di Mattia Rossi
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Già pubblicati:
L’origine del disastro liturgico-musicale – Introduzione
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E’ iniziato l’Avvento, il tempo dell’attesa. La liturgia cattolica, domenica scorsa, ci ha messi di fronte alla duplice attesa che caratterizza questo tempo forte: non solamente l’attesa per il ricordo della nascita terrena del Figlio di Dio, ma, soprattutto, l’attesa del “secondo” Avvento di Gesù Cristo, quello finale nella gloria e nella maestà.
A partire dall’introito, poi per tutto il graduale e fino all’offertorio, il canto gregoriano ci ha offerto la sintesi musicale della I domenica: “Universi qui te exspectant non confundentur”, tutti coloro che aspettano il Salvatore non saranno confusi. È una dimensione, quella della I domenica trascorsa, escatologica e universale, che intende abbracciare tutti coloro che attendono con fiducia la venuta (seconda) del Salvatore. E’ stata una domenica nella quale l’attesa della venuta del Signore ha fatto da collante a gran parte del repertorio.
Proseguendo, non sarà faticoso notare come domenica prossima, la II d’Avvento, non si presenti come scollegata da quella precedente. Anzi, l’introito che ascolteremo domenica è pervaso dalla medesima connotazione dell’abbracciare tutti i credenti in Cristo nella vera fede:
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Populus Sion, ecce Dominus veniet ad salvandas gentes
et audi tam faciet Dominus gloriam vocis suae,
in laetitia cordis vestri.
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“Popolo di Sion, il Signore verrà a salvare le genti”, è una sostanziale risposta al tema della I domenica: chi attende il Signore non resterà confuso – si pregava domenica scorsa – perché, ecco, il Signore verrà a donare la salvezza – si pregherà domenica. Alla fiduciosa e confidente attesa della I domenica, l’introito della II sembra quasi avanzare una serena risposta: “Dominus veniet ad salvandas gentes”, il Signore verrà a salvare le genti.
A questa complementarietà che caratterizza il gregoriano bisognerà un po’ far l’abitudine: tutto il repertorio del canto della Chiesa è costellato di rimandi, citazioni, temi che si rincorrono o si completano. O, come è il caso delle domeniche d’Avvento, si assiste ad un crescendo, un graduale climax che, domenica dopo domenica, aggiunge sensibilità nuove.
La III domenica, infatti, la cosiddetta domenica “Gaudete”, segna l’apice di quanto tracciato dalle due precedenti. Il termine “Gaudete” che dà il nome alla domenica è dovuto all’incipit dell’introito che è tratto da San Paolo (unico testo paolino inserito nel tempo d’Avvento) e, più precisamente, dalla Lettera ai Filippesi (4, 4-5):
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Gaudete in Domino semper, iterum dico, gaudete;
modestia vestra nota sit omnibus hominibus:
Dominus propre est.
Nihil solliciti sitis, sed in omni oratione petitiones vestrae innotescant apud Deum.
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E’ un testo, come si vede, profondamente gioioso. Una letizia che, del resto, caratterizza anche visivamente questa domenica nella quale il sacerdote veste i paramenti rosa e non violacei.
Nella III domenica, dunque, l’effetto di crescendo instaurato dai tre repertori è perfettamente esplicitato: dalla semplice speranza nella venuta (I domenica), si aggiunge la certezza della redenzione per chi crede (II), che porta necessariamente alla gioia che accompagna questa certezza. Ecco, dunque, il senso che questo introito, anche nella sua ricca strutturazione musicale, ci intende offrire: rallegrarsi sempre nel Signore che presto verrà perché, in Lui, nulla ci deve preoccupare.
Un taglio più distintivo conserva, invece, l’ultima domenica d’Avvento, la IV. Essa, soprattutto nell’offertorio e nel communio, ha una colorazione puramente mariana.
Innanzitutto, notiamo che l’offertorio di questa domenica è lo stesso del giorno dell’Annunciazione:
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Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum:
benedicta tu in mulieribus, et benedictus fructus ventris tui
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Sono le parole dell’arcangelo Gabriele mescolate a quelle di Elisabetta che la Chiesa ha fuso in un’unica antifona (la preghiera popolare dell’Ave Maria verrà compilata in seguito e proprio a partire da quest’antifona) offerta alla Vergine nell’ultima domenica che precede la celebrazione liturgica del mistero dell’Incarnazione, il Natale, a nove mesi di distanza dall’Annuncio dell’arcangelo.
Il testo di quest’offertorio, così come quello della preghiera, ci permette una singolare riflessione sull’atteggiamento della Chiesa nei confronti della liturgia e del canto sacro: l’arcangelo Gabriele, salutando la Vergine, non pronuncia il suo nome, ma la saluta solamente con il «piena di grazia». La Chiesa, invece, attraverso la sua “catechesi” musicale quale è il canto gregoriano, tra l’«Ave» e il «gratia plena» decide di inserire il nome della Vergine, Maria. E proprio sul nome aggiunto, «Maria», il canto gregoriano, dopo un inizio su un registro intermedio, innalza la propria melodia raggiungendo una tessitura vocale acuta che desta immediatamente l’attenzione.
Ecco, allora, che la “forzatura” del testo evangelico attraverso l’arbitrario inserimento del nome proprio della Vergine – il quale, lo ricordiamo, viene addirittura sottolineato ed esaltato melodicamente rispetto all’esordio dell’antifona – ha una motivazione retorica: accentuare la novità e la centralità di quel “sì” che la Madre di Gesù pronunciò ai piedi dell’arcangelo Gabriele. E tutto questo, come dicevamo, viene proposto nell’ultima domenica d’Avvento, quella più vicina temporalmente al Natale.
E poi, sempre nella IV d’Avvento, troviamo il communio:
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Ecce Virgo concipiet, et pariet filium:
et vocabitur nomen eius Emmanuel
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Anche qui, dopo una semplice declamazione dell’«Ecco, la Vergine…», il notatore gregoriano pone tutto il suo slancio espressivo sul seguito. Mediante fini procedimenti retorici modificativi dei neumi, notiamo un poderoso rallentamento ritmico sul «concipiet» a sottolineare l’avvenuto concepimento divino, sull’«et» seguente che introduce il secondo verbo, «pariet», anch’esso fortemente allargato e amplificato, fino ad arrivare, attraverso un robusto climax espressivo, al secondo pesante «et» che prelude al terzo significativo verbo, «vocabitur», nel quale ogni nota esige un risalto ritmico.
E’ un brano interamente esaltatorio dell’evento dell’Incarnazione inserito, nuovamente, nell’ultima domenica d’Avvento, quella che prelude alla Santa Nascita del Salvatore.