La mortadella è di sinistra, il culatello di destra; di destra è la vasca da bagno, mentre la doccia è di sinistra. Queste erano le differenze tra i due campi al tempo di Giorgio Gaber. Oggi il grande cantautore milanese dovrebbe aggiornare il catalogo: a sinistra stanno i ricchi, garantiti e potenti. Possono permettersi il culatello; a destra militano i ceti popolari, i piccoli e medi imprenditori, i precari. Insomma, i perdenti della globalizzazione ai quali non resta che la più economica mortadella. Sulla doccia e la vasca da bagno Gaber aveva visto giusto. Da un lato la fretta, ci si lava in piedi, di corsa, pronti a correre verso il progresso, o forse, come il leone e la gazzella dell’apologo, semplicemente ci si affretta per non perdere il treno: quello delle mille opportunità dell’oggi e, più modestamente, l’affollata carrozza dei pendolari. La vasca da bagno, con la giusta temperatura e tanta schiuma, richiama piuttosto la piacevolezza, la riflessione pacata, una certa lentezza figlia della stabilità. Scherziamo, naturalmente, ma non del tutto.

Sorridendo, ci interessa introdurre un tema importante, l’assoluta incapacità delle etichette, delle formule precostituite, a spiegare il nostro tempo e le sue vere fratture ideali, morali, politiche, gli interessi in gioco. La destra e la sinistra sono segnali stradali, indicazioni inservibili per descrivere il mondo che ci circonda. I termini sono di ascendenza francese – il posizionamento parlamentare post rivoluzionario- e rinviano ad un mondo tramontato per sempre. La rivoluzione liberale e borghese, con le sue ali estreme, giacobine e girondine, aveva una destra e una sinistra. Si era di destra o di sinistra rispetto a qualcosa, ad un asse attorno al quale ruotavano idee, principi, legittimi interessi, visioni del mondo.

Quel tempo è finito con il 1989, due secoli esatti dopo la Bastiglia. Finito il comunismo è iniziata un’epoca della quale sperimentiamo limiti e danni terribili, ma a cui non si intravvedono ancora alternative. Anzi, alternative non ce ne sarebbero proprio, come disse per prima Margaret Thatcher. TINA, there is no alternative, nella lingua franca dei padroni universali. Il destino dell’umanità, la sua stessa ragione di essere nel mondo è quella di scambiare beni e servizi sul Mercato – motore immobile come il Dio di Aristotele- in attesa di consumarli rapidamente e ricominciare daccapo.

Il mercato signore ha espulso quasi tutti gli attori. Restano pochi giganti, tutti privatizzati, un reticolo inestricabile di partecipazioni incrociate, di pacchetti azionari, giochi finanziari, patti di sindacato, il trionfo della persona ficta, la finzione giuridica chiamata persona giuridica. La persona giuridica di diritto privato è il simbolo di una nuova casta onnipotente, che Giulietto Chiesa definisce “padroni universali”. Possiedono tutto: creano il denaro dal nulla, che fingono di prestare a strozzo agli Stati; sono titolari delle grandi multinazionali dell’industria, della tecnologia. Orientano – dato che pagano loro a piè di lista – la ricerca scientifica, medica, controllano i mezzi di comunicazione di massa, dettano la linea nella cultura, nelle credenze, nei valori e nei modi di vita di miliardi di esseri umani, dei quali decretano di fatto la vita e la morte.

Destra o sinistra di che cosa, allora? Del sistema, certo: allora ha senso. Se siamo favorevoli al mondo meraviglioso a cui “non c’è alternativa”, continuiamo a definirci di destra o di sinistra e accapigliarci in conto terzi. Il potere è onnivoro, ha uno stomaco ed un intestino enormi. Crea, metabolizza, sputa ed elimina le scorie. Persino le crisi economiche che uccidono, impoveriscono, lasciano senza prospettive popoli interi, per loro sono opportunità, una specie di digestivo, l’Alka Seltzer degli iperpadroni. Per usare una parola “difficile”, il sistema globalitario liberale, liberista, libertario, libertino e progressista sussume ogni cosa, cioè la incorpora. Fusione per incorporazione, l’atto preferito delle persone giuridiche.

Dunque, se siamo “dentro”, restiamo pure di destra, di centro o di sinistra, con le mille sfumature di grigio in cui si trasformano i colori delle passioni umane. Se siamo “fuori”, pensiamola nuova. Per ora, è la solitudine dei numeri primi. Non parliamo del fortunato romanzo di Paolo Giordano, ma di aritmetica. Ce lo insegnavano a scuola: i numeri primi sono quelli che non hanno altri divisori che se stessi. Importanti nell’astrazione matematica, sfortunati se paragonati agli uomini. Gli oppositori al sistema sono moltissimi, certamente la maggioranza, ma non sanno di esserlo e i più consapevoli vivono nella solitudine. Occorre unirsi e trovare dei denominatori comuni.

