di Lino Di Stefano
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Inviato, nel 1983, – dal Ministero della P. I. – in Veneto per effetto del superamento del concorso ordinario a Preside nei Licei, arrivai nella città assegnata – San Donà di Piave (VE) – verso la seconda metà di settembre. La sera, dopo cena, facendo una passeggiata per familiarizzare con la bella località, celebre, tra l’altro, per il fiume sacro alla Patria e per la resistenza agli austriaci, durante il primo conflitto mondiale, fui attratto, sotto un portico, dall’affissione di alcuni giganteschi manifesti, color verde-azzurro, aventi come simbolo il leone di San Marco con la bella e famosa scritta: ‘PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS’.
Si trattava di manifesti della ‘Liga Veneta’ – soppiantata, in seguito, dalla Lega Nord – sui quali, a caratteri cubitali, era scritto, più o meno, testualmente: “Sette Prefetti su sette, non Veneti; sette Questori su sette, non Veneti; sette Provveditori agli Studi su sette, non Veneti; sette Comandanti dei Carabinieri su sette, non Veneti; sette Comandanti della Guardia di Finanza su sette, non Veneti, e così via, relativamente alle altre cariche burocratiche. Da qui, qualche riserva nei riguardi degli impiegati del Centrosud, ma non più di tanto.
La scritta concludeva: “Ma, i Veneti non sono capaci di espletare tali attività?” La mattina successiva nell’assumere servizio come Capo d’Istituto – era il Liceo classico ‘E. Montale’ – dissi alla Segretaria che i fatti stavano in quel modo perché, in generale, i Veneti non si dedicavano – come avveniva un po’ in tutto il Nord d’Italia – a questi uffici perché non li amavano e perché nella menzionata località, ricca di fabbriche, i giovani trovavano lavoro col possesso del semplice diploma di Scuola Media e addirittura di Scuola Elementare.
Adesso, le cose sono cambiate e, da tempo, anche tali floride regioni del Settentrione avvertono e, al massimo grado, i segni della crisi. Ciò premesso, devo precisare, per amor di verità, che colà mi sono trovato abbastanza bene non senza aggiungere, sempre per amor di verità, che taluni indizi di insofferenza nei riguardi dell’Italia unita erano presenti già allora, almeno ‘in pectore’, in una fetta della popolazione veneta.
E questo, per conoscenza diretta. Avevo, infatti, approfittato, durante la permanenza in questa regione, nelle more della mia attività professionale, per visitare quasi tutti i ridenti capoluoghi, ivi compresi i centri minori, e avevo cercato di capire, altresì, il pensiero della gente intorno alla menzionata questione
Ora, dopo le sparate secessionistiche dell’èra Bossi, tornano a galla i sentimenti separatistici da parte di alcune frange del laborioso Nord, segnatamente dei Veneti, le quali, in questi giorni, affermano di voler andar via dall’Italia per approdare non si sa dove!
Propaganda, provocazione, ignoranza della realtà e, perché no, della storia patria? Già l’unità d’Italia è stata un fatto insperato – come ribadisce Domenico Fisichella nel suo indovinato saggio, ‘Il miracolo del Risorgimento’ (Carocci Ed., Roma, 2010) – tenuto conto delle forze centrifughe che hanno ritardato il compimento del processo unitario.
Processo che in Francia, per fare un esempio, ascende al 987, e vale a dire ad Ugo Capeto, e che anche in altre Nazioni ha origini remote rispetto al nostro Paese: Inghilterra, Spagna, Portogallo etc. Però, è giocoforza sottolinearlo, l’unità spirituale della penisola esiste da Roma il cui grandissimo merito è stato quello di cementare, in un’unica compagine, i vari popoli italici; tant’è vero che i poeti Rutilio Namaziano (IV sec. d. C.) e Claudio Claudiano (IV-V sec. d. C.), ultime voci di Roma, scrissero rispettivamente: “Fecisti patriam diversis gentibus unam” e “Cuncti gens una sumus”.
Ora, dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente (476) e dopo i successivi secoli bui, l’Italia ha dato vita non solo alla rilevante civiltà comunale, alla scuola siciliana (XIII sec.), all’Umanesimo e al Rinascimento, ma anche – dopo qualche secolo di decadenza, ma con i grandi, Vico, Goldoni, Parini e Alfieri – al Risorgimento che, piaccia o non piaccia, è stato, un fenomeno considerevole.
Un’età, chiarisce Alberto M. Ghisalberti, “durante la quale l’Italia ha conquistato la propria indipendenza dallo straniero e si è costituita a stato unitario in un regime di libertà” senza perdere, prosegue lo storico, “nulla della sua grandezza e del suo significato” (Il Risorgimento Italiano’, A. Mondadori Ed., Verona, 1966, Pref.).
E, per restare nel Veneto, e nel Settentrione in generale, è superfluo rilevare che tali popoli fecero tutto il loro dovere, durante il Risorgimento, in vista dei futuri destini della Patria, così come, in situazioni, oggettivamente più difficili, fecero la loro parte le genti del Meridione, vessate da secoli di schiavitù e di sopraffazione. Ed anche durante il Ventennio, l’unità della Nazione restò un imperativo categorico di quella classe dirigente e del suo corifeo.
Negare ciò, significa negare l’evidenza. Anche perché, per dirla con lo storico, Ruggero Moscati – autore, tra l’altro, di un notevole studio, ‘Risorgimento liberale’ (Ed. Bonanno, Catania, 1967) – “il risorgimento italiano ebbe dichiaratamente un compito nazionale: quello di liberare l’Italia dal dominio straniero, di unificare la nazione italiana, di conferirle più liberi ordinamenti”. Il tutto, prosegue l’Autore, per opera di “una minoranza di uomini colti in un mondo ostile”.
E, allora, sono risibili, per non dire altro, le recenti dichiarazioni di taluni politici veneti rivolte al sogno del cosiddetto distacco dall’Italia; separazione che in altri Paesi come la Francia, la Germania, l’Inghilterra etc., non sarebbe nemmeno pensabile perché equivalente ad una bestemmia. Non dimentichino i Veneti e coloro i quali si riconoscono in tali utopistiche posizioni che l’Italia è una e tale resterà fino a quando, foscolianamente, “il sole risplenderà su le sciagure umane”.
Ma, non dimentichino, essi, nemmeno i grandi nomi dati all’Italia, nel corso dei secoli – poeti, filosofi, scrittori, scienziati – senza trascurare, naturalmente, gli illustri esponenti della letteratura latina quali, Virgilio di Mantova, Catullo di Verona, Livio di Padova, i due Plinii di Como, Nepote di Pavia, Bibaculo di Cremona – per limitarci ad alcuni – e, non ultimo, Cecilio Stazio di Mediolanum, autore del bellissimo verso, rivolto al contadino, che “serit arbores quae alteri saeculo prosint”.
Ci piace concludere le seguenti considerazioni con dei mirabili versi, sempre in lingua latina – indirizzati a chi parla, insensatamente, di scissione o di divisione della Nazione – di due grandi scrittori, Plinio il giovane e Francesco Petrarca. Scrive il primo, diretto ai dubbiosi: “Turpe est in patria vivere et patriam non conoscere”, osserva, dal suo canto, l’aretino, rivolto all’Italia, di ritorno dalla Francia: “Salve, cara Deo tellus sanctissima salve” (…) / Salve pulchra parens, terrarum gloria salve”.
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29 commenti su “L’unità d’Italia non si discute – di Lino Di Stefano”
a me risulta che l’unità d’Italia sia stata attuata dai gruppi massonici ( vedi Garibaldi ) filo savoiardi contro i Borboni e contro la Chiesa di Roma. Basta leggere qualche libro di Angela Pellicciari.
no la storia ci dice che Garibaldi non era d’accordo. Sono stati i Savoia per le loto aspirazioni di grandezza. Volevano fare gli imperatori a Roma. Infatti hanno spostato la capitale da Torino prima a Firenze e poi all’ombra del colosseo.
