di Mattia Rossi
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Già pubblicati:
L’origine del disastro liturgico-musicale – Introduzione
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E’ solamente un assaggio quello che vorrei dare in questa puntata della presente rubrica sul canto gregoriano del ricco repertorio gregoriano del tempo natalizio.
Come abbiamo già avuto modo di vedere, l’analisi del repertorio gregoriano è principalmente un’analisi retorica. E la dicotomia retorica tra i brani ascoltati nel giorno di Natale e quelli che si ascolteranno nel giorno dell’Epifania è evidente. Ma andiamo per gradi.
Nel racconto evangelico di Luca, inserito nella liturgia della Messa di mezzanotte, l’angelo indica ai pastori il “segno” tramite il quale essi avrebbero riconosciuto il Salvatore: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce» (Lc 2,12). E l’introito della Messa del giorno di Natale Puer natus non fa altro che tradurre in musica quel passo: tutto il brano, infatti, ha un unico polo di attrazione che è posto proprio sulla parola iniziale «Puer». Quella parola così sottolineata diventa, per noi, il “segno” per comprendere il corretto senso della celebrazione.
Il Natale, del resto, è la festa che celebra la kenosis di Cristo, Dio che, abbassatosi alla debole natura umana, si fa puer, bambino. Nell’immagine del bambino si riassume l’intero mistero dell’Incarnazione: il Verbo eterno che si fa carne per redimerci. Ecco perché tutto il brano ha come unica parola di riferimento puer, la quale viene cantata tutta allargata in modo da sottolinearla e amplificarla.
La semplicità postulata dall’introito del giorno di Natale era stata già annunciata in un frammento dell’introito della Messa “in aurora” Lux fulgebit. In un contesto semiornato, mediamente melismatico, il compositore gregoriano converte bruscamente lo stile: l’appellativo «princeps pacis» viene, infatti, presentato totalmente sillabico. Il principe della pace non viene dipinto melismaticamente e solennemente, ma la sua centralità viene risaltata proprio dalla sua genuina elementarità, la stessa di un bambinello indifeso.
Natale, però, è anche drammaticità. I riferimenti alla passione sono tutti lì da cogliere. E non mi riferisco solamente alla festa della Circoncisione di Gesù del 1° gennaio nella quale si ricorda come il Divin Bambino cominciò da subito a soffrire nella carne e a spargere il suo Divin Sangue: ma già il primo giorno dopo Natale, il 26 dicembre, la liturgia rimanda alla Passione di Nostro Signore. E lo fa “servendosi” della passione del protomartire santo Stefano.
«Vedo i cieli aperti e Gesù che sta alla destra di Dio Onnipotente; Signore Gesù, ricevi l’anima mia e perdona loro questo peccato», recita il communio Video coelos. E’ un testo particolarmente simbolico che il gregoriano riveste di una musica struggente e drammatica: in un tempo nel quale la nuova religione ammanta il Natale, nella migliore delle ipotesi, ovvero laddove non sia apertamente apostata, di una stucchevole e mielosa glassa superficiale di povertà e buonismo, ebete gioia e finta fratellanza, il communio gregoriano del 26 dicembre rimanda direttamente e senza mezze misure o necessità interpretative alla Passione di Cristo.
Con le stesse parole di Nostro Signore, «Accipe spiritum meum», infatti, la liturgia di santo Stefano ricorda il primo giorno dopo Natale, nel pieno del clima di letizia per la nascita del Divin Figlio, il vero senso dell’Incarnazione: testimoniare la fede nel Redentore usque ad mortem.
Infine, quasi a contraltare della semplicità natalizia del Puer natus, troviamo l’introito dell’Epifania Ecce advenit. Se l’impero, la potestà, la regalità, come abbiamo visto poco fa, non erano per nulla al centro dell’introito natalizio, lo diventano, però, nel giorno in cui essi si manifestano all’universo intero: l’Epifania.
«Ecce advenit Dominator Dominus: et regnum in manu eius, et potestas, et imperium» (Ecco, giunge il sovrano Signore: e ha nelle sue mani il regno, la potestà e l’impero), recita l’introito.
La solennità dell’Epifania, infatti, come la definisce L’anno liturgico di dom Guéranger, è «il trionfo del regale Bambino», è il «giorno santissimo», definizione che il Canone romano le riserva assieme a Natale, Pasqua, Ascensione e Pentecoste, in cui la Chiesa cattolica e la sua liturgia sono chiamate a contemplare la magnificenza regale del Salvatore.
E tutto questo è espresso perfettamente dall’introito gregoriano nel quale tutto convoglia a celebrare la potenza e la maestà del Signore dinanzi alle genti e ai re della terra: al Dominatore del mondo va il regno, la potenza e la gloria.
E la chiusura del cerchio la si avrà verso il termine dell’anno liturgico, all’ultima domenica di ottobre, con la festa di Cristo Re, festa istituita da Pio XI nel 1925. Essendo, questa, una celebrazione recente, non trasmette un repertorio di canti proprio: il Proprium Missae è stato, però, assemblato dalla Chiesa conformemente alla finalità della celebrazione. Ebbene, il graduale Dominabitur previsto dalla liturgia per la festa di Cristo Re è totalmente ricavato da quello dell’Epifania, Omnes de Saba. E anche il testo salmico ha un sapore che rimanda decisamente ai “colori” della solennità del 6 gennaio: «Dominabitur a mari usque ad mare, et a flumine usque ad terminos orbis terrarum. Et adorabunt eum omnes reges terrae: omnes gentes servient ei» (Egli dominerà da un mare all’altro, dal fiume fino all’estremità della terra. Tutti i re gli si prostreranno dinanzi, tutte le genti lo serviranno).