Il più semplice è lo schema amico-nemico. Il nemico del mio nemico è mio amico mentre è nemico l’amico del mio nemico. A patto, beninteso, di sapere chi è il nemico. Ci scusiamo per il gioco di parole e la diciamo tutta senza mezzi termini: nemici sono i “padroni universali” che hanno privatizzato il mondo, lo possiedono e stanno entrando, attraverso le nuove tecnologie informatiche e biochimiche, nel nostro cervello e nella nostra mente. Prima ci hanno colonizzati, poi hanno dichiarato l’assenza di alternative, adesso ci possiedono. Domani, o stasera stessa, saremo loro schiavi. Schiavi di tipo nuovo, con catene poco visibili, programmati da un esercito di ingegneri sociali per essere addirittura felici della nostra servitù.

La destra, la sinistra, il centro, uniti nel e dal dominio dell’iperclasse. Tutto è prodotto, merce, cosa. I numeri primi non ci stanno. Parliamo per un attimo dell’esperienza personale. L’inutile scrivano proviene da una famiglia modesta: operai, piccoli artigiani, scarsa istruzione, duro lavoro per la pagnotta, tanti doveri, vite in salita. Dovrebbe essere, sociologicamente, di sinistra. Quella sua gente un po’ rustica, tuttavia, era animata da principi forti: credeva in Dio, amava la terra natia, attribuiva un ruolo centrale alla famiglia, considerava il lavoro ben fatto fonte di dignità, di responsabilità, segno di distinzione. Accettava la gerarchia, il rango nella società, cercando di salire i gradini con il lavoro, la conoscenza, la dignità. Tutti quei principi uniti costituivano un bene immateriale ed intangibile chiamato onore. Dunque, chi scrive è di destra. Evidentemente non funziona così ed ebbe ragione Ortega ad osservare che definirsi di destra o di sinistra è riconoscere la propria emiplegia mentale.

Destra e sinistra dentro il sistema hanno entrambe bisogno, per definirsi davvero, di aggiungere a se stesse aggettivi qualificativi. Sempre di più, sempre meno chiari: democratico, liberale, sociale, popolare, rivoluzionario, moderato, nazionale, radicale e quanti altri ne contiene il vocabolario. Parole che diventano fumisterie per celare l’Unico. Di qua o di là, in alto e in basso, ma all’interno del sistema, il quale, a sua volta, ha disegnato un cerchio il più possibile ampio e onnicomprensivo. Sfidiamo chiunque a rintracciare la destra e la sinistra in un cerchio. Il centro sì, quello si trova ed è il luogo degli interessi sporchi, del non detto e del compromesso. Alla larga, care destra e sinistra di ieri.

A sinistra hanno una situazione altrettanto complicata ed incoerente. Il cuore batte per “gli ultimi” ma non sanno più chi siano e la soluzione diventa un minestrone indigeribile in cui l’internazionalismo è sostituito dal cosmopolitismo e dall’individualismo edonista, i poveri dagli immigrati, dagli omosessuali e da qualunque altra minoranza più o meno oppressa. In un altro intervento, cercheremo di dire la nostra sulla ex “rive gauche”. Stavolta, ci dedichiamo al campo che ci è più familiare, quello della (ex) destra, abbandonata al suo triste destino da quando ha gettato la maschera.

Lo scrittore ed intellettuale americano “conservatore” Rod Dreher – le virgolette dimostrano l’insufficienza di ogni etichetta – autore di Opzione Benedetto, un libro cattolico che più di “destra” non potrebbe essere, inizia affermando di avere smesso di militare nel campo conservatore da quando si è reso conto che l’unico vero impegno di quella “destra” è glorificare il libero mercato. A noi, molti anni fa, capitò qualcosa di simile. Non solo l’esperienza familiare e quella personale di ragazzo costretto a guadagnarsi la vita in un’industria ci aveva già vaccinato contro le dubbie virtù del liberismo, ma non riuscivamo a stare dalla parte di un’autorità e di un potere che ci respingeva e detestava nel momento stesso in cui ci utilizzava per le sue più oscure manovre di potere. Rifiutammo già allora di essere gli ascari del sistema.

Oggi è peggio: allora, almeno, si aveva la ragionevole aspettativa di un lavoro a tempo indeterminato, della pensione, della protezione sociale; in più vivevamo in una comunità relativamente coesa con alcuni principi condivisi. Basta, tutto finito, game over.