Dopo aver tristemente letto questo articolo ripenso a quella banda di delinquenti comuni e lanzichenecchi al soldo della Massoneria inglese(che aveva comprato i generali felloni del glorioso Regno del Sud) che commisero i massacri al Sud, ripenso a Pontelandolfo e a Casalduni dove coloro che scamparono alle fucilazioni di massa (donne, vecchi, bambini) furono bruciati vivi nelle loro case dai “liberatori”…ripenso all’ultima battaglia in difesa della Civiltà Cristiana e del Romano Pontefice a Porta Pia e ripenso anche alla inutile strage del 1915 1918 anche questa voluta dal “potere occulto” e ai poveri morti mandati al macello. Ringrazio il popolo veneto che ha ritrovato l’orgoglio della propria identità e il gusto di battersi. Come Cattolico e come Toscano vorrei sommessamente ricordare che il così detto risorgimento (eravamo italiani da sempre e non c’era bisogno di ceare una Nazione con la squadra e il compasso) fu, in Italia, quello che in Francia fu la Rivoluzione dell’Ottantanove. Viva l’identità dei popoli! Viva l’Europa UNA CATTOLICA IMPERIALE!
Concordo in pieno con Massimo. Io l’Italia la cancellerei dalle carte geografiche anche subito. Per lo meno così come è stata concepita e così come esiste oggi. Una federazione di stati sarebbe altra cosa, magari risulterebbe più tollerabile dell’attuale unità artificiale.
Come cattolico accetto i dogmi religiosi ma non quelli laici e tantomeno quelli che odorano di massoneria.
Raramente mi capita di essere completamente in disaccordo. Purtroppo sono cittadino italiano, ma non riconosco l’italia giacobina come mia patria. Per una patria vera sarei disposto a morire; per uno stato che non difende i confini, che tollera parassiti e manda all’ergastolo senza prove degli innocenti, che non difende la famiglia, che per legge obbliga i bambini a cantare “siam pronti alla morte”, no.
E’ l’italia stessa che è sbagliata, chiunque la governi. L’italia è stata voluta dalla massoneria contro la Chiesa.
Tutto ciò di cui possiamo vantarci ha ben più di 150 anni. Ci sono vie e piazze intitolate a cadorna, cialdini, bixio ed altri massacratori. E’ una vergogna che di fronte al Duomo di Milano ci sia la statua di Vittorio Emanuele secondo (primo re d’italia); meno male che almeno i piccioni fanno il loro dovere. Quelli che hanno difeso la loro patria contro l’invasore sono stati chiamati briganti. Madre della patria per meriti speciali è una certa Contessa di Castiglione, mentre una donna che ha veramente amato il suo popolo è stata Maria Sofia di Baviera. Bava Beccaris per le stragi di Milano, Lamarmora per le stragi di Genova e Cialdini per la strage di Gaeta sono stati insigniti di grandi onorificenze.
Non sono veneto, ma comunque il 25 aprile io festeggio San Marco.
Spiacente, ma il panegirico al Risorgimento non ci piace. Vede, caro Di Stefano, un certo Ippolito Nievo inizia il suo romanzo “Le Confessioni” dicendo che era nato veneto e che sperava di morire italiano. Aspirava ad un’Italia (vedasi il suo opuscolo Venezia e la libertà d’Italia) ove Venezia con la sua tradizione di unico Stato italiano mai finito sotto il tallone straniero sino al 1799 ( al pari del nucleo centrale dello Stato Pontificio) divenisse modello della nuova Italia e si differenziasse dagli altri Stati per il recupero e la cooptazione delle masse popolari,nella fondazione del nuovo Stato (vedasi il suo opuscolo “Frammento sull’Unità Nazionale). Negli ultimi sei mesi della sua vita vide nascere uno Stato che era il contrario delle sue speranze per avere assorbito molti dei difetti che avevano portato alle divisioni antiche. Aveva visto con lungimiranza e morì in un naufragio che, molto probabilmente, fu posto in atto per eliminare lui e le compromettenti carte che custodiva e che dimostravano come fu fatta l’Italia. Una creazione voluta soprattutto per distruggere il Papato come Istituzione sovrannaturale più che come Stato. Il Veneto fu regalato all’Italia, tramite il terzo neutrale (la Francia di Napoleone III) come prezzo del suo intervento che aveva alleggerito il fronte austriaco contro la Prussia. Ma fu un regalo prussiano non una conquista manu militari. Le truppe italiane comandate dall’inventore dei campi di concentramento di soldati borbonici e pontifici, il fucilatore Cialdini, fu sonoramente sconfitto nell’infausta Custoza. L’annessione del Veneto non fu seguita immediatamente da leggi emanate per l’armonizzazione amministrativa delle nuove provincie al Regno. Queste continuarono ad essere amministrate secondo le leggi asburgiche prima vigenti e bisognò attendere sino al 1871 per l’integrazione che avvenne senza che alle scelte contribuissero le popolazioni locali. Furono scelte imposte dall’alto per decisioni e iniziative altrui. Il Veneto alla data dell’annessione aveva un assetto amministrativo incomparabilmente più avanzato rispetto a quello delle altre componenti del nuovo Regno d’Italia e la sua omologazione al resto del paese fu decisamente un passo indietro. Il Veneto sin dall’inizio si sentì diverso ed emarginato, tollerato. direi e questa diversità ebbe il suo più chiaro segno distintivo dall’aggettivo Bianco che fu coniato per la sua innegabile colorazione cattolica, obbediente come fu al non expedit della Santa Sede. Quella di essere un’isola bianca è stata una connotazione perdurata sino a qualche decina d’anni fa. Una connotazione che ha reso il Veneto e il Nord Est in generale una parte marginale ed emarginata dell’Italia. Un esempio? Il Veneto, nonostante sia divenuta la parte più dinamica ed avanzata dell’Italia, ancora non ha un’autostrada che la colleghi direttamente con la capitale, come non ha una ferrovia ad alta velocità che la unisca a Roma. Le tratte venete che non siano un collegamento con Milano sono tutte di efficienza e grado secondario: autostrada Verona- Bologna e Padova-Bologna sono a due corsie come lo sono tuttora le autostrade dirette in Austria e verso il confine slavo. La progettata autostrada Romea che doveva collegare Venezia con Roma lungo la Valle del Tevere inizia soltanto a Cesena proseguendo verso Sud ma con un tracciato così tortuoso e malandato che è sempre soggetto a interruzioni e rifacimenti. L’antico splendore di quella parte d’Italia che fu l’ultima scintilla dell’Impero Romano da Aquileia a Ravenna è ora un territorio ove strade e ferrovie sono ancora ferme a livelli da anni sessanta dello scorso secolo. In compenso la tassazione e le vessazioni del Fisco italiano sono le più feroci e le più odiose, come hanno dimostrato il recente caso di Cortina d’Ampezzo e i numerosi suicidi di imprenditori collassati per il peso fiscale. Potrei continuare a lungo ma, forse, predicherei al vento. Il Veneto è stanco di promesse mai mantenute e di speranze sempre deluse. Per rendersene conto occorre viverci e operare nel territorio con un’attività che non sia una comoda sinecura di un impiego pubblico.
L’Unità d’Italia è stata fatta con i tradimenti ben pagati dei generali e dei politici borbonici che permisero agli ignari garibaldini, con l’aiuto della mafia, di “sbaragliare” i ben armati e ben organizzati eserciti borbonici, mentre l’esercito sabaudo scendeva da nord, sbaragliava i pontifici a Castelfidardo, per andare a cannoneggiare i civili di Gaeta e a massacrare le popolazioni civili del Meridione con la scusa del brigantaggio…
Dovremo riscrivere la Storia delle popolazioni italiche,.. Fin da Carlomagno, nato, vissuto, morto e sepolto ad Aquisgrana, che non era ad Aachen, ma nella valle del Chienti, nel maceratese, nelle Marche, in quella che è oggi l’abazia di San Claudio e che era stata la Cappella Palatina fatta costruire da Carlo Magno.
