di Giacomo Rocchi
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Ripartiamo, allora, dalla risposta che Assuntina Morresi ha dato nell’intervista al sito UCCR sull’obiezione di coscienza:
«L’attacco all’obiezione di coscienza serve per far passare l’idea che abortire è un diritto. Nella legge 194, invece, l’aborto non è considerato un diritto, ma l’ultima opzione possibile nel caso di una maternità rifiutata. Stiamo parlando del testo di legge, e non della percezione che invece si ha, dell’aborto. Attaccare l’obiezione di coscienza nei termini in cui si sta facendo in questi ultimi mesi significa affermare che chi obietta lede un diritto, quello di abortire.»
Da questa frase abbiamo ritenuto che emergesse con chiarezza la posizione della Morresi sulla bontà della legge 194 e sulla inopportunità di abolirla. Nella risposta precedente l’intervistata aveva affermato anche che “Non si può essere costretti a uccidere esseri umani per legge, anche se si tratta di una legge decisa in istituzioni democratiche. La tutela dell’obiezione di coscienza è indice del rispetto della coscienza dei cittadini, indice di civiltà di un popolo e di chi lo governa”: quindi la situazione attuale, in cui l’obiezione di coscienza è (ancora) tutelata dimostra che siamo un “popolo civile con governanti civili” (anche se, appunto, le istituzioni democratiche e il popolo nel referendum ha permesso l’uccisione di milioni di bambini innocenti …).
Morresi contrappone testo di legge a percezione che si ha dell’aborto: la “gente”, cioè, avrebbe una “percezione sbagliata”; crede erroneamente che ogni donna nei primi mesi di gravidanza può abortire a semplice richiesta; invece no, la legge (anzi: il “testo della legge”) è tutto diverso; le donne che chiedono di abortire sono autorizzate a farlo solo in pochissimi casi, solo quando tutte le “opzioni” sono state prese in considerazione (soldi, alloggio, adozione, cure ecc.) … non è un diritto!
Le risposte sono di due tipi (oltre ad un terzo: non ci prendete in giro!).
La prima risposta è leggere il “testo di legge” invocato dalla Morresi. La quale, peraltro, deve essersi fermata all’articolo 4, senza andare oltre; così accontentandosi del proclama iniziale secondo cui “Lo Stato … tutela la vita umana dal suo inizio”, alla definizione ipocrita secondo cui “l’interruzione volontaria della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite”, all’articolo “buonista” che presenta i consultori familiari come strutture che assistono la donna in gravidanza, contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurla all’aborto, e, infine, appunto, all’articolo 4 che finge – finge! lo vedremo subito dopo – che l’aborto nei primi novanta giorni possa essere eseguito solo quando la “prosecuzione della gravidanza comporterebbe un serio pericolo per il suo stato di salute fisica o psichica, in relazione al suo stato di salute, alle sue condizioni economiche o sociali o familiari o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito”.
Vedete, sembra dirci la prof.ssa Morresi? La vita umana è tutelata, la donna incinta la aiutano in ogni modo e l’aborto è permesso solo in casi specifici, mica sempre …
Peccato che c’è l’art. 5 … il quale prevede che la donna che intende abortire si reca ad un consultorio o da un medico di sua scelta, dice che vuole abortire, il medico del consultorio le rilascia un “attestato” (non un certificato!) in cui dà atto che la donna ha chiesto di abortire; dopo sette giorni la donna può recarsi all’ospedale per abortire.
Le cause della richiesta della donna? Irrilevanti: qualunque sia il motivo addotto, il medico deve rilasciargli l’attestato e non ha nessuna possibilità di verificarlo.
Il medico può rifiutarsi di rilasciare l’attestato? No.
L’ospedale può rifiutarsi di eseguire l’aborto? No.
Se la donna è al quinto aborto (e, quindi, usa chiaramente l’aborto come mezzo di controllo delle nascite), i medici si possono rifiutare? No.
Se, durante il colloquio, la donna si rifiuta di ascoltare quanto il medico le dice, il medico può rifiutarsi di rilasciare l’attestato? No.
Il medico è obbligato a indirizzare la donna ad un centro di aiuto alla vita? No.
Se il medico indica alla donna un Centro di aiuto alla vita, la donna è obbligata a rivolgersi ad esso? No. Se il medico dell’ospedale sa che non esiste il motivo che la donna ha addotto, può rifiutarsi di eseguire l’aborto? No.
Il padre del bambino può impedire alla donna di abortire? No.
Il padre del bambino può interloquire sulla scelta di abortire? No.
La donna che ha abortito dopo il rilascio dell’attestato rischia qualche sanzione se ha accusato motivi inesistenti? No.
E allora: l’aborto è un diritto?
La seconda risposta è di tipo giuridico. La prof.ssa Morresi parla del testo della legge e, quindi, intende riferirsi al concetto di “diritto” in senso tecnico.
Daremo questa risposta nel prossimo post.