Schiviamo per ora il discorso generale sui principi fondanti di una comunità e sui rapporti socio economici. Ci basti aver individuato il nemico; guardiamoci attorno. Un autore medievale, Pietro d’Alvernia, ci soccorre con una metafora: egli distinse la contrapposizione accidentale (contrarietas per accidens), che pone gli oppositori di “destra” contro un tiranno di sinistra o viceversa, e la contrapposizione sostanziale (contrarietas per se), che unisce chi lotta per il bene comune. Continua paragonando le posizioni apparentemente contrarie a due chiodi destinati a scacciarsi a vicenda. L’errore, concluse, è non vedere chi manovra il martello, ovvero non comprendere il senso della contesa e quindi non reagire correttamente. Conta il martello e chi lo impugna.

Proseguiamo per paradossi (apparenti): oggi i politici di Sistema (qui serve la maiuscola) sono tutti di sinistra. Immigrazione, matrimonio omosessuale, abortismo, materialismo, libertarismo. Anche chi dice di opporvisi, non cambia nulla quando nella lotteria truccata del potere esce il numero “moderato”, o “conservatore”. Ma sono anche tutti di destra, allineati e coperti sotto la dominazione politica dell’economia del Mercato integrale e della finanza. La confusione è somma sotto il cielo, il momento è favorevole, esclamava Mao. Si tratta di cogliere le contraddizioni e agire di conseguenza. La confusione della destra e della sinistra viene dalla confusione delle definizioni. Questo ci porta ad affermare che ci sono due modi assai distinti di definire destra e sinistra, Vladimir ed Estragon che aspettano un Godot già arrivato, il padrone universale.

Prendiamo la definizione di “destra” dell’Ancien Régime: i principi positivi sono l’onore, la gerarchia, la morale, il rispetto del passato e della tradizione. La sinistra, all’epoca, era la distruzione di quei valori da parte del liberalismo illuminato in ascesa che sboccò nella rivoluzione francese. Dunque, il liberalismo, i suoi valori mercantili, di calcolo amorale e la sua distruzione di tutti gli ordini precedenti sono, per conseguenza logica, Il Male e la sinistra. Guarda caso, proprio ciò che troppi uomini e donne che si definiscono di destra tendono a dimenticare, allineati sistematicamente agli interessi e all’agenda del liberalismo.

C’è poi la definizione di sinistra che viene dal marxismo, dalla rivoluzione d’ottobre, per cui ciò che definisce destra e sinistra è il rapporto con il Capitale. Un piccolo e medio imprenditore, un artigiano, un professionista è dunque di sinistra, poiché è dalla parte del lavoro produttivo. Un azionista iscritto a Confindustria, un investitore finanziario, al contrario, è di destra, poiché sta con la rendita, lo sfruttamento, il parassitismo, come certi figli di papà oziosi, ma anche tanti membri della post borghesia progressista. Di passaggio, potremmo sottolineare che i valori della rivoluzione francese, formalmente di sinistra, poiché fondati su un egalitarismo astratto, declaratorio, erano in pratica di destra, per il trionfo del liberismo. Difficile orientarsi: di sinistra come il popolo, di destra come la borghesia? E se invece, valesse il contrario?

La classificazione ci fa concludere che un movimento che difenda tanto i valori etici che il mondo del lavoro è di destra secondo la prima definizione e di sinistra in base alla seconda. Esiste una destra “morale”, civica, che, a ben riflettere, è la condizione della sinistra economica e sociale. Invertiamo i fattori: una sinistra amorale si è rivelata l’alibi ideologico della destra economica nella sua versione più recente e più brutale. Ragionamenti che ci riportano al 1968: società dei consumi, liberalismo libertario, odio per ogni autorità. Liberalismo libertario è la sinistra “societale” dei costumi, capace di fagocitare insieme la sinistra sociale e la destra morale, l’assoluta maggioranza delle comunità di ieri. Una doppia distruzione al servizio del potere del denaro la cui incubatrice è stata l’incredibile fortuna delle idee del 1968, ovvero il connubio tra liberismo economico, freudismo e scuola di Francoforte.

Il gentile lettore di Repubblica ammette di essere liberale sul piano della produzione, come ogni borghese classico, dunque né socialista né fascista, due forme di economia dirigista. Ma è anche libertario sul piano della morale, dei costumi e dell’indifferenza religiosa, distanziandosi dalla borghesia d’antan, che manteneva una certa etica ed il cui senso del risparmio era un freno al consumismo ed all’oziosità. Letteralmente, quindi, il progressista libertario è un borghese che se ne infischia della morale borghese. Ma la definizione designa anche una sensibilità politica, ovvero un modello di società particolarmente ingiusto e brutale. Un mondo cool con il consumatore, liberato da ogni interdetto morale, ma duro, violento con il produttore, il cui lavoro è precarizzato e il cui reddito è tagliato dal globalismo liberista. Più l’individuo è sgravato dal peso della produzione e del lavoro, in quanto ne è beneficiario – percettore di rendite, animatore della società dello spettacolo, membro delle classi elevate – più trova fascino nella società liberale e si lascia andare alla sua mentalità amorale.