Noi marchigiani siamo – grattando sotto la crosta – ancora cittadini dello Stato Pontificio. Una nazione come quella italiana è troppo recente per poter durare a lungo, dopo la parentesi di Casa Savoia, finita miseramente con la fuga del Re e di Badoglio, che ci ha lasciato senza più una guida in balìa dei tedeschi.
Nello sfascio generale le varie popolazioni si aggrappano alle loro tradizioni. Con una “democrazia” fasulla, preda di politicanti, di inetti e di ladri. Guardate la Russia, dopo l’era Sovietica, ha ritrovato il senso sopito della grande madre Russia nella chiesa ortodossa. La soluzione, ovviamente, non è di ritornare alla frantumazione nei vecchi Stati, ma di tenere conto delle aspirazioni di identità delle popolazioni in una visione federale. Se non funziona uno Stato nazionale italiano, come può funzionare una unità di Stati in una Europa, ove le popolazioni contano poco, ma dove conta l’alta finanza e il grande capitale e i potentati internazionali della Trilaterale e del Gruppo Bilderberg, e le logge oscure tipo “Skull and Bones” del vicepresidente Kerry?
ALLA FINE SI PUO’ CERCARE UN DEGNO SUCCESSORE DI ALBERTO TEDESCO, QUELLO CHE TRASFORMO’ L’ITALIA IN UN BORDELLO – IN GERMANIA E NELLA COMUNITA’ EUUROPEA NON MANCANO FIGURE POLITICHE DEGNE DI ASSUMERE LA CUSTODIA O DI GESTIRE LA CASSA DI UN BORDELLO – IL POTERE CENTRALE E’ UNA MACCHINA MANGIA SOLDI – E’ DUNQUE LECITO TENTARNE UNA RADICALE RIFORMA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – FRANTUMARE L’ITALIA NON HA SENSO TUTTAVIA – UN AUTENTICO TRADIZIONALISTA, FRANCISCO ELIAS DE TEJADA, AFFERMAVA CHE IL RISORGIMENTO FU UNA GRANDE IMPRESA – CI FURONO OMBRE, NESSUNO LO NEGA, ERA ED E’ DESIDERABILE UN’UNITA’ SENZA CONTRIBUTI MASSONICI – MA PRIMA DELL’UNITA’ L’ITALIA ERA UNA ESPRESSIONE GEOGRAFICA – MA IL VENETO CHE ESPRIME GALAN… VIA UN POCO DI SENSO DELLA REALTA’ NON GUASTEREBBE…
Sì, l’unità d’Italia è stata fatta/imposta contro ‘le popolazioni’ italiche per volontà massonica. Infatti per imporre il nuovo ‘verbo’ dell’Unità era necessario sradicare il più possibile dai cuori e nei segni ‘il Verbo’ predicato dalla Chiesa, che insegna dogmaticamente un’altra ‘unità’, quella che si attua nella Verità rivelata. Le varie insorgenze non erano dovute all’amor di Patria o ad un sentimento di unità Nazionale come la intendiamo noi oggi. Era ‘semplicemente’ amore del loro territorio particolare e delle loro tradizioni culturali/religiose in cui erano vissute da tempo immemorabile. L’elemento che accomunava le diverse popolazioni era la fede cattolica e i suoi inconfondibili riti sacri. La lingua italiana era conosciuta da pochissimi e quasi tutti parlavano i dialetti (cioè le lingue locali) che erano tra molto diversi, segno di profonda disomogeneità tra le varie aree, soprattutto tra nord e sud della penisola. Anche oggi la ‘mentalità’ continua ad essere profondamente diversa tra queste due aree… A me pare che a volte si voglia forzare troppo la sovrapposizione dello Stato italiano con la Nazione-Patria fino a dare l’impressione (o a dare per scontato) che le due realtà si ‘fondano’ in un tutt’uno. In ogni caso l’unità dello Stato non è un dogma e l’autodeterminazione di ciascun popolo – unito non solo dalla medesima religione ma anche dalla stessa cultura, lingua e storia – è e rimane un diritto sacrosanto di ciascun popolo, soprattutto quando questo ‘distacco’ lo si vorrebbe fare pacificamente. Crimea docet.
Ci sono molti punti discutibili. Mi limiterò all’ultimo: Virgilio, Catullo e gli altri sarebbero in qualche modo Italiani.
1) E che dire allora degli ispanici Seneca (padre e figlio), Lucano, Quintiliano, Marziale, S. Isidoro? Dei Galli Eutropio, Ausonio, Rutilio Namaziano, Sidonio Apollinare, Gregorio di Tours? Degli Africani Terenzio, Frontone, S. Cipriano, Nemesiano, S. Agostino, Prisciano? Annettiamo anche Spagna, Francia ed Africa settentrionale per il loro contributo alla letteratura latina? Come se poi la letteratura latina fosse cosa italiana; ma in realtà Virgilio non fu Italiano come Seneca non fu Spagnolo: entrambi furono Romani, e semplicemente nei luoghi in cui nacquero secoli dopo si formarono rispettivamente l’odierna Italia e l’odierna Spagna.
2) E che dire poi degli autori nati in Italia ma stranieri per i Romani? Livio Andronico, Greco di Taranto, ottenne la cittadinanza romana con l’affrancamento; a Ennio, Osco delle parti di Lecce, a lungo non la vollero dare; Plauto, Umbro dell’attuale Romagna, forse non l’ebbe mai. Anche in questo caso “territorio italiano” non corrisponde a “romanità”, e tanto meno vale l’equivalenza tra “romanità” e “italianità”.
Quindi che c’entra Catullo con l’unità d’Italia?
la nostalgia dell’Italia pre-unitaria strozza la cultura della destra cattolica e la chiude nel serraglio dei sogni impossibili – il sogno Veneto contempla una regione italiana sottomessa alla matrigna Europa (l’europa della callipigia) e all’occasione governata dal gaulaiter Galan – che cosa c’è di affascinante in questa “soluzione”? Galan? Quanto al riferimento alla Crimea (regione russa, che rientra nei confini della patria) non si vede la somiglianza con il progetto scissionista dei veneti. Intendiamoci: il disprezzo dei Savoia e dei loro complici mazziniani e garibaldini è legittimo – Sono passati 150 anni, e all’orizzonte si affacciano nuovi e diversi problemi. La rivolta contro l’unità d’Italia è anacronistica. Nei primi anni Cinquanta la buona destra manifestava insieme con i cattolici per Triste italiana., Adesso si doverebbe gongolare per i veneti scissionisti? Perché? Mah…diceva l’ing. Giovanni Volpe…
gli attuali problermi morali ed economici degli italiani dipendoino dall’incapacità dei nostri governanti di resistere ai comandamenti devastanti lanciati dai mollicci (in genovese debolucci, contratto in bulicci) burocrati europei – i burocrati europei sono vigliacchett/paurosettii pervertiti ai quali si dovrebbero mostrare i pugni chiusi con biglie di ferro all’interno, quando pretendono che l’Italia raccolga la spazzatura in uscita delle loro menti malate e fetide –
il braccio levato dall’ombrellaio sarebbe un bel gesto, tanto per cominciare – ma i nostri politici amano il lupanare detto comunità europea e sono pronti a subire qualunque oltraggio per conservare la seggiolina nel postribolo – che pena!
Si i politici di oggi tali e quali ai farabuttelli massoni che “portarono la liberta’ ” sulla punta delle baionette distruggendo gli stati preunitari
Mi sorprende leggere un simile articolo su Riscossa Cristiana. Non si tratta di “ideologia” ma di storia. L’Italia è stata unita da una banda di massoni contro la Chiesa e per distruggere la Chiesa.
Qualcuno ha già detto di leggersi Angela Pellicciari. Consiglio anche i tre volumi editi da Ares di don Margotti. Quanto al Veneto è un problema complesso ma indice di un malessere che è innegabile.
