“Chesterton osservava e sottolineava quanto i grigi monumenti a ingegneri ferroviari e filantropi nei quartieri poveri di Londra fossero inopportuni, in quanto ingegneri ferroviari e filantropi erano due brutte genìe di uomini, unite dal loro disprezzo per il popolo”.
Un caro amico ha osservato, riguardo ad un mio precedente articolo dal titolo: “La democrazia dei filantropi”, che non ho sufficientemente chiarito perché Chesterton ce l’avesse tanto con gli ingegneri ferroviari. La frase, oggetto dell’incomprensione, l’ho posta in corsivo tra le virgolette nell’introduzione ed è tratta da: “Il club dei mestieri stravaganti”, ove si narra delle avventure dello strano personaggio di Basil Grant, giudice “impazzito” in pensione, che osservava dall’alto del bus di Londra i bassifondi della periferia londinese traendone, assieme all’amico viaggiatore, le debite conseguenze.
In questo libro tuttavia non è precisato il motivo perché Chesterton o Basil Grant avversassero gli ingegneri ferroviari alla medesima stregua dei filantropi. Per risalire e comprendere siffatta questione è necessario leggere il breve saggio: “I nuovi binari”, contenuto nel libro, dal titolo: “L’uomo comune”. Tutto si pone nella difesa dell’uomo contro l’eresia moderna della cosiddetta “emancipazione” che perseguitava, al contrario, l’uomo comune: “L’unica cosa che l’emancipazione moderna ha vietato è il senso comune per come sarebbe stato compreso dalla gente comune”. Lo sguardo di Basil Grant sul povero uomo comune dei bassifondi londinesi è il medesimo di quello di Innocent Smith, il protagonista delle Avventure di un uomo vivo; Innocent fa rinsavire l’aristocratico e pessimista professore del suo ateneo facendogli apprezzare le anatre nello stagno, le tendine a pois che tanto detestava: erano le piccole cose dell’uomo comune, al pari delle viuzze strette con i panni appesi tra le finestre, i bidoni di immondizie che Basil osservava dalla “collina viaggiante” di un bus londinese. Non erano le anatre, le tende a pois, i panni, i bidoni di immondizie fuori posto ma quei tetri e grigi monumenti dedicati a filantropi e ingegneri ferroviari, ossia a quelle classi appartenenti al progresso dell’umanità e alla fiera e ostentata democrazia.
Chesterton precisò la sua avversione ai binari ferroviari dopo aver letto un verso del 1835 di Lord Alfred Tennyson (1809-1892), che recitava così: “Che il grande mondo giri per sempre lungo i binari sonanti del cambiamento”. Chesterton era di tutt’altro avviso, in quanto i binari paralleli del treno non potevano cambiare né necessariamente tintinnare, così come non risuonavano i cambiamenti. Per Chesterton, Tennyson permetteva all’uomo moderno e alla mentalità moderna di stare soddisfatti dentro i binari, esaltati quali processi di cambiamento. La realtà era un’altra, così come Chesterton scriveva: “La peculiarità del binario consiste nella sua incapacità di offrirci qualcosa di nuovo…è questa la sostanza di ciò che intendo dire quando parlo di binari moderni, ossia che la loro unica forma di progresso è il procedere sempre più velocemente lungo una sola linea, in un’unica direzione”.
Chesterton proponeva quindi di “uscire dai binari”, avendo il coraggio di muoversi in senso opposto, così come fecero numerosi protagonisti dei suoi romanzi: dai già menzionati Basil Grant e Innocent Smith ad Adam Wayne del Napoleone di Notting Hill e Patrick Dalroy dell’Osteria volante. A coloro che perseguitavano l’uomo comune, fossero filantropi o ingegneri ferroviari, Chesterton offriva loro un originale e profondo pensiero: “Non voglio viaggiare sul treno economico diretto a Utopia. Voglio invece andare dove mi pare, voglio fermarmi dove mi pare. Voglio conoscere il mondo in lungo e in largo e uscire dal binario per vagare nelle antiche pianure della libertà”.
1 commento su “L’Uomo Comune e i binari ferroviari”
“Non voglio viaggiare sul treno economico diretto a Utopia. Voglio invece andare dove mi pare, voglio fermarmi dove mi pare. Voglio conoscere il mondo in lungo e in largo e uscire dal binario per vagare nelle antiche pianure della libertà”.
Uscire dal binario, sì, questo desideriamo. Uscire dal binario del pensiero unico, dall’imposizione “sanitaria”, dal totalitarismo imperante, uscire e respirare “nelle antiche pianure della libertà”. Perché che differenza c’è ormai fra noi e il nostro gatto, se non possiamo stringerci la mano, abbracciarci, sussurrarci pensieri, guardarci in faccia, e scrutare le nostre espressioni e i nostri sorrisi? Anzi, molto più libero di noi è il nostro gatto se può scorrazzare dove gli pare e quando gli pare… su di lui forse non hanno presa le demoniache grinfie che invece torturano noi. Ma non durerà a lungo questo potere malefico. Cadrà quando nemmeno esso stesso se lo aspetta.