Al contrario, all’individuo sottoposto alla dura realtà della produzione, che deve guadagnarsi la pagnotta con i denti, è impedito il desiderio libertario di godere senza freni (sesso, alcool, droga, sballo di ogni tipo, “bella vita”) dalla sua condizione di disoccupato, precario, salariato che scende nella scala sociale, con basso potere d’acquisto. La sua vita è scandita dal ritmo circadiano che in Francia chiamano “metro, boulot, dodo”, metropolitana, lavoro e via a dormire. L’attitudine progressista liberal-libertaria è dunque la situazione obiettiva di chi non deve impegnarsi troppo, non deve produrre per consumare e può quindi trovare gusto nel libertarismo amorale di cui è il beneficiario. Questo tipo umano non vuole che la morale della produzione, cioè della realtà concreta, metta freni alla sua libertà di abusare, desiderare, consumare.

Purtroppo è difficile che questo tipo di analisi, pur così prossima, nel suo arido materialismo, alla mentalità corrente, possa scuotere le felici, granitiche certezze dei ceti affluenti e riflessivi per i quali sono vangelo Repubblica, Cosmopolitan, il Sole 24 Ore e l’orario delle partenze degli aeroporti. Piace tanto al Potere perché non disturba il manovratore ed ha tutti i tic della post modernità: confusionismo, simpatia per il caos, disordine morale, voracità sessuale, indifferenza spirituale. È il parassita sociale della sovversione realizzata, il libertario al servizio del liberismo.

Alla luce di quest’analisi, che cosa hanno in comune la destra dei principi e quella del profitto? Nulla. I gruppi sociali che rappresentano sono inconciliabili; uno si fonda sull’autorità, l’ordine morale e la gerarchia naturale. L’altro sull’amoralismo integrale e moderno della legge del profitto, porte aperte ad ogni arrivismo, cinismo, decadenza, applausi per la precarizzazione ribattezzata mobilità sociale. Nei fatti, il primo gruppo si mette al servizio del secondo, che non condivide alcuno dei suoi valori. I liberali si servono invariabilmente dei “conservatori” che hanno storicamente sconfitto e cacciato dal potere, utili idioti, guardie bianche per mantenere il potere contro il popolo.

Si assiste con crescente imbarazzo e collera non più dissimulata alla manipolazione della rispettabile destra dei valori da parte dei signori del denaro, i cui “valori”, non scordiamolo, provengono dalla sinistra storica. Un’unione che, con un pizzico di volgarità definiamo del pappone e del cornuto. Inutile ricordare chi è il cornuto (e mazziato!). Per chi ama o sopporta quest’infelice condizione, porte aperte e pacche sulle spalle. Avanti c’è posto, ma “anche se tutti, noi no”. A sinistra le cose non vanno meglio. Ne parleremo presto; anche lì abbondano i cornuti ma comandano i papponi.

3 commenti su “L’unione del pappone e del cornuto”

  1. Come sempre, analisi perfetta, Signor Pecchioli!! Però mi permetto di chiederle: non vede o non prevede nessuna soluzione?
    Ha scritto che ne riparlerà presto, quindi la prego……

  2. Da “cornuto” e da molti anni anche canuto, ho osservato che le ideologie politiche (tutte o quasi), sono servite sempre di più ad allontanare l’uomo da Dio e dalla verità.
    Aggiungerei alla sinistra, e alla destra in questione, anche il popolo dei “dissennati-dissidenti” che con spudorata ipocrisia, negano la loro appartenenza per non disturbare i “papponi-manovratori”.
    Ovvero: le marionette appese al filo e mosse ad arte da un comico fascista, oramai incapace di far ridere e attrarre l’attenzione degli stolti creduloni.
    Oltre a questi, per completare la platea del neo-progressismo ideologico negazionista d’appartenenza, é opportuno citare a pieno titolo i “pesciolini” delle carnevalate di piazza che intonano in coro, per convenienza dei manovratori: “bella ciao”; senza aver mai conosciuto le fatiche, il dolore e la morte dei nostri Partigiani (quelli veri!).
    Come sempre, questa Sua disamina é perfetta; giusta nei contenuti e piacevole nella dialettica.
    Grazie Sig. Pecchioli!

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