Bell’articolo. Concordo pienamente con Lino De Stefano. Il risentimento attuale dei veneti e di altre componenti del popolo italiano avra’ pure le sue ragioni (fiscalita’ eccessiva, inefficienza dello Stato) ma la secessione non e’ certamente la risposta. Per andare dove, si chiede giustamente Di Stefano. Il “referendum” (ma si poteva votare anche sotto pseudonimo?) ha anche detto si’ all’EU, all’Euro, alla NATO. Passi per la NATO, data la nostra e veneta debolezza militare, ma il si’ all’ EU e all’Euro? Questi due si’ dimostrano due cose, a mio avviso: a. la maggioranza dei votanti era motivata soprattutto da ragioni economiche, indifferente evidentemente alla corruzione dei costumi (leggi Rivoluzione Sessuale) che devasta l’EU, imposta in tutti i modi proprio da Bruxelles a tutti gli Stati. b. i “secessionisti” sono convinti che uno Stato veneto, libero finalmente dai debiti e dalla opprimente fiscalita’ italiana, verrebbe accolto a braccia aperte in Europa. Non bisogna credere che i banchieri e i politici dei tanto vilipesi poteri forti, delle Potenze insomma, siano degli sprovveduti. Per prima cosa chiederebbero ai veneti quanta parte del debito pubblico italiano sarebbero disposti ad accollarsi, per essere ammessi all’EU. Offrirebbero subito un prestito assieme al FMI a tassi convenienti per pagarlo a rate, si capisce. Cosi’ i veneti “secessionati” si troverebbero un doppio basto sul groppone. Sembra assurdo questo mio argomento? Io non sono un tecnico, cerco di ragionare in base al buon senso. Chiedete ad un banchiere esperto e vediamo che cosa rispondera’. Tutto cio’ detto, aggiungo che non capisco il si’ all’Europa da parte dei tradizionalisti cattolici veneti, che, assieme ai tradizionalisti del resto d’Italia, sono gli unici a contrastare in qualche modo l’avanzata sinistra della Rivoluzione Sessuale nelle istituzioni, a cominciare dalla scuola (avanzata che nel nostro paese, per fortuna, e’ stata piu’ lenta che in altri, ma ormai siamo alla frutta). E non e’ forse Bruxelles ad incoraggiare l’immigrazione di massa, clandestina. Dov’e’ qui la coerenza, nel voler portare il supposto Veneto indipendente all’abbraccio mortale con l’Europa attuale? Forse sperano che si trasformi per magia in una riedizione del Sacro Romano Impero? (Sul quale Sacro Romano Impero, a mio avviso, ci sarebbe comunque da fare un giorno un discorso critico anche nell’ambito del Tradizionalismo cattolico). Ma procediamo con ordine.
Nota giustamente Di Stefano che anche in passato si riscontravano (occasionali) atteggiamenti di fastidio dei veneti nei confronti dei “foresti”. Si trattava tuttavia piu’ di un atteggiamento che di convinzioni profonde. Ora sono maturate opinioni e convinzioni secessioniste in Italia, e’ inutile negarlo. L’idea di unita’ non e’ venuta meno pero’ mostra la corda. I processi storici sono complessi, non bisognerebbe mai generalizzare si’ da fabbricare miti da usare come etichette che tutto spiegano e a tutto si applicano. Mi limito ad elencare due tra le principali cause del logoramento dell’idea di unita’ della patria: i. Il regionalismo istituzionale introdotto dalla nostra Costituzione, aggravato dalla funesta riforma del Titolo V. ii. L’emergere dell’Unione Europea, che sta consumando non solo lo Stato-nazione ma anche le societa’, le nazioni stesse, i popoli europei perche’ da un lato promuove la corruzione dei costumi che sappiamo con la conseguente denatalita’, dall’altro incoraggia l’immigrazione di massa dai quattro angoli del globo. L’esistenza dell’EU tra l’altro illude alcuni sulla possibilita’ dell’esistenza di una “Europa delle regioni” dal futuro radioso, specialmente economico. Credo che le “regioni” o “staterelli regionali” staccatisi in futuro dalla madrepatria diventerebbero di fatto provincie o colonie degli Stati piu’ forti (leggi sopratutto Germania, se esistera’ ancora nei termini storicamente noti perche’ la denatalita’ tedesca e’ molto alta, la societa’ si sta islamizzando e turanizzando, se cosi’ posso dire: una Germania “turca” e’ una prospettiva altamente inquietante e nient’affatto remota). Sulle altre cause del logoramento dell’idea di Patria unitaria per ora non entro.
I problemi sollevati da coloro che sono polemicamente contrari all’articolo di Di Stefano meritano un’ampia discussione, che spero venga fatta anche se dolorosa. Si’, dolorosa, Siamo tutti cattolici, crediamo nella stessa morale, nello stesso vero Dio, Uno e Trino, ci battiamo nel nostro piccolo affinche’ Cristo Re, come si suol dire, torni a regnare nella societa’ e non solo in Italia. Tuttavia, e’ inutile negarlo, ci divide la questione dell’unita’ d’Italia. Questione non meramente storiografica ma attuale e di estrema importanza e gravita’, che coinvolge anche il futuro della liberta’ della Chiesa. Enuncio pertanto in proposito alcune t e s i , in un elenco incompleto, da intendersi non come dogmi (ovviamente) ma come argomenti sui quali confrontarsi, anche aspramente, all’insegna della ricerca della “aspra verita’”. Allora:
P r i m a t e s i : la possibile nascita di una destra cattolica all’altezza dei gravi problemi posti dall’ora presente, e’ impedita dalla divisione tra unitari ed antiunitari, tra chi crede nella legittimita’ storica e morale dell’esistenza di una nazione e di uno Stato italiani (a prescindere dagli errori ed ingiustizie commessi durante il Risorgimento) e chi invece nega nel modo piu’ assoluto questa legittimita’ perche’ contrario all’idea stessa di Italia, intesa come patria italiana, patria comune, che non puo’ sussistere senza uno Stato unitario. Gli antiunitari cattolici neopapalini, neolegittimisti ed ultramontani attuali mostrano nei confronti dell’idea stessa di Italia e patria italiana un’avversione di fatto simile a quella di tanta parte dell’antifascismo di infausta memoria, in particolare di quello comunista e della sinistra radicale in generale (pur partendo gli antiunitari cattolici da premesse ideologiche del tutto diverse, si capisce). Per gli antiunitari la patria, alla maniera di un Monaldo Leopardi, e’ “il natio borgo selvaggio”, li’ nasce e li’ resta; borgo per la cui difesa occorre ricostituire una nuova forma di Sacro Romano Impero (per la cui difesa bastano gli Stranieri). Gli antiunitari attuali ripropongono l’antico ed esiziale particolarismo italiano, che tanto male ci ha fatto nei secoli.
S e c o n d a t e s i : Non e’ vero che non sia mai esistita una nazione italiana unitaria. La crearono i romani, riuscendo ad unificare il paese, riuscendo dove altri erano falliti (greci della Magnagrecia, italici, etruschi). Ricordo di sfuggita che i veneti furono sempre alleati dei romani, che li difendevano dai galli. L’unificazione dell’Italia romana duro’ diversi secoli e per diversi secoli si mantenne, entro l’impero romano. Non si trattava di un’unificazione solo militare ed amministrativa. La classe dirigente “romana” divento’ ad un certo punto italiana. Il numero dei romani in senso proprio ando’ diminuendo mentre vi partecipavano etruschi, veneti, greci della magnagrecia, umbri, sanniti, liguri. Ci fu un’integrazione amministrativa e militare. Nel tessuto nazionale italiano furono poi inclusi anche i celti (i galli della pianura padana) dapprima fieri nemici (di tutti gli altri popoli della penisola). Cesare comincio’ ad arruolarli nelle legioni. Nelle vicende del tardo impero l’Italia subi’ diverse e gravi vicissitudini. Ma le invasioni barbariche, dopo 50- 60 anni di crisi, furono assorbite. Con Teodorico re d’Italia l’Italia era ancora ben unita. Il sostrato principale era italico-celtico (italico-gallico), al quale si era aggiunto l’elemento germanico. L’evoluzione nostra sarebbe stata quella di una monarchia romano-barbarica (cosiddetta), uno Stato unitario, allo stesso modo della Gallia e della Spagna governate da Goti e Franchi. Per somma disgrazia cio’ non avvenne, per colpa di Giustiniano imperatore d’Oriente, che tento’ di riconquistare tutto l’Occidente senza averne le forze. La terribile guerra gotica (535-553) distrusse i goti e rovino’ completamente l’Italia, scaduta a provincia bizantina di periferia e poco dopo (568) invasa dai Longobardi, che la trovarono in gran parte devastata e deserta. La divisione in Italia gotica e bizantina si perpetuo’ in Italia longobarda e bizantina e l’unita’ si realizzo’ solo dopo molti secoli. Ho voluto ricordare questi trascorsi storici, per contrastare la tesi dell’inesistenza totale di una nazione italiana unita prima dell’Unita’. Per non esser troppo lungo, altre tesi mi limito ad enunciarle, sperando in un’articolata discussione futura.
