Comunista Italiano. Un tratto caratteristico delle canzoni di Gino Paoli, se le analizziamo accuratamente, è la disillusione triste di una speranza frustrata, espressa ancora nel brano Quattro amici, vincitore del Festivalbar del 1991: “Eravamo quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo, destinati a qualche cosa in più che a una donna ed un impiego in banca … son rimasto io da solo al bar”. Risalta pure costantemente nei suoi brani l’amarezza che non riesce a giustificare il bisogno legittimo di essere amato, come nella pessimistica Sassi: “Sassi che il mare ha consumato sono le mie parole d’amore per te…ogni parola che ci diciamo è stata detta mille volte”.
Con le canzoni di Gino Paoli si evidenzia così l’egemonia culturale della sinistra anche nella cosiddetta “musica leggera” italiana. Le sue melodie, spesso avvincenti e orecchiabili, hanno fatto sì che pure nel mondo cattolico (oratori parrocchiali, movimenti ecclesiali, gruppi, ecc.) si siano cantate le sue canzoni senza tuttavia rendersi esatto conto della portata rivoluzionaria e dissacrante dei suoi pezzi musicali. In Gino Paoli l’insignificanza del tempo e l’amarezza della vita sono state testimoniate infatti a più riprese in senso anticristiano: “Qui il tempo è dei giorni che passano pigri e lasciano in bocca il gusto del sale”.
Risulta evidente che l’essere evangelicamente sale della terra significava distinguersi da essa e che “l’essere nel mondo” non equivaleva all’ “essere del mondo”. In una prospettiva cattolica il sapore del sale non era esattamente quello prospettato da Gino Paoli.
8 commenti su “MA CHE MUSICA MAESTRO – rubrica quindicinale di Fabio Trevisan”
È un mezzo esule istriano (da Wikipedia: ” nasce a Monfalcone da padre toscano di Campiglia Marittima, ingegnere navale, e madre giuliana. Molti suoi congiunti da parte materna furono coinvolti nell’esodo giuliano-dalmata e alcuni persero la vita durante le operazioni di pulizia etnica compiute dai reparti regolari e paramilitari jugoslavi ” ), come un esule istriano 100% fu Sergio Endigo.
Due uomini innamorati dei “Rossi” -gli stessi che li avevano massacrati-, e soprattutto fortemente massonizzanti: convinti che l’epifania del Male che avevano visto dimostrava che solo il “Nulla” è divino
“le cose cruciali della vita, l’amore e la morte”. A quanto pare siamo di fronte al vuoto totale. Tutto quello che è cruciale si riduce all’amore (o meglio alle passioni effimere….. nel suo caso….) e alla morte. E le chiama “cose”. Meno male che non ha citato il denaro ….. Che aridità.
Mi rendo conto sempre più, ogni giorno che passa, che, a forza di canzonette, la gente ha interiorizzato un mare di sciocchezze.
Inutile soffermarsi sulla sua carriera politica; sono decenni che assistiamo alla totale decadenza di una professione abbracciata al solo scopo di introitare favori e ricchezze. Nulla di nuovo sotto il sole.
Mamma mia,Gino Paoli! Mi ha sempre dato la nausea. Lo vedevo ateo, dissacratore, uno che cantava una vita libera e senza speranza, con un aspetto e un atteggiamento che denunciavano la sua sregolatezza. No, no, non ha mai fatto per me. Di lui ho un ricordo del tempo del famoso “Cantagiro”, quando insieme a tutta la carovana dei cantanti sbarcò nella mia città: i cantanti tutti spocchiosi e tronfi della loro celebrità sfilavano su macchine sportive per la felicità dei giovani di allora; lui sopra una spider rossa sembrava disdegnare tutto e tutti, forse perché il personaggio era tale e si sentiva superiore. A quel tempo si era già “suicidato” e colpiva il fatto che portasse un proiettile in corpo. Per molti era una sorta di modello da imitare: povera gioventù, era già cominciato il suo traviamento e il suo sbandamento. Di quel giorno ricordo con un sorriso mio padre, seduto imperturbabile a leggere il giornale su una panchina di quel del parco in cui avveniva la passerella; tutto senza che l’avvenimento lo sfiorasse e l’unico a starsene lì, mentre attorno a quelli si accalcava una esultante folla. Era fatto così il mio papà e così ci ha educato.
Il non aver saputo essere alternativa alla canzonette orizzontali, ha fatto sì che il trasbordo di tanti cattolici sia avvenuto anche grazie alle canzonette. Da tutto questo dobbiamo imparare. Ora, che la chiesa ha tirato i remi in barca e si lascia trasportare dalla corrente, è necessario non solo riprendere il nostro ma, dissodare, seminare, coltivare per far sì che la cultura cattolica riporti la Vita entro questa società ottenebrata da voluttà auto-distruttiva.
Non mi stupisco che le arie di Paoli sìano state diffuse e cantate negli oratori cattolici dove, peraltro, erano autori privilegiati Pasolini e i Beatles. Tra accattoni, vangeli di Matteo, Imagine e senza fine, era un bailamme di ateismo e vacuità dato a dosi continue a giovani e fanciulli. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Paoli non cita il denaro? Non lo cita e non lo canta ma curò assai bene i suoi incassi, che tuttora cura, essendo stato occhiuto presidente SIAE.
E’ rimasto solo lui al bar, certo, ma a differenza degli altri tre, lui ha sicuramente raggiunto l’obbiettivo di essere un parvenu, come tanti “sinistri”, dell’egemonia culturale del nulla!
Concordo con lei, caro Feder e, per quel che riguarda la canzone da lei indirettamente citata, devo dirle che non mi è mai piaciuta…è una canzone che lascia un senso di tristezza in chi la ascolta.
Come al solito ottima analisi, grazie Fabio Trevisan!