T e r z a t e s i : considerare il Risorgimento e l’unita’ d’Italia nient’altro che a un complotto massonico ben riuscito e’ tesi riduttiva, che si traduce facilmente in uno stereotipo. Non c’era un complotto massonico europeo per realizzare la nostra unita’: non c’era perche’ le Potenze, nelle cui classi dirigenti numerosi erano i massoni “legalitari”, non volevano affatto l’unita’ d’Italia, contraria ai loro interessi. I massoni parteciparono al Risorgimento soprattutto a titolo personale, la massoneria, come organizzazione, era stata distrutta durante la Restaurazione. Garibaldi si fece infatti iniziare in SudAmerica. I massoni si concentrarono soprattutto nel movimento garibaldino. Non c’e’ prova dell’affiliazione di Cavour e di Mazzini, che si servirono entrambi dei massoni per i loro fini. La massoneria si ricostui’ dopo il 1870 millantando grandi meriti e acquistando potere grazie anche all’assenza dei cattolici dalla politica, durata troppo a lungo.
Q u a r t a t e s i : Alla base del Risorgimento c’era un’istanza etica di rinnovamento e di riscatto morale per l’asservimento degli italiani, per le innumerevoli umiliazioni subite, per ristabilire l’onore nazionale, per liberare il popolo dal disprezzo e dalla taccia di vile che lo perseguitavano sin dalle sciagurate Guerre d’Italia (1498-1559), quelle che impedirono un possibile sviluppo (con)federale degli Stati italiani del tempo, riducendoci in servitu. Quest’istanza etica, di un’etica patriottica e civile, fu fatta valere da poeti come Alfieri e la ritroviamo anche in Foscolo, in Manzoni. Gli antiunitari dovrebbero spiegare perche’ ignorano completamente quest’aspetto della questione, ossia del Risorgimento. Cos’era per gli stranieri la nostra nazione? “L’Italia era da secoli punto di convergenza dell’Europa, scuola, campo di battaglia, premio al vincitore, santuario, colonia di sfruttamento, terra di piacere e di riposo, demanio collettivo. Le genti si erano abituate a considerarla soggetta ad una specie di servitu’ internazionale, in omaggio ai superiori diritti dell’arte e della religione o della politia dei grandi Stati” (G. Volpe, L’Italia del Risorgimento, In Id., Italia in cammino, Volpe ed., Roma 1973, pp. 25-71; p. 48). Era la “terra dei morti”, come scrisse nell’Ottocento Lamartine, il poeta francese. Mentre Leopardi Giacomo, annotava: “Essi dunque passeggiano, vanno agli spettacoli e divertimenti, alla messa e alla predica, alle feste sacre e profane. Ecco tutta la vita e le occupazioni di tutte le classi non bisognose in Italia”(nel ‘Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani, 1824).
Q u i n t a t e s i : trasformare in blocco i briganti dell’Italia meridionale in eroici guerriglieri per la Patria e per il Re mi sembra un notevole travisamento dei fatti. Il brigantaggio era da secoli endemico negli Stati del Papa e nel Regno, come la malaria. Cominciava dalla Romagna e finiva ad Aspromonte, Quando il Regno veniva invaso l’esercito regolare in genere si sfasciava e poco dopo cominciava la rivolta popolare a sostegno del re, rivolta che degenerava rapidamente in brigantaggio, in banditismo. Negli eserciti spagnoli, napoleonici e anche nel Regio Esercito, i meridionali combatterono benissimo. In quello del Regno, invece, solo raramente. Come mai? Andava cosi’ ben prima della comparsa della massoneria sulla scena. Dipendeva, come sosteneva Croce, dalla scarsa coesione tra re ed aristocrazia, scarsa coesione risalente sin al tempo dei ducati longobardi dell’Italia meridionale? La repressione “piemontese” fu spietata ma non differiva molto dai metodi ugualmente spietati impiegati dalla gendarmeria pontificia, da quella borbonica (le teste dei briganti giustiziati poste in gabbie di ferro appese all’ingresso dei ponti, a rincuorare i viaggiatori) o dai vicere’ spagnoli. Bisogna pur ammettere,per obiettivita’ storica, che la ferocia dei “briganti” era notevole e alle volte addirittura bestiale. Cio’ provocava rappresaglie spietate e crudeli.
Mi fermo qui. Mi sembra ci siano sufficienti argomenti per una discussione approfondita. Ringrazio il direttore e il vicedirettore del sito per l’accoglienza ed il pubblico per l’attenzione.
Grazie Sig.Pasqualucci per la sua ulteriore conferma.La questione della Patria sarà la pietra d’inciampo per veri tradizionalisti e finti tali.Avevo scritto una risposta alle critiche a questo bell’articolo, purtroppo non è stata pubblicata.
Sono totalmente d’accordo con Pucci Cipriani. Sono toscano anch’io e vivo da circa 40 anni in Veneto, e ho modo tutti i giorni di constatare quante bugie dicono in TV sui veneti, che invece sono un’ottima e grande popolazione, una versa civiltà. Sull’unità d’ Italia, poi, hanno costruito un castello di menzogne, che ci hanoo propinato fin da piccoli. Per fortuna che si sono levate voci coraggiose e sincere, come Angea Pellicciari, Massimo Viglione, Elena Bianchini Braglia (ottimo il suo libro Risorgimento: le radici della vergogna) ed altri che hanno scoperchiato il vaso di Pandora fatto di 150 anni di menzogne e f falsità. In realtà l’unificazione d’Italia è stata opera di massoni, anticattolici, ambiziosi Savoia, con misure dittatoriali e violente. E’ ora che si sappia la verità. Per il Veneto, poi, ha molto più diritto all’autodeterminazione di quanta ne abbiano Scozia e Catalogna, che entro breve voteranno per l’indipendenza. Chi può vantare una storia millenaria di civiltà e liberta? Altro che i Savoia. Auguri ai Veneti, quindi.
A distanza di 150 anni l’argomento Unità d’Italia è controverso, divide più che unire. L’unità realizzata attraverso i più diversi e complessi problemi della realtà italiana d’allora non trova voce unanime e questo perchè per dirla come il Croce ogni storia è storia contemporanea: per remoti o remotissimi che sembrano cronologicamente i fatti che vi entrino, la storia è storia sempre riferita al bisogno e alla situazione presente. ” La storia non deve emettere giudizi morali, la storia è giustificatrice”. Non si coglie il senso del Risorgimento se non si ha la consapevolezza di una lunga decadenza italiana da superare: la fragilità del suo tessuto nazionale, specie per la carenza di una elites in grado di intrecciare una crescita civile dell’Italia, divenuta costante preda di altri. Il confronto con l’Europa moderna, incoraggia verso questa direzione, con la forza irresistibile della necessità di assumere coscienza nazionale senza la quale non v’è che suddidanza verso le forti nazioni vicine e meno vicine e quindi l’impossibilità sia di competere sia di collaborare con esse in pari dignità. Questa coscienza è ragionevolezza e analisi delle condizioni, fredda riflessione, ponderazione di mezzi e fini, di costi e benefici. L’Italia avverte la necessità del mutamento: insurrezioni, cospirazioni, rivolte sono collegate ad analoghe vicende in paesi stranieri. L’Italia giunge al 1848 in maniera non univoca in tutte le sue aree territoriali ma con lo sviluppo di una borghesia non soltanto come dato economico anche come elemento culturale. Per secoli l’Italia è stata luogo deputato della borghesia cittadina, prodotto di identificazione con il municipalismo,il regionalismo e il particolarismo, laddove la realtà di altri paesi è diversa perchè l’emergenza dello spirito nazionale e dello Stato nazionale ha aperto spazi di opportunità non più solo privata anche pubblica. Il popolo che si sintonizza con lo spirito nazionale è in larga parte borghese dove l’elemento particolaristico dell’esclusivo profitto economico tende a conciliarsi con la moralità civica e impegno intellettuale. Negli stati presenti in Italia non sono mancate le riforme amministrative volte a migliorare i rapporti tra le burocrazie e i sudditi/cittadini nonchè a porre premesse per la crescita materiale e anche culturale delle popolazioni ma è ora di passare alle riforme politico-istituzionali e la borghesia italiana non è forte come quella straniera ( francese) e da sola non può pensare di realizzare l’unità e l’indipendenza. Ecco la “giustificazione” dell’azione del Cavour, dei Savoia…La lunga realtà del popolo italiano mostra che esso non può aspirare a tanto per cui il Risorgimento è l’espressione dell’unità della nazione capace di elevare un popolo diviso politicamente e istituzionalmente a dignità di nazione, accorciando le distanze che tanto lo hanno separato dalle altre nazioni. La tradizione risorgimentale è dunque la tradizione di modernità, mentre la tradizione dell’eccesso regionalistico e localistico è la tradizione della vecchiezza. Se oggi non ci sono più le condizioni ( economiche più che ideali) per rendere valida tale “giustificazione” ne prenderemo atto purchè non si regredisca nel concetto di libertà, dignità e democrazia.
L’Unità d’Italia non si discute!!! Si elimina e basta!
Duecento anni!
Anche al tempo della Restaurazione che, paradossalmente, ha covato i semi dei moti insurrezionali del Risorgimento, l’idea dell’Italia come unico organismo stautuale era carica di contrasti sia ideali che di ordine politico/pratico.
La rivoluzione Italiana, come venne definita all’estero, come tutte le rivoluzioni, fu opera non del popolo, ma di gruppi di potere spesso molto vicini ai reggitori della cosa pubblica.
Basti pensare a cosa si agitava nel Ducato di Modena, dove Ciro Menotti ‘Gran Dragone dei Sublimi Cavalieri Perfetti’, setta massonica che più massonica non si può, cercava di sedurre il Duca solleticandolo a mettersi a capo della ‘riscossa italiana’. Il Duca, solleticato. pareva che ammiccasse, ma quando le cose volsero al peggio, il Menotti fu impiccato e i suoi complici dovettero riparare all’estero in attesa di tempi; per loro; migliori.
Il Regno di Sardegna, con l’avvento del debole ed ambizioso Carlo Alberto Savoia / Carignano, malvisto e tenuto, ma non a sufficientemente in sospetto dal suo predecessore, Re Carlo Felice, sedotto dalle mene dell’intrigante massone Conte Camillo Benso di Cavour, si lasciò trascinare in quella guerra contro l’Austria che lo vide soccombere militarmente, fuggire verso l’esilio, scampando per un soffio al rischio di essere fatto prigioniero dal trionfante esercito imperiale.
L’azione conngiunta, delle potenze anti austriache e anti russe del tempo, Inghilterra e Francia, coinvolte dall’inesausto Cavour, nell’azione anti cattolica svolta in tutta la Penisola dalle logge massoniche, creò il clima opportuno per la guerra del 1859 e per la successiva, militarmente disastrosa, del 1866, guerra che determinò, tramite la Francia e il nuovissimo Impero Prussiano di Guglielmo I, l’annessione del Veneto al neonato Regno d’Italia.
E gli italiani?
La maggioranza degli italiani stava a vedere con ansia, preoccupatissimi per i disordini che si stavano diffondendo in gran parte della Penisola, pilotati dal ‘frame’ che, anche allora subdolamanete preparava il cambiamento di mentalità e fomentava il clima anti religioso diffuso dalle logge, con lo scopo di alienare dalla fedeltà alla Chiesa come Stato, e non meno dalla Chiesa come Fede.
Le generazioni nate dopo il 1859, con la coscrizione militare, divenuta nel nuovo Stato obbligatoria, pena in caso di renitenza, al giudizio, con conseguenze penali, sotto i temutissimi tribunali militari, furono forgiate dalla retorica risorgimentale, durante gli anni della ‘ferma’ e nelle scuole, dove gli autori proposti e imposti erano soprattutto frammassoni, ad iniziare dal conte Vittorio Alfieri e via via dal Foscolo, Carducci, Pascoli, il libertino Gabriele d’Annunzio Salvatore Quasimodo e inquadrati da quella Storia della Letteratura Italiana che scritta dal ‘fratello’ de’ Sanctis, formò/deformò le teste pensanti di sette / otto generazioni di discenti.
Il Cardinal Gicaomo Biffi, ricorda quanto rimase rimase colpito, quando, negli anni del seminario si imbatté in un giudizio espresso da Soloviev su Cavour, che egli giudicava il più sagace politico europeo dell’ ‘800, per una frase altamente significativa: “Egli, dice il filosofo russo, riuscì a fare dell’italia, da una Grande Nazione, un regno di second’ordine”. (vedi: Memorie di un Italiano Cardinale).
L’Italia per cento e più anni fu percorsa da un fremito di ardente, sincero entusiasmo per ‘la Patria Italiana’, intesa come un assoluto. Mio nonno, mio padre, ed io stesso ne fummo convinti, coinvoliti, travolti.
Ora approfondendo la genesi di questa Italia Unitaria, debbo, non senza dolore, riconoscere molte delle ragioni dei detrattori di quella serie di eventi che portò all’Unità, ed i perchè ed i come tutto si realizzò, sono indotto, per onestà, a ridimensionare dolorosamente i miti che avevano suscitato tante emozioni, tanti entusiami e sì pure tanti fulgenti eroismi.
Non auspico lo spezzettamento del Bel Paese, che oggi pare entusiasmare tanti, come risulta dalla larga maggioranza delle risposte all’articolo, scaturigine delle repliche apparse su questo sito.
Penso, bensì, ad uno Stato Confederale, che senza disperdere il tesoro intellettuale che pure si é generato in questi ultimi duecento anni, depuri ciò che di falso ha accompagnato, distorcendola, la società italiana.
Uno Stato Confederale che non rinneghi l’appartenenza a questo splendido Paese e che tenga conto delle differenze culturali e sociali delle plaghe antropiche che lo compongono e che formano una delle grandi ricchezze di questa che é, tutt’ora una Grande, Splendida, Nazione.
Normanno
Il problema è che gli italiani non conoscono la storia dei veneti. La Serenissima Repubblica ha governato le terre del nord-est per 1.100 anni (697-1797). In questo lungo tempo Venezia divenne lo stato più ricco e liberale d’Europa. Dopo l’annessione truffa al regno sabaudo le terre della repubblica veneta conobbero un decadimento economico e sociale senza pari: dal 1866 a 1914 metà popolazione del Veneto emigrò all’estero per non morire di fame, causa le enormi gabelle imposte dai Savoia. Ora si sta ripetendo la stessa cosa: i veneti primi ad emigrare perché costretti a pagare tasse assurde definite di solidarietà ma che di solidale hanno ben poco: 21 miliardi di euro dati a Roma senza ritorno, gestiti nel modo parassitario che tutti conosciamo. Pertanto gli italiani non devono stupirsi se ora i veneti vogliono tornare a governarsi. Tutti noi non accettiamo oltre questa situazione, pensiamo al futuro dei nostri figli, delle nostre famiglie che questa Italia non ci offre. Ebbene i veneti si sono risvegliati dal torpore in cui erano caduti, senza però mai dimenticare le proprie origini, la propria storia. I 147 anni di occupazione italiana appaiono una parentesi se confrontati a più di mille anni di governo della Serenissima. Desideriamo solo che le nostre terre ritornino ad essere come un tempo, come Francesco Petrarca, in una lettera inviata ad un suo amico di Bologna nell’agosto del 1321, così descriveva la Serenissima Repubblica di Venezia:
« […] quale Città unico albergo ai giorni nostri di libertà, di giustizia, di pace, unico rifugio dei buoni e solo porto a cui, sbattute per ogni dove dalla tirannia e dalla guerra, possono riparare a salvezza le navi degli uomini che cercano di condurre tranquilla la vita: Città ricca d’oro ma più di nominanza, potente di forze ma più di virtù, sopra saldi marmi fondata ma sopra più solide basi di civile concordia ferma ed immobile e, meglio che dal mare ond’è cinta, dalla prudente sapienza de’ figli suoi munita e fatta sicura »
Da precisare che noi amiamo gli italiani e siamo da sempre stati ospitali e disponibili ad accogliere le genti di tutto il mondo. Non mescoliamo gli atteggiamenti della “Lega” con lo spirito dei veneti: sono assolutamente un’altra cosa.
Dear Mister Nickjob, io, come italiano forse non conosco bene la storia “dei veneti”, ma lei e’ sicuro di conoscerla bene? Lei presenta questa storia come sempre florida e splendida sino al 1797. Gloriosa fu si’ questa storia ma, come altre storie, fini’ anch’essa nella decadenza e nello squallore. Cosa mi dice infatti della lunga decadenza veneziana, provocata dall’avanzata turca, dalla scoperta delle rotte oceaniche e da altri fattori, anche interni? Nel Settecento la Serenissima era diventata uno Stato imbelle, impoverito, ancora ben amministrato all’interno, ma disarmato, che sopravviveva malamente con il lotto , le gabelle, il carnevale che durava mesi per ricavarne qualche soldo all’erario. Nella prima meta’ del Settecento, durante le numerose campagne militari che le maesta’ imperiali, cattoliche e cristianissime combatterono come da tradizione in Italia per rinnovarne le spartizioni tra di loro, la neutralita’ veneziana fu impunemente violata piu’ volte con gravi sofferenze per le popolazoni, come si puo’ immaginare. La Serenissima Repubblica e lo Stato del Papa, i due piu’ antichi Stati italiani, erano all’epoca due fantasmi di Stati, questa e’ la verita’. Non contavano assolutamente nulla, non avevano una lira e non erano in grado di difendere le loro popolazioni. Venezia era diventata l’ombra di se stessa: era famosa per il gioco d’azzardo e le sue cortigiane, il suo personaggio piu’ celebre a quell’epoca e’ un Casanova, l’avventuriero cosmopolita, spia e libertino incallito. Certo, si mantiene ancora (per fortuna) una grande tradizione culturale, abbiamo un Vivaldi; ancora una grande pittura, Goldoni (un autore minore, comunque). Ippolito Nievo, un grande scrittore, inviso agli antiunitari per partito preso, descrive bene, nella prima parte del suo famoso romanzo, il clima di senescenza e decadenza della societa’ veneta di quel tempo, sino al tracollo di fronte al Bonaparte, senza neanche tentare di combattere,almeno per la bandiera. E negli anni dello splendore, non bisogna dimenticare l’egoismo e il cinismo di cui a volte la dirigenza veneta ha dato prova, non diversamente del resto da altri governi cristiani. Siamo uomini, e le passioni, il desiderio di potere e di conquista ci fanno pur commettere dell e ingiustizie. Penso al brutto episodio della Quarta Crociata, che i veneziani, con la complicita’ di alcuni principi francesi, riuscirono a far deviare verso Costantinopoli, e che si concluse con la presa e il saccheggio di quest’ultima. Che il Veneto sia stato “occupato” dall’esercito italiano, come se si fosse trattato di un esercito che vi entrava da nemico, questo e’ un falso storico. I veneti non amavano gli austriaci, loro nemici ereditari e tradizionali da secoli, e l’avevano dimostrato ad abundantiam nel 1848. Nel 1866 erano contenti di unirsi all’Italia e l’hanno dimostrato nel 1915-1918, mi sembra. L’emigrazione di contadini poveri e impoveriti verso le Americhe tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento fu un fenomeno europeo non solo italiano. Anche dall’impero austroungarico ne partirono moltissimi verso le Americhe, da zone poverissime come ad esempio la Galizia. Diciamo pure che il resto d’Italia, me compreso ovviamente, e’ rimasto oltre che addolorato anche sconcertato dall’avversione per l’Italia e gli italiani che questo “referendum” sembra aver improvvisamente fatto venir fuori. Perche’ ci odiate tanto, al punto da volervi separare? Dove sono tutte queste offese che vi abbiamo fatto? L’inefficienza dello Stato, il fiscalismo oppressivo ci sono solo in Veneto? Nonostante tutte le lamentele, il Veneto resta ancora la regione d’Italia con il piu’ alto reddito o no? Visto che siamo tra cattolici, voglio chiudere ricordando Mt 12, 25: “Omnis civitas vel domus divisa contra se non stabit”. Cordiali saluti, PP
Prendo atto della iniziale precisazione di Mr. Paolo sulla sua scarsa conoscenza della storia dei veneti. Quanto alla domanda sulle mie conoscenze, non vorrei sembrare supponente. Ad ogni modo la mia famiglia veneziana e veneta già nel ‘600 intratteneva rapporti con i dogi (documenti scritti).
Il doge Paolo Renier prima di morire aveva previsto l’elezione di Manin, uomo ricco di molte terre e ville nella Venezia Giulia, già considerato di scarso carisma e nessuna propensione alle battaglie: un doge mite nel momento sbagliato, troppo legato ai possedimenti nella terraferma. Tra l’altro l’abdicazione avvenne senza la maggioranza del Maggior Consiglio.
Napoleone fu un despota sanguinario in tutta Europa. A Venezia rubò tutto l’oro possibile e immense ricchezze d’arte (ancora in Francia) ma la popolazione fu salva. E’ una “boutade” tutta italiana quella della decadenza di Venezia nel ‘700, un luogo comune assolutamente da sfatare.
Come riporta Wikipedia, “Nel XVIII secolo Venezia fu una delle città più raffinate d’Europa, con una forte influenza sull’arte, l’architettura e la letteratura del tempo. Il suo territorio comprendeva Veneto, Friuli, Istria, Dalmazia, Cattaro, parte della Lombardia e le isole Ionie. Ma dopo 1070 anni d’indipendenza, il 12 maggio 1797 la città si arrese a Napoleone Bonaparte. Il Doge Ludovico Manin fu costretto ad abdicare, il Maggior Consiglio venne sciolto e fu proclamato il Governo Provvisorio della Municipalità di Venezia.”
Da evidenziare, come sottolineato tra i tanti da Philippe Daverio in un recente intervento, la grave insufficienza nei libri di storia italiani (utilizzati anche nella scuola veneta) di documentazione sulla storia della Serenissima, lacuna inaccettabile, falso storico in tanti casi quando ad esempio si cita “l’italiano” Marco Polo (?). L’enerme errore compiuto da Cavour e dal re che non vollero seguire le indicazioni di Cattaneo nel creare un’Italia di Stati federati ha ora prodotto una repubblica ingestibile, con i tanti popoli che la compongono che desiderano separarsi (oltre ai Veneti, i Sardi, i Siciliani ecc…). Necessario un forte ripensamento dell’architettura istituzionale se desideriamo tenere uniti i tanti popoli italici. Mi pare però che Renzi dimostri tutt’altri sentimenti. Quanto ai Vescovi veneti meglio farebbero ad interessarsi delle anime, meno delle vicendi politiche. Cordialità
REPLICA DI PAOLO PASQUALUCCI : Caro Amico, quanto riportato su Wikipedia le sembra negare l’esistenza della decadenza di Venezia nel Settecento? Mi permetta di contribuire ad un ampliamento delle sue fonti. Il giovane Jean-Jacques Rousseau (comunque lo si voglia giudicare, certo non uno sprovveduto) fu segretario dell’Ambasciata francese a Venezia per diciotto mesi. A suo dire aveva imparato anche il dialetto veneziano. L’impressione che egli ci lascia (nel libro VII delle sue famose “Confessions”) dell’aspetto “gaio” della vita veneziana del tempo (1743-1744) e’ appunto quella che corrisponde all’immagine tradizionale: la societa’ veneziana era decadente, ormai era l’ombra di se stessa. Certo, decadenza ancora raffinata (in parte), ma sempre decadenza. Dopo le ultime gloriose imprese contro i Turchi, con il grande Morosini, Venezia era stata lasciata sola, alla merce’ dei Turchi. Era venuta la Pace di Passarowitz (1718), che aveva sanzionato il ridimensionamento e dato inizio formalmente al declino. “Come potenza marinara e commerciale non esisteva piu’. Ma gia’ da molto tempo essa aveva cessato di sostenere un ruolo importante in Europa. Ormai appariva come una strana sopravvivenza del passato, sontuosa e misera, sperperatrice e improduttiva, abitata da un popolo avido di piaceri, governata da una casta chiusa, arrogante e ancora ricca che impediva l’accesso alle cariche pubbliche non soltanto al popolo, ma anche ai nobili in rovina e che,infatuata delle antiche glorie, divideva il suo tempo tra il gioco, la musica, il teatro, le mascherate, gli amori […] Sfiancata da tutti gli anni di guerra sopportati, era pronta ad ogni vilta’ pur di restare in pace; non aveva perduto per nulla il suo orgoglio, ma era assolutamente priva di coraggio. Si potrebbe dire che con Francesco Morosini avesse dato l’addio all’eroismo e alla dignita’” (Auguste Bailly, “La Serenissima Repubblica di Venezia”, tr. it. di R. Liguori, 1968, pp. 268-269). Un’interpretazione troppo dura, data da uno storico francese e quindi “nemico”? Non direi. Il libro del Bailly e’ anzi pieno di ammirazione per la vicenda storica complessiva della Serenissima Repubblica. Vediamo allora cosa dice, in modo piu’ sobrio, uno storico italiano di vaglia come Luigi Salvatorelli, nel suo apprezzato: “Sommario della storia d’Italia”. “Dopo la pace di Passarowitz la vecchia repubblica si chiuse in un isolamento assoluto: non solo l’esercito ma anche la marina decadde [questi sono fatti accertati]. La spedizione del valoroso Angelo Emo contro il bey di tunisi (1784-86), fatta con mezzi inadeguati, fu alla fine interrotta per volonta’ del governo e lascio’ la situazione di Venezia rispetto ai capi barbareschi al punto di prima [dovevano pagar loro un tributo affinche’ le navi veneziane non venissero depredate – anche questo e’ un fatto]. Unica grande impresa del Settecento la costruzione dei Murazzi. La gloriosa citta’ divenne un luogo di ritrovo ove non si pensava che a divertirsi, dove il carnevale durava una meta’ circa dell’anno, era permesso in permanenza l’uso della maschera, favorito il gioco d’azzardo, le feste erano splendide e frequenti e regnavano mollezza e una certa licenza nei costumi. Ridotti a poca cosa il commercio e le industrie, si faceva sempre piu’ grave la decadenza economica, nonostante che le tasse vi fossero poco gravose” (op.cit., Einaudi, Torino, 1969, pp. 381-382). A p. 361, Salvatorelli ricorda che, durante le guerre combattute in Italia dalle Potenze nella prima meta’ del Settecento, “anche nella guerra di successione spagnola la repubblica veneta era rimasta neutrale, non senza che il suo territorio servisse di passaggio e di campo di manovra ai belligeranti con molto aggravio delle popolazioni”.
A proposito dell’idea di un’Italia federale, da lei riproposta, sul tipo di quella propugnata da Cattaneo, massone notorio, vorrei ricordarle che proprio questo era il programma di Italia “unita” corrispondente ai valori della Liberomuratoria, al gradualismo sapiente del suo “riformismo”. Cattaneo e Giuseppe Ferrari, altro massone, erano “federalisti repubblicani,che vagheggiavano un’Italia costituita in una federazione di repubbliche regionali, orientate verso la Francia [come a dire verso il Grande Oriente], ordinate secondo la democrazia francese. Regionalisti, specialmente il Cattaneo, sentivano prima la regione che l’Italia” (A. Omodeo, “L’eta’ del Risorgimento italiano”, Esi, Napoli, 1965, p. 325). E un programma del genere, a parte “l’orientamento verso la Francia” [sostituito oggi da quello non meno funesto verso la Germania], non assomiglia forse a quello del “federalismo” su base “regionale” che si sta cercando di attuare nell’Italia di oggi, a complemento dell'”Europa delle regioni”, ugualmente in gestazione nell’ambito dell’Unione europea, anticristiana e certamente non invisa alla massoneria? Cordiali saluti, PP
Relativamente alla decadenza di Venezia, esempio sublime dell’ex marina veneziana, all’epoca divenuta austriaca:
LA BATTAGLIA DI LISSA 18-20 LUGLIO 1866, «Uomini di ferro su navi di legno, hanno sconfitto uomini di legno su navi di ferro»
Al momento dello speronamento, Tegetthoff disse in Veneto al Vianello «daghe dentro, Nino, che i butemo a fondi!»
Con viva cordialità
Sì, mi confermo che l’Unità statuale dell’ Italia non è un dogma. Non si può rimanere uniti così “a qualsiasi costo” ma solo a certe condizioni…che per ora non si vedono.
Complimenti vivissimi, caro Normanno, un commento degno del miglior encomioe, una vera “lectio magistralis” sulla “rivoluzione italiana”; è meglio chiamarla così, perché più che risorgere, lì li uccidevano gli italiani, a migliaia, con un odio feroce contro i cattolici, il Papa e Borboni . Quante bugie, quante falsità, ma pian piano la verità viene a galla, alla faccia dell’imperante retorica.
Ho letto tutto con grande interesse e ringrazio per i commenti eruditi che rileggerò volentieri anche una seconda volta. Purtroppo rifletto anche sul fatto che nessuno ti dice nulla se vuoi separarti dal nascituro e lo uccidi con l’aborto, se vuoi separarti da tua moglie e te ne vai. E se voglio separarmi da chi mi sfrutta? Ma tranquilli, non succederà nulla perché la libertà non la si deve chiedere a nessuno, la si deve volere con le buone o con le cattive, il resto sono chiacchiere da bar. Concludo così: mi dice il mio vicino marocchino: qui in veneto comanderanno i nostri figli tanto per voi è lo stesso dato che non comandate voi nemmeno oggi. Ricordiamoci tutti che la proprietà va esercitata altrimenti la si perde!
vorrei capire per quale “miracolo” la destra italiana, contraria al regionalismo e fortemente patriottica (alcuni miei amici hanno subito mutilazioni perché colpiti da una bomba lanciata dai titini contro i manifestanti per l’italianità di Trieste) è diventata anti-unitaria. IO CAPISCO SENZA DIFFICOLTA’ IL DISPREZZO PER GLI ATTUALI GOVERNANTI: la caricatura di Crozza è più seria di loro – purtroppo nel degrado c’è anche il contributo della neodestra di stampo finiano – il problema è ritrovare la dignità dei militanti nella destra del dopoguerra – opportunamente Luciano Garibaldi ha ricordato fra’ Ginepro da Pompeiana, che esercitò un’influenza benefica nella destra – quel frate diceva “il mio saio è il tricolore” – era massone? non facciamo ridere – fra’ Ginepro confessò Mussolini – un progetto serio sarebbe l’abolizione delle regioni, pietre dello scandalo, altro che divisione in stati minuscoli, corrotti e insignificanti